TEONE da Samo
Pittore ricordato da Quintiliano (Inst. or., XII, 10, 6) tra i sette più famosi del tempo d'Alessandro e dei Diadochi. Plinio il Vecchio (Nat. Hist., XXXV, 144) menziona di lui due opere: Tamiri citaredo e Oreste furente. Plutarco (De audiendis poetis, 3) dice che la seconda pittura rappresentava il matricidio. Eliano (Varia hist., II, 44) descrive un altro quadro: l'oplita che si slancia contro il nemico. L'arte di T., secondo Quintiliano, consisteva nel suscitare in chi guardava la visione (ϕαντασία) completa d'un'azione espressa parzialmente. In guisa analoga il pantomimus dava da solo una fabula, evocando parecchi personaggi. Vale come esempio la descrizione del guerriero: l'impeto del movimento e la ferocia dello sguardo bastavano a mostrare la battaglia. Qualcuno ha pensato che Plinio, leggendo male un testo greco, abbia sdoppiato il nome, inserendo un Theoros immaginario nel suo elenco, così che le opere di questo sarebbero da riferirsi a T.: l'ipotesi è troppo opinabile.
Bibl.: G. Lippold, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A, Stoccarda 1934, col. 2083 seg.