CARUEL, Teodoro
Nacque il 27 giugno 1830 a Chandernagor, presso Calcutta, nel Bengala, da Constant, francese, e da Josephine Hume, inglese. Giunse con la famiglia, appena quindicenne, in Italia, stabilendosi a Firenze. Qui frequentò le scuole secondarie e l'università.
Firenze era diventata in quegli anni uno dei centri più vivi della botanica italiana ed il C. fece parte di quel gruppo di appassionati cultori di questa scienza, quali F. Calandrini, A. Targioni Tozzetti, P. Savi e B. Puccinelli, che percorrevano le campagne toscane raccogliendo piante.
Per decreto granducale, nel 1858, il C. fu nominato assistente di F. Parlatore, il grande illustratore della flora italiana, che introdusse nei metodi di ricerca, accanto al semplice censimento floristico, un lavoro di revisione critica dei gruppi vegetali: alla sua scuola si formò il Caruel.
Uno dei primi lavori fu la Illustratio in hortum siccum Andreae Caesalpini (Firenze 1858). Quell'erbario, probabilmente databile al 1564, era stato ritrovato nel 1717 da P. A. Micheli, menzionato poi da Giovanni Targioni Tozzetti, da L. Brocchi e da A. Bertoloni; era giunto al Parlatore che lo aveva richiesto alla Biblioteca Palatina nel 1844; molto a proposito veniva dunque la riedizione di un lavoro in cui il Cesalpino illustrava la raccolta ed esponeva il proprio metodo di classificazione. Un metodo che avrebbe perfezionato e reso pubblico, dopo venti anni di studio nel De plantis;anche il De plantis fu riproposto dal C. nel 1872, in un periodo in cui andava definendo le sue idee sulla tassonomia.
L'erbario del Cesalpino, come quello del Micheli, fu poi unito alle collezioni del Parlatore, alla raccolta personale di piante toscane del C., al magnifico erbario Webb, alle recenti raccolte di O. Beccari e ad altre, per formare uno dei più grandi erbari del mondo, l'erbario centrale di Firenze, oggi presso l'Istituto botanico universitario. Così lo aveva voluto il Parlatore secondo un programma enunciato nel 1842 a Parigi (Les collections botaniques du Musée Royale de physique et d'histoire naturelle, Florence 1874). Sull'esame dell'erbario fiorentino fondò in parte uno dei suoi più impegnativi lavori sistematici il C.: il Prodromo della flora toscana.
Poteva sembrare, almeno all'inizio, opera di non grande fatica, considerando quanti avevano già erborizzato in quella regione e pubblicato poi le osservazioni fatte. Ma erano state per lo più descritte piante nuove e trascurate le più tipiche e comuni. Inoltre il C. intendeva tener conto delle più recenti ricerche tassonomiche e fitogeografiche, secondo la sua personale interpretazione.
Rilievo diverso nei diversi autori veniva dato alla variabilità interna alla specie. In particolare i tassonomisti delle scuole francese e tedesca, attribuendo valore discriminante a differenze prima trascurate, avevano aumentato il numero delle specie in maniera eccessiva. La scuola tedesca, inoltre, tendeva ad una rielaborazione dei vecchi sistemi classificatori in senso filogenetico, il che era scorretto, secondo il C. che non riteneva sufficienti i dati fino allora acquisiti. Egli quindi preferì attenersi ad un unico criterio classificatorio fra i tanti possibili, quello morfologico, divenuto più sicuro e più chiaro con i progressi delle conoscenze biologiche. Propose le sue suddivisioni, di volta in volta discutendole, mettendo in evidenza quei caratteri che per essere poco soggetti a variazioni e per ritrovarsi paralleli in gruppi diversi, possono essere considerati tipici di ciascun gruppo. Indicò nel Prodromo di De Candolle l'opera alla quale la sua si riferiva, non come modello completamente accettato, ma perché lavoro tra i più conosciuti. Il De Candolle, come tutti i tassonomisti dell'Ottocento, fallì nel tentativo di stabilire le dimensioni ed i limiti naturali dei raggruppamenti superiori alla categoria delle famiglie; ma nemmeno il Barthling, né lo Erdlicher, né il Brogniart né altri furono unanimi nell'indicazione di ordini, classi e tipi. L'irrisolta questione della classificazione del regno vegetale fu oggetto di molte riflessioni del C., che ad essa dedicò più tardi i suoi Pensieri sulla tassinomia botanica.
