MATTEINI, Teodoro
– Nacque a Pistoia il 10 maggio 1754, da Ippolito e da Anna Marraccini (Gori Bucci, 2006, p. 3: a questa monografia si fa riferimento, se non altrimenti specificato, per la riproduzione delle opere del Matteini).
Ricevette i rudimenti del mestiere dal padre, affermatosi come decoratore di quadrature prospettiche nel palazzo vescovile e nelle ville della provincia pistoiese, fra cui la residenza del cavaliere Niccolò Forteguerri, che divenne il primo mecenate del giovane M., permettendogli di trasferirsi a Roma nel novembre 1770 per seguire l’insegnamento dell’ormai celebre P. Batoni.
Nella capitale pontificia il M. cominciò a frequentare i corsi mensili dell’Accademia del nudo in Campidoglio. Nell’aprile del 1771 partecipò al concorso clementino, vincendo il secondo premio nella terza classe di pittura, con una copia dell’Apollo di villa Medici (Roma, Accademia nazionale di S. Luca); mentre nel settembre dell’anno seguente si distinse nella prova semestrale dell’Accademia del nudo, ottenendo il primo premio nella prima classe di disegno. Tra la fine del 1773 e l’inizio del 1774 il M. entrò come allievo nello studio di D. Corvi, conosciuto durante i corsi accademici (ibid., p. 8).
I biografi Tolomei e Diedo riportano che in questa fase il M. avrebbe aperto uno studio nella propria abitazione nel vicolo delle Orsoline, una traversa di via Vittoria, e un altro nel palazzo di Firenze, sede diplomatica del Granducato di Toscana presso la S. Sede.
Nel 1776 risultava censito nella casa del M. l’abate pistoiese Tommaso Puccini, raffinato erudito stabilitosi a Roma da tempo per perfezionarsi in giurisprudenza, che sarebbe diventato giureconsulto e uditore di Rota.
Frequentatore assiduo dei cenacoli illuminati, Puccini introdusse il M. nell’ambiente dei collezionisti e degli intenditori d’arte. Fra questi si ricorda il generale rovigiano Federico Manfredini, al servizio dei granduchi di Toscana, per il quale il M. dipinse, nel 1779, L’allegoria dell’affidamento al marchese Manfredini dei piccoli arciduchi Francesco e Ferdinando (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), per commemorare la decisione del granduca Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena di affidare al colto generale l’educazione dei suoi figli. L’opera, nel rievocare la statua classica della Minerva Giustiniani, si allineava alla produzione romana di quegli anni. Lo stesso Pietro Leopoldo poi commissionò al M. Il libero commercio in Toscana, un’allegoria delle riforme attuate nel Granducato, oggi perduta.
Conclusosi il sostegno economico di Forteguerri nel 1779, il M. avanzò la richiesta di un sussidio al Consiglio della Comunità civica di Pistoia, cui inviò il dipinto La Giustizia (Pistoia, Museo civico), finora attribuito a N. Monti, tratto dall’omonima allegoria di Giulio Romano nella sala di Costantino in Vaticano (ibid., p. 9).
Il talento del M. nel disegno di traduzione dai maestri del passato, da Raffaello, in particolare, e dalle statue antiche fu posto in risalto dal commissario pontificio delle Antichità, G.A.B. Visconti, che lo volle, a partire dal 1782, fra i disegnatori per le tavole dei volumi dedicati al Museo Pio-Clementino, pubblicati a Roma sotto la direzione del figlio, l’archeologo Ennio Quirino.
Per il primo tomo (1782), il M. fornì nove copie di statue; per il secondo volume (1784), ben undici fogli; per il terzo (1788), tre disegni; e infine per il quarto (1790), altre due copie. La fiducia guadagnata presso Visconti (divenuto bibliotecario del principe Sigismondo Chigi e consulente dei collezionisti più in vista) determinò l’attribuzione di altri incarichi, come l’esecuzione del dipinto Il principe Sigismondo Chigi visita gli scavi a Porcigliano (1792: castello di Castelfusano), copia con varianti di un quadro di G. Landi (1785) già nel palazzo Chigi di Ariccia, in cui il nobile mecenate è presentato insieme con l’archeologo (F. Petrucci; D. Petrucci; Grandesso), che gli indica alcuni dei rinvenimenti più significativi, come il celebre cratere Chigi (Ariccia, palazzo Chigi). Sempre attraverso Visconti, il M. eseguì i disegni delle statue della collezione di antichità e dei marmi secenteschi del principe Marcantonio Borghese per la pubblicazione da lui curata, Illustrazione de’ monumenti scelti borghesiani (pubblicata postuma a Roma nel 1821), lavoro che il M. condivise con i pittori lucchesi B. Nocchi e i fratelli A. e S. Tofanelli, giunti a Roma nel 1768.
