SOMENZARI, Teodoro Pietro
SOMENZARI, Teodoro Pietro. – Nacque a Viadana in provincia di Mantova il 1° luglio 1771 da Giovanni, piccolo possidente, e da Maddalena Ghidoni.
Dopo essersi laureato in legge nel maggio 1794 presso l'Università di Pavia, iniziò a esercitare la professione forense a Mantova. Qui si fece rapidamente notare come un sostenitore entusiasta delle nuove idee e degli avvenimenti che attraversavano all’epoca la Francia rivoluzionaria. Con la campagna d’Italia e con l’ingresso dell’esercito transalpino guidato da Napoleone Bonaparte a Mantova, avvenuto il 3 febbraio 1797, dopo un lungo assedio portato a uno dei principali avamposti dell’Impero asburgico nella penisola, Somenzari acquisì un crescente protagonismo nelle vicende politiche cittadine. Tra i principali animatori delle celebrazioni organizzate per l’innalzamento dell’albero della libertà, il giovane avvocato cercò di mobilitare una popolazione sospettosa verso il nuovo corso con pratiche e discorsi dal tono accesamente democratico in cui invitava i nuovi cittadini a far valere i propri diritti e la propria libertà contro ogni tirannia. In quei giorni fu fra i fondatori, e poi fra i compilatori, del Giornale degli amici della libertà italiana; il periodico fu creato su presupposti assai avanzati da una redazione di uomini provenienti per intero dalle professioni borghesi o intellettuali fra cui figuravano, oltre a Somenzari, il più giovane del gruppo, Giuseppe Lattanzi, Girolamo Coddè, Domenico Gelmetti e Carlo Franzini. Con le loro origini civili i suoi animatori divennero fermi fustigatori dei costumi nobiliari cittadini, e proprio Somenzari si distinse per uno dei più ardenti repubblicani e fra i più inflessibili sostenitori della polemica antiaristocratica.
Il 1° marzo giunse a Mantova Bonaparte in persona e fu ricevuto da una deputazione di patrioti comprendente Somenzari che lo salutò in termini assai encomiastici come «il più grande Generale del mondo» (Luzio, 1890, p. 18). Con apposito motu proprio Napoleone nominò una nuova Municipalità provvisoria di venti membri, la cui composizione fu il frutto di un misurato dosaggio fra i neogiacobini legati al Giornale degli amici della libertà italiana e diversi moderati di estrazione nobiliare. Il foglio mantovano divenne così il principale strumento attraverso cui i democratici locali condussero la loro battaglia contro la maggioranza temperata del governo municipale; contro il municipalismo di quest’ultima, Somenzari cercò di promuovere un sentimento di appartenenza territoriale più ampio, e con interventi giornalistici e la presentazione di mozioni all’interno dell’organismo civico tentò di mettere in circolo pratiche e parole concepite per fraternizzare con le altre città libere della Lombardia e dell’Emilia. Portò poi avanti, fra l’ostruzionismo dei moderati, una serrata lotta per l’abolizione dei detestati titoli nobiliari: fu la sua più significativa battaglia vinta dentro la nuova municipalità, tanto che insieme a Franzini volle celebrarla organizzando un grande rogo di piazza, davanti all’albero della libertà, in cui dare alle fiamme documenti e titoli attestanti il blasone dei nobili apostati. Proprio in chiave antimunicipalista e antinobiliare, gli elementi più dichiaratamente filofrancesi ottennero nel luglio 1797 dalle autorità transalpine una riforma che portò alla creazione dell’Amministrazione di Stato del mantovano, con cui i compilatori del Giornale degli amici della libertà italiana si trovarono di fatto responsabili del governo provinciale. Somenzari fu nominato con Coddè responsabile del terzo comitato del nuovo organismo, che acquisì numerose competenze in materia fiscale e di gestione del territorio. In novembre, con l’unione di Mantova alla Repubblica Cisalpina, Somenzari fu nominato commissario del potere esecutivo nel neoistituito dipartimento del Mincio, ruolo in cui si distinse soprattutto per l’inflessibilità esibita nel far rispettare l’obbligatorietà del giuramento dovuto alla Repubblica da tutti i pubblici impiegati. Fra gli animatori del circolo costituzionale, aperto come in altre città per propagandare le ragioni della repubblica ed educarne ai valori i suoi nuovi cittadini, come già avvenuto nell’assemblea municipale e in altre occasioni pubbliche, vi si segnalò per uno stile comunicativo istrionico ed esuberante, con trovate ad effetto e iniziative di forte segno simbolico miranti a esaltare i principi cardine dell’immaginario rivoluzionario.
