CEVA, Teobaldo
Nacque a Torino il 14 genn. 1697. Compiuti gli studi d'umanità e di belle lettere nel Collegio vecchio della Compagnia di Gesù, si fece carmelitano, smettendo il nome secolare di Giovan Roberto e assumendo quello di Teobaldo dell'Annunziata. La formazione e le inclinazioni personali prevalentemente oratorie lo portarono quasi naturalmente a diventare il predicatore ufficiale dell'Ordine, che illustrò in sermoni, panegirici, ottave, novene, avventi e, soprattutto, quaresimali. Proprio, per la sua attività di celebrato quaresimalista, ebbe modo di recarsi in alcune tra le principali città italiane (Pavia, Venezia, Milano, Firenze, Ferrara, Genova) e di contrarre significative amicizie, che lo fecero ascrivere fra gli Innominati di Bra, i Disuniti di Pisa, gli Arcadi di Roma e gli Ercini di Palermo. Respinse l'offerta di una cattedra a Pisa, da parte del granduca di Toscana, e quella di una cattedra di eloquenza a Torino, ma accettò, per pura obbedienza, di diventare storiografo generale dell'Ordine dei carmelitani (1733).
Incaricato successivamente dal magistrato della Riforma degli studi di compilare un'antologia poetica per le regie scuole del Piemonte, pubblicò nel 1735, a Torino, quella Scelta di sonetti con varie critiche osservazioni ed una dissertazione intorno al sonetto, che doveva essere all'origine della polemica violentissima in cui si trovò coinvolto con Biagio Schiavo e che, a quanto pare, lo fece allontanare d'autorità dalla capitale sabauda e relegare a Cherasco, dove morì, priore di quel convento, l'8 ott. 1746, senza aver potuto pubblicare la Scelta di canzoni che avrebbe dovuto completare l'opera commissionatagli, e che fu data alle stampe postuma, per la cura del suo discepolo Ignazio Gaione (Scelta di canzoni de' più eccellenti poeti antichi,e moderni compilata e corredata di critiche osservazioni per uso della studiosa gioventù dal padre Teobaldo Ceva carmelitano, Venezia 1756).
La svolta dunque della sua vita, quella che lo trasformò da quaresimalista famoso in una figura quasi grottesca di accademico litigioso e, a sentir il Baretti (cfr. la lettera del 6 dic. 1741, in Epistolario, a cura di L. Piccioni, Bari 1936, p. 19), degno solo di compassione, coincise con l'aspra polemica che, intorno alla Scelta di sonetti, contrappose direttamente lui e i suoi sostenitori a Biagio Schiavo e ai suoi, ma che, molto probabilmente, risaliva al risentimento personale di Girolamo Tagliazucchi, il quale, presso lo stesso editore Mairesse, aveva appena pubblicato, all'inizio dello stesso 1735, due volumi di prose, che costituivano la prima parte di una Raccolta di prose e poesie,ad uso delle regie scuole, e si vide costretto a non portarla a termine per la concorrenza sleale che, a suo modo di vedere, gli faceva il Ceva.
Lo Schiavo nella sua Prefazione alla Rettorica d'Aristotele fatta in lingua toscana dal commendatore Annibale Caro (Venezia 1732), in nome di un conservatorismo ottuso e pedante, aveva polemizzato con il Muratori, accusandolo di essere uno sconsiderato innovatore, in quanto, nella Perfetta poesia italiana e nelle Osservazioni al Petrarca, non avrebbe tenuto nella giusta considerazione la dottrina aristotelica e si sarebbe spinto addirittura fino a muovere qualche appunto al Petrarca. Contro questa fin troppo ingenua restaurazione del principio d'autorità e in difesa del Muratori, all'insegnamento del quale egli invece si rifaceva direttamente, il C. ribadì nella sua Dissertazione intorno al sonetto i diritti di un buon senso che sapesse seguire le orme degli antichi senza cadere nell'errore di dimenticare come anch'essi fossero uomini e come, in quanto tali, potessero anch'essi sbagliare. Anche il Petrarca quindi, come aveva ben visto il Muratori e come ripete il C., ha i suoi "difettuzzi", che possono essere emendati dai moderni - secondo l'idea corrente di tanto petrarchismo arcadico, che mette sullo stesso piano, quando addirittura non li ordina in uno sviluppo progressivo, Petrarca, Bembo, Della Casa e Di Costanzo. Così il petrarchismo moderato della Scelta può antologizzare e additare all'esempio sonetti di contemporanei e anche dello stesso compilatore (in numero di sei).
