teoria della decisione
teorìa della decisióne locuz. sost. f. – Nei primi anni del 21° sec. la teoria della decisione classica, ossia lo studio attraverso metodi matematici e statistici della decisione preferibile fra varie alternative possibili, dapprima sorta in ambiti tradizionali come la logica, la psicologia, le scienze sociali o l’economia, ha trovato nuove applicazioni entro programmi di ricerca relativi allo studio della razionalità pratica, delle neuroscienze, della filosofia della mente, o anche negli studi sui rapporti fra mente, emozioni ed economia. Tradizionalmente impiegata in merito alla possibilità di elaborare secondo un calcolo logico-matematico decisioni caratterizzate da contesti di rischio o da possibilità di guadagni o perdite, negli studi recenti sulla razionalità pratica la teoria della decisione ha acquisito un nuovo statuto in merito alle ricerche sulla razionalità deliberativa, e principalmente nell’ambito di alcune correnti della filosofia analitica. Dopo i classici dibattiti avviati sul finire della prima metà del 20° sec., incentrati sul confronto fra modello normativo e descrittivo, ove la teoria della decisione era generalmente concepita in termini di normatività, ossia come possibilità di elaborare matematicamente decisioni (sulla base della considerazione e del calcolo dei benefici, dei massimi vantaggi e dei minimi rischi), si sono andate consolidando, a partire dagli ultimi due decenni del 20° sec. e nel primo decennio del 21°, analisi fondate sullo studio dei concreti meccanismi psicologici del ragionamento e della ‘presa di decisione’ (decision making) nei quali si è evidenziata la necessità di ricalibrare la teoria della decisione entro un modello descrittivo. A partire da alcune tesi della filosofia analitica, per es. le teorie di Donald Davidson, si è evidenziato come credenze, desideri, valori, concorrano a spiegare e motivare azioni intenzionali, e ne permettano la razionalizzazione, e in tale prospettiva la teoria della decisione è stata assunta come modo di spiegare e anche di motivare razionalmente deliberazioni, rispetto alle quali essa permette di sistematizzare relazioni fra credenze, desideri e azioni. Essa contribuisce, cioè, a rendere esplicito in maniera dettagliata un «apparato di senso comune» di cui ci si avvale per spiegare le azioni intenzionali. Tuttavia tali proposte, pur con la pretesa di verificare empiricamente il ruolo descrittivo della teoria della decisione, si sono prestate alle obiezioni di quanti vi hanno visto piuttosto il tentativo di fondare descrittivamente una teoria della decisione comunque normativa. Nel campo delle applicazioni di tale teoria allo studio dei rapporti fra immaginazione, creatività e innovazione, si è proposto di ridefinire i modelli tradizionali relativi allo studio della scelta e della deliberazione, prendendo in carico l’emotività e integrandovi appunto variabili emotive. I programmi di ricerca delle neuroscienze hanno evidenziato l’utilità e il vantaggio – anche evolutivo – delle emozioni per la sopravvivenza e il benessere degli individui. Tale ruolo si estende ai processi di decisione, in quanto le emozioni concorrono a incanalare e determinare le informazioni che il soggetto trae da se stesso e dall’ambiente in cui vive, relativamente alla priorità e all’orientamento della propria attenzione. La teoria della decisione in tale prospettiva assume la selezione delle informazioni, il loro ordine di priorità stabilito anche su base emotiva, e viene ricalibrata sulla base dello studio delle emozioni e dei loro sostrati neurologici che orientano l’accuratezza delle percezioni, dei pensieri e dei ragionamenti stessi. A partire da questi rinnovati approcci la teoria della decisione costituisce uno degli ambiti maggiormente indagati anche negli studi sui rapporti fra emozioni ed economia, in particolare relativamente alla capacità di autocontrollo, all’attitudine o all’avversione al rischio da parte degli operatori economici.