Malgrado l’instabilità della Repubblica, per le pressioni esterne e le forti tensioni politiche interne, Somenzari fu tra i pochi commissari che, salvo un brevissimo periodo, riuscirono a restare in carica fino al contrattacco degli Austro-Russi nella primavera del 1799. Posto a capo della commissione amministrativa incaricata di governare il territorio dopo la proclamazione dello stato d’assedio, una volta caduta la città e dopo una breve carcerazione, fu per tutti i lunghi mesi della reazione, con il fratello maggiore Francesco, fra i patrioti cisalpini confinati dall’Austria in Dalmazia. Deportato a Cattaro fino al ritorno dei Francesi e alla ricostituzione della Cisalpina dal maggio 1801, solo nell’agosto di quell’anno riuscì a tornare in Italia dalla lontana prigionia. Destinato come commissario straordinario a Ferrara, nel dipartimento del Basso Po, nel maggio del 1802, con l’avvento della Repubblica Italiana e l’istituzione in essa delle prefetture, nonostante la sua fama di democratico, fu nominato prefetto nella medesima circoscrizione dal pur moderato Francesco Melzi d’Eril. In ottobre quest’ultimo gli comunicò la decisione di trasferirlo in «uno de’ più importanti, ed il più delicato de’ nostri dipartimenti» (Antonielli, 1983, p. 147), al posto del poco energico Alessandro Carlotti, allo scopo di far fronte alla difficilissima situazione di Bologna. Nell’estate del 1802 infatti si erano manifestati nel capoluogo del dipartimento del Reno crescenti atti di violenza sfociati in una rivolta contro le nuove autorità, in cui le difficoltà economiche e le scelte sbagliate della prefettura si erano saldate con i risentimenti particolaristici della classe dirigente filonapoleonica e con la delusione dei numerosi democratici locali. Alla preparazione amministrativa e al buon lavoro svolto a Ferrara, Somenzari univa agli occhi di Melzi una biografia politica in grado di rassicurare i riottosi neogiacobini bolognesi. Posto a capo di una delle sedi prefettizie più ambite, con uno stipendio di 24.000 lire milanesi annue, si mostrò duttile e abile nell’affrontare i problemi aperti e nel riportare l’ordine politico e sociale. La brillante carriera amministrativa e il rapporto sempre più stretto con il vicepresidente della Repubblica avevano ormai trasformato il giovane ‘esaltato’ in un fedele servitore del governo che aveva assai attenuato il suo passato radicalismo giovanile. Ma un evento imprevisto, esasperato dall’atteggiamento dall’arcivescovo cardinal Carlo Opizzoni, concorse a scalzarlo da Bologna. A seguito del presunto scandalo scatenatosi nel marzo del 1806 attorno a voci e a indagini relative alla moralità personale del capo della diocesi, in fama di filonapoleonico, il prelato pretese e ottenne l’allontanamento di Somenzari, ritenuto politicamente responsabile di quanto accaduto. Bonaparte in persona si impegnò comunque a tutelare il suo abile e fedele funzionario, cercando di presentare la rimozione come il trasferimento in un altro importante dipartimento. In luglio fu posto al governo del vasto e strategico territorio friulano del Passariano, dove rimase fino al dicembre del 1811. A confermargli l’immutata fiducia, nel nuovo corso monarchico Napoleone gli conferì poi il titolo di commendatore della corona ferrea e nel 1809 quello di barone del Regno, a segnalare simbolicamente l’ingresso con tutti gli onori di chi un decennio prima aveva così ferocemente combattuto l’istituto nobiliare nel novero della nuova aristocrazia napoleonica. A Udine Somenzari si impegnò a fondo nel radicare gli indirizzi di governo napoleonici in ambiti come quello scolastico e della soppressione delle congregazioni religiose.