Il C. scrisse il Prodromo nella convinzione che lo scopo delle opere sulle flore parziali è quello di giovare alla botanica geografica; per questo cercò di collegare i caratteri morfologici e fisiologici delle piante alle diverse condizioni chimico-fisiche dell'ambiente. Tenne conto degli aspetti del paesaggio toscano: collinare, montuoso, pianeggiante, litoraneo, e dei terreni che catalogò secondo quattro tipi fondamentali; indicò poi, per ogni specie vegetale, la stazione, la regione botanica, il tempo di fioritura e di fruttificazione.
Alla modernità di impostazione, alla semplicità di classificazione, il Prodromo aggiungeva il merito di una grande concisione: spazio minimo dato alle sinonimie, diagnosi differenziali brevi in luogo di lunghe descrizioni individuali. Tali criteri mostrarono tutto il loro pregio allorché il C. li usò più tardi, quando dovette continuare l'opera lasciata incompiuta dal Parlatore.
Nel 1871 il C., avendo compiuto nuove ricerche e raccolto altro materiale, poté riprendere, nella Statistica botanica (Firenze 1871), l'argomento della suddivisione del territorio in regioni botaniche, esponendo ampiamente il metodo seguito nel definirle, ed in parte correggendo lo stesso Prodromo.
Per meriti scientifici, nel 1862 fu nominato professore straordinario a Pavia, ma essendo stata poi la cattedra soppressa, nel novembre dello stesso anno andò a Milano come professore dell'Accademia scientifico-letteraria; nel 1863 tornò a Firenze, chiamato alla cattedra di botanica della sezione medica dell'istituto di studi superiori, presso l'arcispedale di S. Maria Nuova. Quivi restò per otto anni e nel 1865 assunse la direzione dell'Orto dei Semplici, lasciata da A. Targioni Tozzetti; contemporaneamente era assistente di Parlatore nell'istituto botanico che questi aveva creato presso il Museo della Specola. In quegli anni il C. si dedicò nell'orto di S. Maria allo sviluppo della orticoltura toscana e della floricoltura, e pubblicò a Firenze nel 1866 e 1870 i due Supplementi al Prodromo, rapidamente esauritisi, così che, per incarico della Società botanica, nel 1897 E. Baroni rielaborò e completò tutta l'opera del Caruel. Si occupò anche di questioni anatomiche e fisiologiche: da questi interessi nacque nel 1878, la Morfologia vegetale, opera che mostra un modo di intendere lo studio della forma che va dalla discussione sui tempi dello sviluppo embrionale e dell'accrescimento per comprendere le correlazioni organiche, alla ricerca dei significati funzionali o originari di ogni struttura. Un richiamo alla teoria trasformista rivela qui un C. non completamente convinto, cauto soprattutto nell'allargare i limiti della trasformazione dell'individuo vegetale.
Nel 1871 il C. lasciò Firenze per Pisa, succedendo nella cattedra di botanica a P. Savi, ma nel 1880 tornava a Firenze, dove era morto F. Parlatore, di cui occupò il posto quale direttore del R. Istituto di botanica del Museo della Specola e del Giardino dei Semplici, e professore del R. Istituto di studi superiori.
