COLLENUCCIO, Teofilo
Fu il figlio primogenito dell'umanista pesarese Pandolfo e della sua prima moglie, la nobile Beatrice de' Costabili, ferrarese, sposata da quest'ultimo nel 1469. Ancora giovanissimo, fu probabilmente al servizio di Lorenzo de' Medici e nel 1487 seguì il padre a Venezia. Nel 1491, grazie alla protezione di Lorenzo, Pandolfo otteneva la podesteria di Mantova, un ufficio molto ben remunerato che tuttavia non poté assumere personalmente; essendo frattanto divenuto consigliere segreto di Ercole d'Este. È probabile che appunto in questa occasione il C. abbia fatto il suo ingresso alla corte di Mantova, forse proprio come sostituto del padre nell'ufficio, che questi aveva lasciato libero. In ogni caso la sua presenza a Mantova è sicuramente documentata a partire dal 1494, anno in cui egli è tra l'altro impegnato a sorvegliare per conto del marchese i lavori dei palazzi di Marmirolo e di Gonzaga, realizzati da Andrea Mantegna e da altri artisti.
Alla corte di Mantova il C. dedicava tuttavia gran parte del suo tempo a incarichi più leggeri, come quello di intrattenere la piccola Eleonora, la figlia di Francesco Gonzaga e di Isabella d'Este nata l'ultimo giorno del 1493 in una lettera del luglio 1494 egli informa infatti scherzosamente il marchese di star insegnando alla sua "figliolina illustrissima", nelle molte ore che passa con lei, i balli popolari della mazzacrocca e del mattarello. Il 29 settembre dello stesso anno il C. riappare, ora nelle vesti di galante poeta di corte, con una lettera a Isabella, con la quale il "cane della S. V." accompagna l'invio di un proprio sonetto e chiede alla sua signora il dono di un giustacuore: "un pecto di tela in cambio d'un pecto di carne". Una lettera del 24 genn. 1495 da Mantova accompagnava invece uno strambotto del marchese, appena finito, in lode delle candide mani della sposa momentaneamente assente; quanto al C., egli aggiunge i suoi voti per un rapido ritorno della sua signora, bramato, a Mantova, perfino dai "cani". Frattanto peggioravano i suoi rapporti, già cronicamente tesi, col padre. Ne dà testimonianza una lettera di Pandolfo, indirizzata da Ferrara l'8 maggio 1495 a Giacomo d'Atri, segretario intimo del marchese Francesco, alla quale Pandolfo allegava una lettera per il figlio, che non ci è pervenuta, presumibilmente non priva di aspre rampogne, che Giacomo avrebbe dovuto consegnare solo se l'avesse ritenuto tatticamente opportuno. Lo scritto di Pandolfò non offre sufficienti elementi per ricostruire con qualche certezza i termini della contesa, per placare la quale egli si affida ai buoni uffici dell'amico, ma esprime comunque con molta chiarezza un giudizio molto duro e ben radicato sul figlio, "per cognoscere gli humori soi, e per argumento del passato", non avendo egli avuto mai da quest'ultimo "né piacere, né servizio".
Dell'attività del C. a Mantova come poeta di corte rimangono dieci sonetti conservati nel codice Mantovano A.IV-30 della Comunale di Mantova pubblicati da A. Saviotti (Sonetti di Teofilo da Pesaro, in Archivio storico per le Marche e per l'Umbria, III [1886], pp. 328-344), tutti dedicati alla esaltazione del cavallo Sauro, vanto delle scuderie del marchese Francesco, noto per la cura che aveva riservato ai suoi allevamenti di razze pregiate, e in particolare di berberi.
L'occasione è offerta dalla brillante vittoria conseguita da Sauro in una corsa a Firenze, dove il nobile animale si è reso degno di fama eterna e infine di essere aggiogato, dopo morto, al carro degli Dei. Non mancano, naturalmente, le lodi per il possessore di tanto prodigio, vale a dire per il marchese Francesco (indicato col soprannome di Turco), del quale si prevedono i successi come capitano d'Italia.