Al termine del 1811 fu trasferito a Brescia per coprire il vacante dipartimento del Mella. Mentre le sorti del Regno italico andavano declinando, Somenzari ribadì anche nella nuova sede il suo attaccamento all’esperienza napoleonica con atti che andavano ben oltre i semplici doveri professionali; quasi rispolverando l’impeto degli anni giovanili tenne comizi in strada per arringare la folla e salito a cavallo si unì alle truppe impegnate nella difesa della città. Contestato dalla folla e costretto all’abbandono precipitoso della città al momento della caduta del Regno nell’aprile 1814, fu immediatamente rimosso dall’incarico. Malgrado le reiterate richieste di reintegro, Somenzari, che doveva la sua fortuna amministrativa a una marcata fedeltà politica, vide chiudersi, diversamente da altri funzionari napoleonici con una spiccata matrice burocratica e di carriera, la porta di ogni possibile pubblico impiego.
Tornato a Mantova, negli anni della Restaurazione si ritirò a Goito in una propria residenza di campagna; qui esercitò anche qualche compito nel governo del piccolo comune, ma soprattutto si dedicò alla gestione delle attività agricole e alla passione per la caccia. Nei primi anni Venti, nel quadro del grande processo contro Federico Confalonieri, dagli interrogatori di alcuni testimoni il nome di Somenzari emerse come persona vicina ai princìpi politici promossi dal conte lombardo e ben al corrente delle sue trame cospirative. Scagionato da accuse e sospetti, per tutto il decennio continuò a essere comunque vigilato dalla polizia austriaca insieme al fratello ingegnere, residente a Milano, soprattutto per la sua passata affiliazione alla massoneria. Morì a Goito il 16 settembre 1859.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pavia, Università di Pavia, Facoltà di giurisprudenza, Lauree legali, cart. 628; diverse notizie sull’attività amministrativa svolta da Somenzari nel triennio rivoluzionario si trovano nelle 184 buste del fondo Amministrazione di Stato, Amministrazione centrale del Dipartimento del Mincio e Commissione amministrativa dell’Arch. di Stato di Mantova; sul periodo bolognese numerose lettere e rapporti nelle buste del fondo Prefettura del Dip. Del Reno, Atti riservati (1801-1813) dell’Arch. di Stato di Bologna. Inoltre: A. Zanolini, Antonio Aldini ed i suoi tempi. Narrazione storica con documenti inediti o poco noti, II, Bologna 1867, passim; C. d'Arco, Studi intorno al municipio di Mantova dall'origine di questa fino all'anno 1863 ai quali fanno seguito documenti inediti o rari, IV, Mantova 1872, pp. 50 s.; E. Michel, T. S., in Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, p. 316; A. Luzio, Francesi e giacobini a Mantova dal 1797 al 1799, Mantova 1890, ad ind.; Id., La massoneria e il Risorgimento italiano, I, Bologna 1925, p. 145; I Costituti di Federico Confalonieri, a cura di F. Salata, III, Bologna 1941; IV, a cura di A. Giussani, Bologna 1956, ad indices; Giornale degli amici della libertà italiana (1797-1799), a cura di G. Finzi, Mantova 1962, ad ind.; A. Varni, Bologna napoleonica. Potere e società dalla Repubblica Cisalpina al Regno d'Italia, 1800-1806, Bologna 1973, ad ind.; M. Meriggi, Liberalismo o libertà dei ceti? Costituzionalismo lombardo agli albori della Restaurazione, in Studi Storici, XXII (1981), 2, pp. 315-343; L. Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica, Bologna 1983, ad ind.; F. Della Peruta, Esercito e società nell'Italia napoleonica. Dalla Cisalpina al Regno d'Italia, Milano 1988, p. 137; Dopo Campo Formio 1797-1813. L'età napoleonica a Udine, a cura di T. Ribezzi, Pordenone 1997, ad ind.; A. Geatti, Il trattato di Campoformido tra Napoleone e l'Austria, 17 ottobre 1797, Tavagnacco 1997, pp. 131, 233, 238.