Lo Schiavo rispose con Il Filarete, Venezia 1738, dieci "giornate" di dialoghi in cui, con una dialettica verbosissima, vengono riaffermati il principio dell'imitazione e l'eccellenza del Petrarca, che rimane il modello supremo e insuperabile al quale debbono rifarsi tutti i poeti, sia per quel che riguarda la trattazione della tematica amorosa, sia per apprendere "ogni pittura poetica". In polemica con la disponibilità al nuovo delle proposte ceviane, che di fatto però si limitavano a prendere atto della situazione reale dei commerci letterari nell'età dell'Arcadia, lo Schiavo si fa fautore di un intransigente petrarchismo, in cui il modello contiene addirittura le potenzialità ancora inespresse dell'arte poetica.
La polemica in breve divampò. Le Note compendiose che riguardano la sola e semplice dottrina sopra le prime cinque giornate del Filarete. Ad utile della gioventù pubblicate da un dilettante di buone lettere. Parte prima, Venezia 1738, e quelle Sopra le ultime cinque giornate del Filarete. Parte seconda, Venezia 1738, opera di Girolamo del Buono, anticipano di poco Il Converso del Padre C. in difesa d'alcuni Sonetti del detto Padre. Dialoghi quattro copiati e pubblicati da un Accademico Ereino (lo stesso C., stando a quanto sostiene il Gaione), Milano 1739, in cui la pretestuosità della diatriba (che non usciva in ogni caso dai limiti del petrarchismo comune ai contendenti) offrì l'appiglio moralistico, (il carattere profano e perfino irreligioso che, secondo il C., veniva esaltato in Petrarca) a una accusa formale davanti al Tribunale della Suprema Inquisizione di Torino contro lo Schiavo. Contro questo il C. scrisse ancora Lo Schiavo sotto la sferza. Trattenimenti cinque pubblicati da un accademico disunito di Pisa, Milano 1741.
Che ci fosse ben altro sotto la copertura della disputa intorno al Petrarca, lo confermano chiaramente le due Lettere di Ser Telaccocca al Molto Reverendo padre Frate T. C. carmelitano calzato. Annotazioni degli spettabili Serî Bentistà,Tumenti e Stazitto dedicate a' Signori Accademici di Modena, Belvedere 1740, ispirate dal Tagliazucchi e probabilmente opera del suo allievo Ignazio Somis, nelle quali ormai quasi non si parla più del Petrarca e il tono generale del discorso è assai spiacevolmente ingiurioso.
Nella Scelta di sonetti e nella postuma Scelta di canzoni, l'ortodossia muratoriana, che era stata l'origine ideale della controversia, in realtà si complica di una insistenza moralistica quasi del tutto estranea al modello. A differenza di quanto avveniva nella Perfetta poesia e nelle Osservazioni, nelle antologie del C. vengono sostanzialmente ridimensionati i diritti della fantasia, alla quale non viene riconosciuta alcuna autonomia né alcuna funzione discriminante. E perciò, in base a criteri assai meno restrittivi e a un gusto assai meno sicuro, a modello della gioventù studiosa vengono eletti autori fin contemporanei, anche solo segnalabili per la rettezza del sentire e del giudizio, mentre la propensione arcadica alla sintesi tra fantasia e ragione all'insegna del "buon gusto" viene contenuta nei limiti di un generico intellettualismo platonico di immediata probabile ascendenza graviniana. La poesia è l'"arte più bella e la più utile dell'uom ragionevole, che sia stata inventata" (Scelta di sonetti, p. 9), in quanto il suo compito specifico è quello di giovare per mezzo di un diletto intellettuale straordinario, qual è quello che si prova scoprendo qualche nuova verità. D'altra parte, la nozione di progresso letterario e il conseguente rifiuto di un modello definitivo e insuperabile, oltre ad allargare l'orizzonte della ricerca, fondano una concezione del "bello poetico" che non si distingue dalla semplice sanzione della "dirittura di raziocinio" e del decoro espressivo. Come nel caso, rilevato dal Calcaterra (T. C., il Muratori e un verso dell'Alfieri, in Studi petrarcheschi, II[1949], pp. 243-261), della ceviana "identificazione di sonetto ed epigramma" (p. 254). Secondo infatti le parole stesse del C., "il sonetto è simile ad un sillogismo, nel quale se la conseguenza della chiusa non viene a livello dalle premesse, tutto riuscirà un mero giuoco di parole, ed un accozzamento inutile di rime" (Scelta di sonetti, p. 32).
Fonti e Bibl.: I. Gaione, Vita del padre T. C., in T. Ceva, Scelta di canzoni, Venezia 1756, pp. 6-14; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, III, 2, Milano 1742, pp. 68 s.; T. Vallauri, C. T., in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, V, Venezia 1837, pp. 89 ss.; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, Torino 1841, II, pp. 4-8, 346 s.; L. Piccioni, Beghe accademiche, in Raccolta di studii critici dedicata ad Alessandro D'Ancona, Firenze 1901, pp. 499-513; L. Dainesi, Le raccolte di sonetti e canzoni del padre T. C., in Giorn. stor. d. lett. ital., CXLI (1964), pp. 565-573.