FABRI (Fabris), Teobaldo (Tebaldo)
Della sua vita e delle sue esperienze prima dell'elezione all'episcopato di Verona, avvenuta nel 1298, pochi sono i dati ricostruibili con sicurezza. Non si conosce l'origine della famiglia ed è incerto il suo stesso cognome. Si sa invece che la sua formazione spirituale avvenne nel monastero agostiniano di S. Eufemia, dove negli anni Ottanta del XIII secolo è documentata la presenza di un frate Tebaldo, figlio di Adriano "Fabris", da identificarsi verosimilmente con il F., secondo una tradizione sostenuta sia dalla storiografia veronese sia dalla storiografia agostiniana.
Tuttavia, un importante documento del 1295 riferisce che, dopo la morte di Pietro de Scala di Bergamo, fu eletto vescovo di Verona un Tebaldo, abate del monastero benedettino veronese di S. Fermo Minore in Braida. Solo in seguito alla sua rinuncia la scelta cadde su Bonincontro, che resse la diocesi veronese durante i tre anni successivi (1295-1298). L'identificazione di questo personaggio con il F. non è però sicura: questa matrice benedettina non e confermata né dalla tradizione veronese né, soprattutto, dall'analisi della documentazione, che conferma invece un legame tra il F. e il monastero di S. Eufemia, legame espresso sia con privilegi di carattere spirituale, come la concessione di indulgenze, sia attraverso interventi di protezione degli stessi frati.
Gli Annales Veronenses di Ubertino de Romano, eminente uomo di legge della Verona scaligera e assai attento agli eventi e ai problemi della Chiesa veronese, registrano l'elezione del F. il 24 giugno 1298 e la consacrazione il 26 ottobre dello stesso anno. Welezione rientra nel quadro del controllo politico sulla Chiesa locale esercitato, pur con procedure formalmente ineccepibili, dalla signoria scaligera. Anche i predecessori del F. erano stati eletti regolarmente dai rappresentanti delle tre principali istituzioni ecclesiastiche cittadine - il capitolo della cattedrale, il clero urbano e quello diocesano - ma reclutati in un'area assai vicina al potere signorile.
Sin dagli inizi del suo episcopato il F. fu protagonista di alcuni avvenimenti politici e religiosi di un certo rilievo nella vita della città, che confermano le sue buone relazioni con la famiglia signorile: nel 1301 viene infatti nominato esecutore testamentario delle ultime volontà di Alberto (I) Della Scala. Nel 1311 presenziò all'incoronazione di Enrico VII a Milano; nel 1314 - secondo Perudito veronese Giovambattista Biancolini - vescovo e signore prendono insieme parte ad iniziative di "immagine", come il trasporto delle ossa di Benigno e Caro a Malcesine. Inoltre il F. celebrò con continuità gli uffici divini durante l'interdetto lanciato dal papa Giovanni XXII, negli anni 1319 e 1320, contro le terre dei vicari imperiali. Le relazioni tra il F. e i Della Scala non si esaurivano comunque in atti formali seppur di un certo peso politico: il vescovo infatti non si sottraeva alla concessione, più spesso al rinnovo, di investiture di feudi decimali. Beneficiari di tali concessioni erano sia membri del ceto dirigente cresciuto intorno ai Della Scala sia i componenti della stessa famiglia signorile. È proprio in occasione di una di queste investiture che il vescovo, nel 1303, attribuisce a Bartolomeo (I) Della Scala il titolo di "defensor et protector" dell'episcopio.
Per un giudizio complessivo sull'attività del F. presenta notevole importanza l'analisi della familia, intendendo per familia quell'insieme di persone che affiancavano il presule nella gestione del suo ministero. Una prima analisi dei collaboratori del F. ed in particolare dei vicari episcopali rivela un rapporto concreto e quotidiano con le strutture del potere civile e con le principali istituzioni ecclesiastiche della diocesi. Tra i personaggi significativi si possono ricordare frater Ognibene, arciprete della congregazione del clero cittadino e stretto collaboratore del F. per buona parte dell'episcopato; Lazzaro, vicario del vescovo dal 1290 ai primi anni del 1300 e nipote di Lazzarino di Bologna, influente personaggio della corte scaligera; Accordino, arciprete della congregazione del clero diocesano e vicario dal 1314 al 1316; infine Guglielmo, canonico della pieve di Porto, anch'egli vicario episcopale dal 1320 al 1344 ed assai vicino al potere signorile.
È però importante rilevare che, sul piano pastorale, il F. apparentemente non si lasciò condizionare dai legami con l'élite politica cittadina ma concepì e perseguì un progetto di riorganizzazione della diocesi graduale, aderente alla realtà locale e allargato alle principali istituzioni ecclesiastiche della città: il clero urbano e il capitolo della cattedrale. Questo progetto di riordinamento è testimoniato sin dalla fase iniziale dell'episcopato quando, nel 1301, il vescovo promulgò delle constitutiones per il clero, cui fecero seguito nel 1303 le costituzioni dei canonici della cattedrale e nel 1323 quelle emanate dalla "congregazione del clero intrinseco" - l'associazione dei parroci della città - che ricalcano molte delle disposizioni del Fabri.
Con entrambe le istituzioni sopracitate il vescovo cercò un terreno di collaborazione, benché il capitolo della cattedrale fosse tradizionalmente autonomo e talvolta anche in aperto conflitto rispetto all'episcopio. Infatti nel 1321 il F. fu tra i fondatori di una confraternita, il Consortium Beate Marie Virginis, che aveva sede proprio nella cattedrale. L'ubicazione non e un particolare di secondaria importanza dal momento che i custodi della "ecclesia maior" erano i canonici del capitolo, consapevoli del loro carattere corporativo e della preminenza della cattedrale sulle altre chiese della città.
Sotto la guida del F. la Chiesa veronese sperimentò una nuova dinamicità non solamente nell'aspetto organizzativo ma anche in quelle forme di pietà popolare con cui si esprimeva la religiosità dei fedeli: egli infatti consacrò nuove chiese, come quella degli umiliati di S. Maria della Giara nel 1302, favorì la diffusione del culto delle reliquie e concesse ripetutamente indulgenze. Con la consacrazione dell'altare di S. Maria delle Vergini, noto convento di clarisse, associata alla dedicazione dell'altare di S. Francesco al Corso, effettuate con grande solennità rispettivamente nel 1319 e 1314, contribuì alla diffusione del culto francescano, affermatosi in modo consistente sin dalla seconda metà del Duecento.
Durante il suo vescovato il F. si trovo a gestire una delicata controversia fra i francescani ed i servi di Maria, ostacolati nell'insediamento in città dal convento dei minori di S. Fermo ma forti dell'appoggio della potente famiglia scaligera. Nella lunga vertenza il F. concedette al sopracitato vicario Guglielmo, personaggio chiave nella gestione della diocesi per lunghi anni e anello di congiunzione con il potere signorile, la facoltà di agire liberamente per risolvere la controversia, la cui conclusione fu favorevole ai serviti.
Il ruolo avuto dal vescovo in questa diatriba suggerisce alcune osservazioni, sufficientemente attendibili e valide per tutto il suo operato; si ha infatti l'impressione che i suoi interventi siano scarsamente incisivi quando non riguardino questioni strettamente spirituali, ma coinvolgano, come in questo caso, la giurisdizione e il patrimonio degli istituti religiosi, unitamente al prestigio della famiglia signorile.
Dalla documentazione esaminata risulta che nessun avvenimento di particolare importanza segnò gli ultimi anni dell'episcopato del F., che morì a Verona il 19 nov. 1331 e fu sepolto nella cattedrale.
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