TEOFILO
Nome religioso del monaco autore del De diversis artibus o Diversarum artium schedula, uno dei più notevoli trattati tecnico-artistici (v.) medievali, il quale si presenta come "Theophilus, humilis presbyter".Nel prologo del codice più antico (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2527, c. 1), degli inizi del sec. 12°, si legge "Theophilus qui et Rugerus". Ritenuto concordemente un artista, un orafo benedettino attivo intorno al 1100 nella Germania nordoccidentale, T. è stato identificato, in base al nome secolare, con Roger di Helmarshausen (v.); tale proposta, avanzata da Ilg (1874) e osteggiata da Degering (1928), è stata ripresa (Freise, 1981; 1985) e riaffermata sulla base di nuove analisi dell'opera di quest'ultimo (Davis-Weyer, 1994).Il trattato, in tre libri dedicati a pittura, vetrata e oreficeria, è importante sia per la precisa descrizione tecnica sia dal punto di vista stilistico: i tre prologhi premessi ai tre libri sono preziosi documenti dell'estetica romanica (Hanke, 1962; White jr., 1964; Van Engen, 1980).
Se la congruità del trattato è indubbia (Dodwell, 1961), la questione della struttura del testo, nel suo divenire nel tempo e specialmente nella sua forma originaria, è delicata. Infatti il testo originario, oltre a essere andato incontro, come spesso accade nella tradizione dei testi medievali, ad aggiunte ed errori di trascrizione, spesso emendabili grazie alle edizioni più recenti, era già di per sé complesso e stratificato. L'autore, oltre a descrivere procedimenti e tecniche personalmente sperimentati e provati, è un colto compilatore di fonti anche antiche - alle quali gli autori medievali amavano appoggiarsi - tra cui Plinio il Vecchio (23-79), Eraclio - presunto autore del trattato altomedievale De coloribus et artibus Romanorum -, Isidoro di Siviglia (ca. 560-636) e Rabano Mauro (ca. 784-856; Dodwell, 1961). Per inciso, nel secondo manoscritto in ordine di antichità (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 69 Gud. lat. 2°), del sec. 12°, il De diversis artibus è inserito immediatamente dopo un'importante copia di Vitruvio. Anche l'espressione in nudis corporibus, in apertura al trattato, sembra significativa della ricezione dell'Antico.Ma T. è un artista: nel libro I, che tratta della pittura su tavola, libraria e murale, parla innanzitutto della resa coloristica. Come altri trattatisti, egli registra per prima cosa ciò che più gli sta a cuore, le notizie più attuali o degne di nota: inizia così descrivendo il modo di stendere il colore nei volti, nelle parti nude e nelle vesti. Ne escono evidenziati non solo gli spessi contorni, ereditati dall'età precedente però caratteristici anche dello stile romanico, ma anche novità come l'uso di varie sfumature di colore, da più scuro a più chiaro, sia per le ombre (posc primus, posc secundus; I, 3, 7) sia per le luci (lumina prima, lumina secunda; I, 5, 9), mirante alla resa dei volumi. T. passa poi alla composizione dei colori composti, utili anche a fini stilistici (I,1,13), tralasciando invece la composizione dei pigmenti (dei trentotto capitoli del libro I, solo gli ultimi sei sono dedicati alla confezione dei pigmenti): solo verso la fine del libro I (36-37) e nel III (40, 91, 95) raccoglie alcune ricette sulla preparazione di colori come il cinabro o di materiali come il cristallo. Qui fa certamente opera di compilazione attingendo dal trattato di Eraclio o dalla tradizione della Mappae clavicula, con l'abilità redazionale dei trattatisti medievali di tecniche artistiche (Baroni, 1998).
