RENDIOS, Teodoro
RENDIOS (Rentios, Rentzios, Rendio), Teodoro. – Nacque a Chio nel secondo decennio del XVI secolo.
Nulla si sa del suo soggiorno nell’isola, dove forse fu allievo dello zantiota Ermodoro Lìstarchos (1500/1505-prima del 1577), citato come suo maestro in Pietro Arcudi (Collegii graecorum, 1895), che definì tale anche il conterraneo e quasi coetaneo Michele Sofianòs (fatto di cui però si può dubitare). Di uno ieromonaco Ignazio poco si conosce oltre il nome.
Di Rendios è documentato solo il soggiorno in Italia (a Padova, Torino e Roma), di cui è ignota la data d’inizio, anche se è da credere che il suo primo approdo sia stato a Padova, dove risiedeva di certo nel 1561. Il suo nome non figura nelle fonti dell’Università, ma fu verisimilmente lettore nello Studio (cfr. l’Aldina di Tucidide della Biblioteca apostolica Vaticana, A.I.28, da lui scoliata nel 1561 per motivi didattici, e il documento di nomina a professore nello Studio torinese in Meschini, 1978, p. 4). A Chio non tornò mai più, ma in Italia visse sotto l’egida del frate minore dell’Osservanza Angelo Giustiniani (1520-1596), membro della potente famiglia dei Giustiniani di Chio. Questi, tornato in patria, divenne vescovo; si impegnò poi come teologo per imporre la dottrina tridentina alla corte sabauda del duca Emanuele Filiberto, di cui fu influente confessore. Ebbe un ruolo fondamentale per garantire le carriere accademiche di Rendios e Sofianòs, colti grecisti, ma laici di religione ortodossa e come tali da un lato considerati scismatici in ambienti cattolico-romani, dall’altro invisi ai loro correligionari rimasti in Oriente, in quanto protetti da un vescovo cattolico.
La vita di Rendios si può scandire in tre periodi: quello iniziale padovano, caratterizzato soprattutto dal suo rapporto con Sofianòs (ca. 1520/1525-1565) e dall’amicizia con il celebre nobile dotto Gian Vincenzo Pinelli (Napoli, 1535-Padova, 1601), possessore di una ricchissima biblioteca e animatore di un circolo erudito di altissimo livello, in cui era rappresentata l’élite cittadina, italiana e internazionale (tra i suoi amici grecizzanti furono, oltre a Sofianòs, anche Rendios, il suo allievo chiota Costantino Patrikios e il belga Nicasio Ellebodio).
Il secondo periodo, dal 1567 alla primavera del 1579, Rendios lo trascorse «come interprete e lettore d’umanità greca» nell’Università di Torino, restaurata da Emanuele Filiberto nel 1566 e da quell’anno affidata per gli insegnamenti umanistici ai gesuiti. Rendios fu molto stimato nell’ambiente accademico torinese, e si inserì nella cerchia di letterati gravitanti intorno alla corte, protetti dalla consorte del duca Margherita di Valois, amante della cultura umanistica italiana; ne celebrò la morte nel 1574 con una serie di epigrammi greci. Da Torino inviò buona parte delle lettere del suo epistolario.
Il terzo periodo, dalla primavera del 1579 a quella dell’anno seguente, vide Rendios «maestro nella grammatica et umanità» presso il Collegio greco di Roma, fondato dal papa Gregorio XIII nel 1577. In quei nove mesi che precedettero la sua morte, benché disorientato dal trasferimento dalla provinciale e quieta Torino nella capitale della cristianità e minato dalla malattia, confermò la sua fama di professore: collaborò all’avvio delle attività del Collegio e si confrontò con i problemi sorti con il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, inquieto circa le finalità della nuova istituzione papale, il cui progetto missionario nelle terre ortodosse orientali, da ridurre alla riforma tridentina, non era troppo celato (cfr. Peri, 1970, pp. 67-69).
Morì a Roma poco dopo la Pasqua del 1580.
La sua attività di erudito si esplicò in tre campi: nella stesura di scritti filologico-didattici, nella composizione di epigrammi greci di circostanza, nella redazione di un epistolario. È probabile che egli abbia svolto anche attività di copista. L’elenco di manoscritti (in Meschini, 1982) è stato in seguito integrato da altri studiosi; Francesca Niutta (Per la biblioteca..., in corso di stampa) ha scoperto nella Biblioteca nazionale di Roma un codice contenente il primo libro dell’Iliade, riccamente scoliato per finalità didattiche da Rendios, e finito nella biblioteca di Marc-Antoine Muret in modi e tempi non precisabili.