Fu nel 1784 che il M. ebbe l’occasione di cimentarsi in un’opera pubblica, la decorazione ad affresco (andata perduta) dei pennacchi della prima e della terza cappella a destra della chiesa romana di S. Lorenzo in Lucina con L’apoteosi di s. Lorenzo e L’apoteosi del beato Francesco Caracciolo, inaugurata per il triduo di quest’ultimo, riscuotendo la piena «approvazione degl’intendenti e professori», secondo quanto riportato dalle cronache del Chracas.
Fu in questo periodo che strinse amicizia con Antonio Canova e Angelica Kauffmann. Quest’ultima stimolò ulteriormente nel M. la predilezione per il ritratto naturalistico di gusto anglosassone che a Roma già faceva riferimento a Batoni.
Nel 1786 il M. riscosse il primo successo romano con il dipinto Angelica e Medoro (perduto), commissionato da lord Bristol (F.A. Hervey, vescovo di Derry) attraverso il suo agente Alexander Day, miniatore e collezionista scozzese.
L’opera fu esposta a villa Medici, suscitando i commenti positivi dei cronisti del Giornale delle belle arti (che pose in risalto come il giovane pittore fosse «in grado sempre più di fare onore a se stesso, e alla nostra Italia») e delle Memorie per le belle arti, in cui si notava come «una elegante fisionomia, una vaghissima acconciatura dei capelli ed un colorito vero […] chiaroscuro bene adoperato, sono meriti non piccoli in questo lavoro, […] e tali che qualunque provetto Professore potrebbe vantarsene» (pp. VII s.). Inoltre, lo stesso Day richiese al M. anche il disegno dell’opera per farlo tradurre in un’incisione da dedicarsi a lord Bristol, incisione che sarebbe stata eseguita da R. Morghen nel 1795. Una serie di stampe ne garantì la diffusione in tutta Europa.
Ma è nel campo del ritratto che il M. espresse appieno la sua vocazione artistica, come nel Ritratto di due giovani che conversano in un giardino (Venezia, Gallerie dell’Accademia, in deposito a Ca’ Pesaro), che segna una delle interpretazioni più efficaci del genere inglese delle conversation pieces (Pavanello, p. 52).
Al 1792 appartiene la pala con La predica di s. Bernardino per il duomo di Perugia (Perugia, oratorio dei Ss. Andrea e Bernardino), in cui si nota l’influenza di Nocchi. L’anno seguente il M. dipinse il Ritratto del duca Francesco Sforza Cesarini (collezione privata), di sapore romantico, in cui l’atteggiamento meditabondo del protagonista, con un cane, in un paesaggio campestre, diede l’avvio a una formula fortunata di intonazione sentimentale che sarebbe stata riproposta anni dopo nel Ritratto di giovane repubblicano (1796: Roma, Museo Napoleonico) e nel Ritratto del conte Lodovico Widmann (1799: collezione privata). Dello stesso 1793 è anche il ritratto di Giuseppe Puccini (Pistoia, Museo civico), fratello dell’abate, in cui il M. evidenzia l’eleganza e l’ingegno dell’effigiato, riprendendo la tipologia dell’immagine souvenir in voga a Roma, con l’inserimento sullo sfondo dei Dioscuri del Quirinale e di una riproduzione del Marco Aurelio (Grandesso, p. 476).
Nel maggio del 1794 il M. si trasferì a Firenze, chiamato dall’abate Puccini, divenuto direttore della Galleria degli Uffizi e segretario dell’Accademia di belle arti, dove ultimò la pala con La morte di s. Andrea Avellino, per la chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia, commissionata fin dal 1790 per interessamento dello stesso Puccini. A Firenze il M. ritrovò l’amico conterraneo F. Carradori, con il quale aveva condiviso il periodo di formazione a Roma, e sposò, nel 1795, la pittrice di miniature Veronica Porta, poco prima di essere inviato da Ferdinando III di Asburgo Lorena a Milano per copiare il Cenacolo di Leonardo.
Nella città lombarda ebbe inizio un’altra fase della sua carriera; fu richiesto dall’aristocrazia milanese per il suo gusto aggiornato sui modelli anglosassoni.