La storia degli orti botanici fiorentini era stata molto confusa perché quello più importante, l'Orto di S. Marco fondato nel 1545da Cosimo de' Medici, aveva cambiato più volte scopi ed obiettivi e spesso i prefetti dell'uno avevano anche la direzione dell'altro, quello annesso al Museo botanico di via Romana; c'era infine l'orto dell'arcispedale.
Nell'orto di via Romana era conservato l'erbario centrale italiano che il C. riordinò sulla norma della Synonimia botanica di Pfeiffer. Volle mettere in pratica le sue idee sulla tassonomia anche piantando nuovi esemplari nei giardini ed arricchendo le serre. Unificò quindi in un grande orto, quello di S. Marco, i vari orti botanici di Firenze. Dovette per questo vincere l'opposizione di alcuni botanici italiani ed anche stranieri; egli comunque intendeva dare il massimo splendore all'orto di più antica origine e di più significativa storia. Nel 1883 aveva già trasferito la maggior parte delle piante. Nel 1884 si accinse ad un lavoro di grande impegno: il Parlatore era morto lasciando la sua Flora italiana incompiuta al quinto volume ed il C. sentì l'obbligo morale di condurla a termine. Dovette però modificare l'impianto grandioso che le aveva conferito il primo autore facendone una serie di elaborate monografie. Il C., pur usufruendo dei manoscritti lasciati dal Parlatore, cercò la concisione senza togliere i pregi all'opera, riuscendo così a completarla, con il decimo volume, nel giro di pochi anni. Ammalatosi nel 1892, morì a Firenze il 4 dicembre 1898. Fu vicepresidente della Società botanica, ideata ma non attuata dal Parlatore e fondata dalla Società toscana di agricoltura, membro della Società linneana di Londra e di altre accademie. Diresse dal 1872, per 22 anni, il Giornale botanico italiano, fondato dal Parlatore, succedendo a O. Beccari. Al suo nome molti botanici dedicarono piante da loro scoperte.
Le opere più significative del C. sono: Prodromo della flora toscana: ossia Catalogo metodico…, Firenze 1860; I generi delle Ciperoidee europee, ibid. 1866; Sulla gimnospermia delle Conifere, in Nuovo giorn. bot. it., I (1869), pp. 92-96; Struttura delle foglie della Passerina hirsuta, ibid., pp. 194 s.; Prospetto generale della flora toscana e confronto con la flora italiana e la flora europea, ibid., III (1871), pp. 51-90; A. Cesalpino e il libro De plantis, Firenze 1872; Illustrazione di una Rubiacea del genere Myrmecodia, in Nuovo giorn. bot. it., IV (1872), pp. 170-76; L'erborista toscano, Firenze 1876; Morfologia vegetale, Pisa 1878; Prolusione alle lezioni di botanica fatte nell'Istituto di studi superiori in Firenze l'anno scolastico 1880-1881 da T.C., in Nuovo giorn. bot. ital., XIII (1881), pp. 205-15; Pensieri sulla tassinomia botanica, in Mem. della R. Acc. dei Lincei, cl. sc.fis., mat. e nat., s. 3, X (1880-1881), pp. 161-251; Erborista italiano, Pisa 1883; F.Parlatore, Flora italiana continuata da T. Caruel, VI-X, Firenze 1884-1893.
Bibl.: F. Parlatore, Sullo stato attuale dell'erbario centrale italiano, in Giorn. bot. ital., II(1846), pp. 18-28; P. A. Saccardo, La botanica in Italia, I, Venezia 1895, pp. 192 s.; II, ibid. 1901, p. 28; E. Baroni, Elenco delle pubblic. di T. C., in Boll. della Soc. bot. ital., 1898, pp. 264-272; L. Mattirolo, T. C., Firenze 1899; Id., Cenni cronol. sugli orti botanici di Firenze, Firenze 1899, ad Indicem; Un secolo di progresso scientifico staliano, Roma1940, IV, pp. 108 ss.; F. Fabbri, L'orto botanico di Firenze, in Agricoltura, XII(1963), 4, pp. 73-86.