Scritti filologico-didattici di Rendios: Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Barb. gr., 34: Salustio filosofo, Περὶ θεῶν καὶ κόσμου; 130: commento grammaticale all’Iliade, datato 20 febbraio 1557; Aldine A.I.28: Tucidide; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., N.84 sup.: epitome del commento di David alle Categorie di Aristotele; Monaco, Staatsbibliothek, Monac. gr., 422 e 423 (da considerare come due schedari, analoghi nella funzione, ma redatti in modo diverso); 360 (donato da Rendios al suo allievo Costantino Patrikios il 20 dicembre 1579, costituito da due sezioni, l’una con prolegomena e commento alla Poetica di Aristotele, l’altra con testo e commento in greco dell’Ars poetica di Orazio: null’altro che una parafrasi greca del commento latino alla Poetica e all’Ars, edito da Vincenzo Maggi e Bartolomeo Lombardi a Venezia nel 1550, cui si inseriscono alcune note desunte dal commento oraziano di Denis Lambin, Lione 1561, cfr. Meschini, 1978, pp. 12-35).
Il Monac. gr. 456, scoperto da Antonis Tsamakis, 1991-1992, è datato ca. 1580 e contiene un trattato Περὶ κωμωδίας autografo. Edito integralmente e commentato con attenzione da Tsamakis, esso si propone, a differenza degli altri due codici monacensi, almeno in teoria, come opera autonoma di Rendios, intenzionato a integrare e concludere in una sola trattazione il pensiero sull’arte drammatica, tragica e comica. Ma l’analisi precisa delle fonti di cui Rendios si è servito conferma ancora una volta i limiti della sua creatività: quanto scrive altro non è che una schematizzazione (sistema da lui prediletto nell’elaborazione dei dati) del pensiero altrui (senza distinzione tra antichi e moderni o contemporanei), riportato in greco in traduzione o parafrasi; egli è certo consapevole della questione culturale che si agita sul tema dell’arte drammatica e conosce bene lo status quaestionis, tuttavia, non riesce in alcun modo a formulare non solo una propria teoria, ma neppure a esporre in sequenza connessa le sue fonti.
I sei epigrammi, tutti di occasione e in distici elegiaci, memori dell’Anthologia Graeca, ma spesso carenti dal punto di vista metrico, sono editi con succinto commento in Meschini, 1978, pp. 36-41.
Il corpus dell’epistolario di Rendios consta di venti lettere ed è tràdito da sette manoscritti, ma nessuno di essi lo contiene per intero (si va da un massimo di diciotto lettere contenute nel ms. Palermo, Biblioteca comunale, 2.Qq.A.77, a un minimo di otto nel ms. Gerusalemme, Biblioteca del Patriarcato ortodosso, Sanctae Crucis 85). Ebbe rapida diffusione, ma si ignora chi lo mise insieme, ancorché la raccolta debba risalire all’autore stesso e solo il caso l’abbia privata del suo autografo. La rilevanza di questo epistolario, che va ascritto al genere letterario dell’epistolografia postbizantina, si può valutare sul piano retorico e stilistico, dove però non rivela caratteristiche di spicco, oppure come fonte storica, tenendo conto dei destinatari. Da questa prospettiva appare di grande rilevanza, come si intende dal mero elenco dei corrispondenti, di cui si citano Giovan Vincenzo Pinelli, Henri Estienne, Angelo Giustiniani, Guglielmo Sirleto, Antonio Carafa, Giulio Antonio Santoro, Giovanni Zigomalàs.
La sua fu una vita materialmente e intellettualmente modesta; modesti sono i suoi commenti ai classici e stentatissimi, come si è detto, i pochi epigrammi superstiti. Dall’uniforme mediocrità emerge solo l’epistolario, cui già i contemporanei riconobbero particolare valore includendolo nelle sillogi epistolografiche da proporre come modelli, ed è una insostituibile miniera di notizie sull’origine del Collegio greco di S. Atanasio, ancora sito e operante in Roma in via del Babuino.
Fonti e Bibl.: Collegii Graecorum de Urbe primordia. Relazione dei primi successi del Collegio stesa da Pietro Arcudi, in É. Legrand, Bibliographie hellénique du XVIIe siècle, III, Paris 1895, pp. 481-493; Hieronimo Giustiniani History of Chios, a cura di Ph.P. Argenti, Cambridge 1943, p. 425; V. Peri, Inizi e finalità ecumeniche del Collegio Greco in Roma, in Aevum, XLIV (1970), pp. 67-69; A. Meschini, T. R., Padova 1978; Ead., Michele Sofianòs, Padova 1981, pp. 34, 46, 54, 84, 86, 101; Ead., Altri codici di T. R., in Miscellanea, III, Studi in onore di Elpidio Mioni, Padova 1982, p. 55-66; A. Tsamakis, Ein unbekannter Text des Theodoros Rendios über die Komödie, in Hellenika, XLII (1991-1992), pp. 303-316; P. Merlin, Emanuele Filiberto. Un principe tra il Piemonte e l’Europa, Torino 1995, pp. 142-148: F. Niutta, Per la biblioteca manoscritta greca di Marc-Antoine Muret, in Marc-Antoine Muret, un humaniste français en Italie. Colloque internationale, Rome, 22-25 mai 2013, Genève in corso di stampa.