Ma il progetto più ambizioso del C. rimaneva quello di un poema eroico in lode del marchese stesso. Appunto in funzione di poeta-cronista, e non soltanto per adempiere i suoi doveri militari di cortigiano, egli seguì il suo signore alla battaglia del Taro (6 luglio 1495).L'esito funesto della sua missione protogiornalistica è ricordato, con icasticità quasi sarcastica, da un epigramma del Casio: "Theophilo al Signor Marchese disse / Gli morti notarò de l'aspra Morte; / Come volse Fortuna, Influsso e Sorte / Se stesso.il primo, et non più altri scrisse".
Per volontà del marchese, che aveva stimato il C. in vita, e non gli fu irriconoscente della sua finale dedizione, il corpo fu portato a Mantova, dove gli fu data onorevole sepoltura. Egli lasciava, secondo la testimonianza di Ludovico Andreasi, vari poemi, di cui tuttavia non sembra essere rimasta traccia, e, spoglie di una carriera di cortigiano che era cominciata non senza buoni auspici, "alcuni boni panni e certe cosette de pretio" che Pandolfo chiedeva a Giacomo d'Atri, con una lettera del 10 dicembre, per i "quattro altri soi fratelletti", ottenendole con grande sollecitudine.
Fonti e Bibl.: Il tetrastico di G. Casio è conservato nel Libro intitulato Cronica, s. l, né d. [ma 1527]. c. 35v. Il cod. Capilupi XLIX, che contiene due libri di poesie latine di Ludovico Andreasi, nel secondo dei quali è appunto menzionato un poeta Teofilo assai caro al marchese Francesco, "delle cui lodi preparava un poema eroico", fu esaminato da J. Andrés nel Catalogo de' codici manoscritti della famiglia Capilupi di Mantova, Mantova 1797, pp. 197 s.; più avanti (pp. 201-206) l'Andrés, sia pure con argomenti non tutti validissimi, identifica questo Teofilo con l'autore dei sonetti del cod. Mantovano A.IV.30. Il problema di una piena identificazione dei Teofilo riesumato dall'Andrés, dopo i contributi di C. D'Arco, Studi intorno al Municipio di Mantova, IV, Mantova 1872, pp. 33-35, e di C. Malagola, Della vita e delle opere di Antonio Urceo detto Codro, Bologna 1878, pp. 507 s., trovò piena soluzione nel saggio con cui A. Saviotti, facendo il punto sulle ricerche dei suoi predecessori, accompagnò la pubblicazione dei componimenti del cod. Mantovano. Sonetti di Teofilo da Pesaro, in Arch. stor. Per le Marche e per l'Umbria, III (1886), pp. 328-344. Si vedano inoltre: G. S. Scipioni, rec. a A. Saviotti, Pandolfo Collenuccio, in Giorn. stor. della letter. ital., t. XI (1888), p. 429; R. Renier, comunic. sul termine "mazzacrocca", ibid., t. XI (1888), pp. 304 s.; A. Luzio-R. Renier, Francesco Gonzaga alla battaglia di Fornovo secondo i documenti mantovani. in Arch. stor. ital., s. 5, VI (1890), pp. 229 s. Id.-Id., Niccolòda Correggio, in Giorn. stor. della letter. ital.. t. XXI (1893), pp. 234 s.; Id.-Id., La cultura e le relazioni letter. di Isabella d'Este Gonzaga, ibid., t. XXXIV (1899), pp. 90-92; P. Collenuccio, Opere, a cura di A. Saviotti, Bari 1929, II, pp. 305, 310-312 (lettere dell'8 maggio 1495, 10 dic. 1495 e 24 genn. 1496), 379; P. O. Kristeller, Iter Italium, I, pp. 265, 272.