Un piccolo capolavoro è il libro II, dedicato a vetrate, vetri e mosaici: le notizie tratte dalle fonti sono assimilate e fuse con osservazioni originali, come quella sulla perizia dei francesi nell'uso dei vetri blu: "colligunt Franci, in hoc opere peritissimi, et saphireum quidem fundunt in furnis suis [...] et faciunt inde tabulas saphiri pretiosas ac satis utiles in fenestris" (II, 12). La scorrevolezza della trattazione può dipendere anche dal mancato inserimento di quattro capitoli sulla fabbricazione dei vetri colorati che T. aveva progettato di ricopiare da Eraclio, come si evince dall'indice.Ritorna anche qui la tripartizione coloristica, di radice linearistica, ma mirante alla resa della terza dimensione: T. consiglia di graduare la grisaille (il colore di materiale vetrificabile con cui si dipingevano le vetrate) in tre diverse sfumature, dalla più scura alla più luminosa. Per movimentare la superficie dipinta, sempre ai fini della volumetria, egli consiglia quindi anche la stesura di una quarta sfumatura, appena meno luminosa della più chiara, da lavorare poi con subtiles tractus fatti con il manico del pennello, e altre sottili, tenui decorazioni di colore grigio chiaro, al fine di filtrare la quantità di luce che passa attraverso i vetri (II, 20-21). Tali procedimenti sono presenti, significativamente, nell'opera di Roger di Helmarshausen (Davis-Weyer, 1994).I colori in pittura sono essenzialmente ocre e terre; nella vetrata, da vetri colorati in pasta a base di rame e di manganese si ottengono innanzitutto gialli chiari e aranciati (croceum levem, croceum rubicundum), color carne chiaro e purpureo (purpurea rusa et perfecta), rosso scuro, verde, blu e bianco. È la tavolozza piuttosto calda, ereditata dai secoli precedenti, ma ancora tipica dell'età romanica, salvo che in Francia, dove, T. nota acutamente l'uso caratteristico del blu.Ancora più dettagliato e maturo nell'esposizione è il libro III, sulle metallotecniche, con capitoli di assoluta precisione descrittiva, come quelli dedicati alla produzione di opere talvolta anche complesse, come per es. calici grandi e piccoli, patene, coperte di evangeliario, reliquiari (Bänsch, Linscheid-Burdich, 1985; Davis Weyer, 1994), e alla loro decorazione - si vedano le belle pagine dedicate agli smalti e ai procedimenti del cloisonné (III, 52-55) -, messe in relazione con le opere di Roger di Helmarshausen già da Ilg (1874) e, ancora, di recente da Bänsch (Bänsch, Linscheid-Burdich, 1985) e da Davis-Weyer (1994).I codici più antichi contenenti il trattato di T. risalgono al sec. 12° e sono quelli già citati, conservati a Vienna e Wolfenbüttel; esemplari del sec. 13° si trovano a Londra (BL, Harley 3915) e a Cambridge (Univ. Lib., 1131); una copia trecentesca è a Lipsia (Universitätsbibl., 1157), mentre la versione più tarda è a Parigi (BN, lat. 6741), inserita nella raccolta di scritti sui colori di Giovanni Alcherio (v.) e Lebègue, degli inizi del sec. 15° (Thompson jr., 1932; Johnson, 1938).Ricordato da almeno tre fonti cinquecentesche e accuratamente descritto nel sec. 17° (Thompson jr., 1932), il De diversis artibus di T. fu pubblicato, limitatamente al libro I, per la prima volta da Lessing (1781), che ne aveva già evidenziato la precoce descrizione della pittura a olio (Lessing, 1774).
Bibl.:
Fonti. - G.E. Lessing, Vom Alter der Oel-Malerey aus dem Theophilus Presbyter, Braunschweig 1774; id., Theophili Presbyteri Diversarum artium schedula, in C. Leiste, Zur Geschichte und Literatur aus den Schätzen der herzoglichen Bibliothek zu Wolfenbüttel, Braunschweig 1781, pp. 291-424; C. de L'Escalopier, Theophili presbyteri et monachi libri III seu Diversarum artium schedula, Paris 1843; R. Hendrie, Theophili, qui et Rugerus, presbyteri et monachi libri III. De diversis artibus: seu Diversarum artium schedula, London 1847; M.P. Merryfield, Original Treatises in the Art of Painting, 2 voll., London 1849; A. Ilg, Theophilus Presbyter, Schedula diversarum artium, Wien 1874; W. Theobald, Technik des Kunsthandwerks im Zehnten Jahrhundert. Das Theophilus Presbyter Diversarum artium schedula, Berlin 1933 (nuova ed. Düsseldorf 1984); C.R. Dodwell, Theophilus, The Various Arts / De diversis artibus, London 1961; J.G. Hawthorne, C.S. Smith, On Divers Arts. The Treatise of Theophilus, Chicago 1963 (nuova ed. New York 1979).
