falsificabilita, teoria della
Concezione in base alla quale un’ipotesi o una teoria ha carattere scientifico soltanto quando è suscettibile di essere smentita dai fatti dell’esperienza. L’esponente principale di tale teoria è Popper (➔). Questi, sin dalla sua prima opera, La logica della scoperta scientifica (1935), sulla base di un’asimmetria tra verificazione e falsificazione, per la quale un numero per quanto elevato di conferme non è mai sufficiente a verificare in modo conclusivo un’asserzione universale (prototipo delle leggi scientifiche) mentre un solo esempio negativo basta a invalidarla, ha ravvisato nella f. la caratteristica delle teorie scientifiche (caratteristica che le distingue dalle dottrine metafisiche) e nel metodo ipotetico-deduttivo il procedimento tipico della conoscenza scientifica: piuttosto che per generalizzazioni induttive (a cui si riduce per Popper il verificazionismo neopositivistico), questa procederebbe tramite ipotesi che vengono sottoposte a «severi» tentativi di falsificazione, consistenti nel saggiarne la validità mediante il controllo delle conseguenze empiriche. La continua applicazione di tale metodo, implicante o la temporanea «corroborazione» (termine che Popper preferisce a «conferma», che ritiene compromesso con l’epistemologia induttivistica) delle ipotesi o la sostituzione delle teorie falsificate dall’esperienza con nuove teorie, è per Popper espressione del carattere mai definitivo del sapere scientifico, ma al tempo stesso garanzia della crescita della conoscenza e del suo indefinito avvicinarsi alla verità.