Rientra in tale tipologia il Ritratto della marchesa Barbara Barbiano di Belgioioso Litta Visconti Arese (1796: collezione privata), in cui oltre alla vicinanza con le soluzioni di Angelica Kauffmann si avverte l’influenza di Andrea Appiani. Subito dopo il M. cominciò un altro ritratto per la stessa famiglia, Alberico XII Barbiano di Belgioioso con la figlia marchesa Litta (Bellagio, villa Melzi), terminato l’anno seguente. In questo periodo il M. eseguì inoltre i ritratti del glittografo Giovanni Beltrami (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi), di Pompeo Signorini, ex ministro della Giustizia di Pietro Leopoldo giunto a Milano come consigliere reale, e di sua moglie (collezione privata). Era stato proprio Signorini a fornire al M. i cartoni originali della Cena di Leonardo, sui quali poté realizzare il disegno inviato a Firenze nell’aprile 1796 (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi), che con grande successo fu tradotto in incisione molte volte (nel 1800 Morghen ne trasse la sua più nota acquaforte).
Nel 1797, a seguito dell’invasione francese, il M. si spostò a Bergamo, dove cominciò a lavorare per la nobiltà locale.
Per la famiglia Camozzi dipinse il ritratto del padre Ambrogio, eseguito postumo forse sulla base di precedenti effigi, e dei figli Andrea, in divisa da ufficiale della Repubblica Cisalpina, e di Gabriele (collezione privata), del quale si conserva anche il disegno (Venezia, Ca’ Pesaro). Per la famiglia Cortenovis il M. ritrasse Giovanni Domenico, padre barnabita, il fratello Bartolomeo e la sorella Marianna, oltre al marito il Conte Belli (collezione privata) in stile appianesco e con una particolare naturalezza. A questa fase appartengono anche alcuni ritratti femminili all’aperto, in cui il paesaggio offre una diversa declinazione emotiva all’immagine (Pavanello, p. 51), come Ritratto di giovinetta con lettera e Ritratto di giovane signora con foglio di musica (entrambi a Venezia, Gallerie dell’Accademia, in deposito a Ca’ Pesaro). A Ca’ Pesaro si trova inoltre il Ritratto del marchese Cavalli che, come i marchesi Mainoni e Piazzoni, aveva commissionato al M. un soffitto ad affresco per il proprio palazzo bergamasco. I tre soffitti sono oggi perduti (resta solo un’Aurora sul carro, in collezione privata, della quale non si sa se sia quella dipinta per casa Piazzoni). Ancora a Bergamo eseguì nel 1798 il Ritratto di Caterina Lovati Leoni (collezione privata).
Il clima politico portò il M. a trasferirsi a Venezia, ora dominio austriaco a seguito del trattato di Campoformio (1797), dove rimase dal marzo 1798 al giugno 1799, eternando le effigi di alti funzionari asburgici, quali Il principe Enrico de Reüss (stampa: Venezia, Biblioteca civica Correr) e il Generale Franz Wenzel (disegno: Vienna, Graphische Sammlung Albertina). Nel contempo realizzò il Ritratto di Domenico Garagnin, già governatore della Dalmazia veneziana, e per conto del fratello di questo, Gianluca, copiò a pastello il ritratto di Isabella Teotochi Albrizzi (collezione privata) dal quadro della E. Vigée-Lebrun del 1791. Nell’estate del 1799 il M. lavorò nel Padovano per committenti locali e veneziani e strinse amicizia con l’erudito collezionista Giovanni de Lazara, per il quale eseguì diversi ritratti, fra cui un Autoritratto a matita, dove appare sullo sfondo una copia dell’affresco di A. Mantegna, Il martirio di s. Giovanni, della cappella Ovetari agli Eremitani, lavoro di traduzione che forse il M. stava svolgendo per lo stesso Lazara, studioso del maestro padovano (Magani, 1993).
La carriera del M. raggiunse l’apice quando nel 1800 gli fu commissionato il Ritratto di Pio VII (Venezia, Civico Museo Correr), appena eletto papa nel conclave di Venezia, un’opera eseguita dal vero, come recita l’iscrizione, che enfatizza l’umanità e l’espressività del pontefice. L’anno seguente gli fu richiesto un altro ritratto di Pio VII Chiaramonti in trono per la chiesa di S. Giorgio Maggiore.
Continuò a dipingere ritratti femminili dall’atteggiamento aggraziato, sulla scia dei modelli canoviani, come il ritratto della Marchesa Bolgeni Selvatico Estense (1801) e l’Allegoria nuziale (entrambi in collezione privata); mentre un inedito «carattere espressivo di rigore» (Marinelli, 1989) dimostra l’intenso ritratto dell’Arciduca Giovanni come direttore del Genio (1804: Innsbruck, Tiroler Landeskundliches Museum).