Letteratura critica. - H. Degering, Theophilus Presbyter qui et Rugerus, in Westfälische Studien Alois Böhmer gewindmet, Leipzig 1928, pp. 248-262; D.V. Thompson jr., The Schedula of Theophilus Presbyter, Speculum 7, 1932, pp. 199-220; R.P. Johnson, The Manuscripts of the Schedula of Theophilus Presbyter, ivi, 13, 1938, pp. 86-103; B. Bischoff, Die Überlieferung des Theophilus-Rugerus nach den ältesten Handschriften, MünchJBK, s. III, 3-4, 1952-1953, pp. 145-149 (rist. in id., Mittelalterliche Studien. Ausgewählte Aufsätze zur Schriftkunde und Literaturgeschichte, II, Stuttgart 1967, pp. 175-182); P.W. Hanke, Kunst und Geist. Das philosophische und theologische Gedankengut der Schrift ''De diversis artibus'', München 1962; H. Silvestre, Une nouvelle édition du 'De diversis artibus' de Théophile, Scriptorium 17, 1963, pp. 113-118; L. White jr., Theophilus Redivivus, Technology and Culture 5, 1964, pp. 224-233 (rist. in id., Medieval Religion and Technology. Collected Essays, Berkeley 1978, pp. 93-103); L. Thorndyke, Words in Theophilus, ivi, 6, 1965, pp. 442-443; D.V. Thompson jr., Theophilus Presbyter Words and Meaning in Technical Translations, Speculum 42, 1967, pp. 313-339; D.C. Winfield, Middle and Later Byzantine Wall Painting Methods, DOP 22, 1968, pp. 61-139, figg. 1-36; L. Grodecki, Le chapitre 28 de la Schedula du moine Théophile. Technique et esthétique du vitrail roman, CRAI, 1976, pp. 345-357 (rist. in id., Le moyen âge retrouvé, Paris 1986, pp. 249-260); J. Van Engen, Theophilus Presbyter and Rupert of Deutz: The Manual Arts and Benedictine Theology in the Early XII Century, Viator 11, 1980, pp. 147-163; E. Freise, Roger von Helmarshausen in seiner monastischen Umwelt, FS 15, 1981, pp. 180-293; B. Bänsch, S. Linscheid-Burdich, Roger von Helmarshausen, ein maasländischer Künstler und Mönch in Westfalen, in Monastisches Westfalen, Klöster und Stifte 800-1000, a cura di G. Jaszai, Münster 1982, p. 287ss.; id., Theophilus, Schedula diversarum artium: Textauszüge, in Ornamenta Ecclesiae. Kunst und Künstler der Romanik, a cura di A. Legner, cat., Köln 1985, I, pp. 363-383; E. Freise, Zur Person des Theophilus und seiner monastischen Umwelt, ivi, pp. 357-361; A. Conti, Tempera, oro, pittura a fresco: la bottega dei ''primitivi'', in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, 1986, II, pp. 513-528; E. Brephol, Theophilus Presbyter und die mittelalterliche Goldschmiedekunst, Wien-Köln-Graz 1987; Das Reich der Salier 1024-1125, cat. (Speyer 1992), Sigmaringen 1992, p. 384ss.; E. Castelnuovo, Vetrate medievali, Torino 1994, p. 38ss., nn. 4-8 (con bibl.); C. Davis-Weyer, Speaking of Art in the Early Middle Ages: Patrons and Artists among Themselves, in Testo e immagine nell'Alto Medioevo, "XLI Settimana di studio del CISAM, Spoleto 1993", Spoleto 1994, II, pp. 955-991; O. Pächt, Metodo e prassi nella storia dell'arte, Torino 1994 (ed. originale: München 1977); P.A. Mariaux, La ''double'' formation de l'artist selon Théophile: pour une lecture différente des prologues du ''De diversis artibus'', in Florilegium. Scritti di storia dell'arte in onore di Carlo Bertelli, Milano 1995, pp. 42-45; B. Zanardi, Sul problema delle finiture a calce nella pittura medievale a fresco e i capitoli XV e XVI della ''Diversarum artium schedula'' del monaco Teofilo, in Sancta Sanctorum, Milano 1995, pp. 258-269; A. von Euw, s.v. Roger von Helmarshausen, in Lex. Mittelalt., VII, 1995, coll. 942-943; K.H. Ludwig, s.v. Theophilus Presbyter, ivi, VIII, 1996, coll. 666-667; I. Villela-Petit, Imiter l'arc-en-ciel: la règle des couleurs dans la Schedula diversarum artium de Théophile, Histoire de l'art, 39, 1997, pp. 23-26; S. Baroni, Sul Libro dell'arte di Cennino Cennini, Acme. Annali della Facoltà di filosofia e lettere dell'Università di Milano 51, 1998, 1, pp. 51-64.S. B. Tosatti