Nel 1802 era diventato professore di pittura dell’Accademia veneziana, che nel 1804 gli conferì l’incarico di maestro della classe di disegno (F. Hayez fu suo allievo) e nel 1807, dopo essere stata riformata dal governo del Regno Italico, lo nominò professore di pittura. Intanto il lavoro del M. come disegnatore per le iniziative a stampa era sempre molto richiesto.
Nel 1808 eseguì 24 tavole, incise al tratto, con scene dei successi napoleonici, per il poema encomiastico di M. Cesarotti La Pronea (Firenze 1808). Nell’album di Leopoldo Cicognara, neopresidente dell’Accademia, si trovano i due bei disegni a matita e sanguigna con i Ritratti di Luigi Sabatelli e Giuseppe Bossi, nonostante l’astiosa diffidenza nutrita da Cicognara verso il Matteini. Nell’ambito religioso, realizzò nel 1805 la Pala con il beato Agostino Kazotic e i ss. Giovanni evangelista e Giacomo minore per il duomo di Traù in Dalmazia.
Il M. morì a Venezia il 16 nov. 1831, dopo essersi dimesso dall’Accademia.
Fonti e Bibl.: Chracas. Diario ordinario, 12 giugno 1784, n. 986, p. 5; Giorn. delle belle arti e della incisione antiquaria, musica e poesia, IV (1787), 2, p. 9; Memorie per le belle arti, III (1787), pp. VII s., XVI; F. Tolomei, Guida di Pistoia per gli amanti delle belle arti…, Pistoia 1821, p. 186; A. Diedo, Elogio di T. M., in Atti della I.R. Acc. di belle arti in Venezia…, 1840-41, p. 9; Catalogo della mostra del ritratto veneziano dell’Ottocento, Venezia 1923, p. 18; U. Ojetti, La pittura italiana dell’Ottocento, Milano-Roma 1929, p. 69; A.M. Comanducci, I pittori italiani dell’Ottocento, Milano 1934, p. 415; G. Lorenzetti, Quadri di T. M. e di Giandomenico Tiepolo, in Riv. di Venezia, XIV (1935), p. 115; M. Massa Saluzzo, Il pittore T. M., in Boll. stor. pistoiese, XLIV (1942), 1, pp. 3-18; T. Pignatti, Pittori veneti dell’Ottocento da Canova a Favretto, Pavia 1950, p. 67; P. Bucarelli, La Galleria nazionale d’arte moderna in Roma, Roma 1951, p. 321; G. Pavanello, in Venezia nell’età di Canova 1780-1830 (catal.), Venezia 1978, pp. 51-53, 154, 156, 165, 253; C. Sisi, in Museo civico di Pistoia. Catalogo delle collezioni, a cura di M.C. Mazzi, Firenze 1982, pp. 223 s.; S. Marinelli, in Il Veneto e l’Austria. Vita e cultura artistica nelle città venete 1814-1866 (catal., Verona), Milano 1989, p. 96; F. Magani, in La pittura in Italia. L’Ottocento, II, Milano 1991, pp. 911 s.; I disegni di figura nell’Archivio stor. dell’Accademia di S. Luca, a cura di A. Cipriani - R. Valeriani, III, Roma 1991, pp. 76, 87 s.; F. Magani, T. M. amico di Giovanni de Lazara, ovvero lo studio dei «primitivi» attraverso il recupero di Andrea Mantegna, in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere e arti, CLI (1993), pp. 431-459; N. Gori Bucci, Il pittore T. M., in Il Tremisse pistoiese, XX (1995), 1-2, pp. 61-67; F. Petrucci, Documenti artistici sul Settecento nell’Archivio Chigi. Prima parte, in Boll. d’arte, s. 6, LXXXIII (1998), 105-106, pp. 61-64; S. Grandesso - E. Bianchi, in Il neoclassicismo in Italia. Da Tiepolo a Canova (catal.), Milano 2002, pp. 413 s., 476; N. Gori Bucci, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, II, Milano 2003, pp. 758-761; S. Marinelli, Il ritratto ottocentesco nel Veneto: la ricerca dell’identità, ibid., p. 545; D. Petrucci, in Il Settecento a Roma (catal., Roma), a cura di A. Lo Bianco - A. Negro, Cinisello Balsamo 2005, pp. 240 s.; N. Gori Bucci, Il pittore T. M. (1754-1831), Venezia 2006 (con bibl.).