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RELATIVITÀ, Teoria della

di Paolo Straneo - Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)
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RELATIVITÀ, Teoria della (XXIX, p. 15)

Paolo Straneo

Le grandi linee di questa teoria, concepite sia in rapporto alla sua forma ristretta sia a quella generale, non sono essenzialmente variate negli ultimi anni, come d'altronde era prevedibile, trattandosi di due concezioni fin dalla loro origine riconosciute chiuse. La teoria ristretta è sempre largamente impiegata per lo studio teorico dei fenomeni fisici che si svolgono in condizioni tali da ritenere utile l'adozione del criterio relativistico. La teoria generale, o meglio varie sue conseguenze micro- e macroscopiche trovano applicazioni abbastanza spontanee, ma certo non ancor decisive, nel campo dell'astronomia e della cosmologia. Ci limitiamo qui a ricordare sommariamente l'origine e le evoluzioni delle cosiddette teorie unitarie, perché corrispondono, almeno nella loro aspirazione basilare, alla massima sintesi cui poteva tendere, nel secondo decennio di questo secolo, la fisica dei campi (elettromagnetico e gravitazionale) generalmente relativizzata. E ciò indipendentemente dal fatto che l'ipotesi quantica dapprima, e la sua decisa evoluzione in senso nettamente probabilistico poi, tolgano all'anzidetta fisica, e a qualsiasi sua formulazione, ogni valore interpretativo o anche solo descrittivo dei fenomeni elementari, lasciando loro solo un valore puramente statistico per i fenomeni macroscopici, cioè prodotti dalla concomitanza di moltissimi fenomeni elementari.

L'indole della sintesi in questione fu sempre di tipo geometrico e quindi interpretabile nel continuo rappresentativo quadridimensionale spazio-tempo o cronotopo. Essa fu suggerita dal fatto importante e suggestivo che nella teoria della relatività generale tutte le masse non risultano più rappresentate da un certo quid fisico, situato in una determinata porzione dello spazio tridimensionale, come per es. sempre avviene nella fisica classica, ma solamente da una determinata distribuzione continua di una certa perturbazione spaziale e da qualche sua singolarità. Codesta distribuzione di perturbazione, interpretata geometricamente, ci si presenta come la distribuzione della curvatura riemanniana di quello spazio; interpretata fisicamente, come quella del campo gravitazionale ivi esistente. Ne consegue che codesta coincidenza, verificantesi ovunque e quindi costituente un'identità, ci permette di rappresentare, o senz'altro d'interpretare, il misterioso campo gravitazionale mediante una ben nota grandezza geometrica, la curvatura riemanniana dello spazio, senza urtare in alcun sensibile contrasto sperimentale. E ciò appunto, e null'altro che ciò, deve intendersi quando si afferma che Einstein sintetizzò geometricamente le masse, i loro campi e quindi la loro fisica. Con codesta identificazione non risulta affatto spiegata l'essenza delle masse; si sostituisce solamente al mistero perturbante delle masse isolate e agenti a distanza, un mistero meno ostico, e tale da non vietarci, come il precedente, di seguire in modo continuo nello spazio intermedio una grandezza geometrica che può considerarsi rappresentativa della mutua gravitazione di masse comunque distribuite. Codesta sostituzione einsteiniana ricorda, in un certo senso, la sostituzione delle classiche masse elettriche e magnetiche agenti a distanza della prima metà del secolo XIX, e in genere dei fenomeni elettromagnetici, con i rispettivi campi, avvenuta ad opera di M. Faraday e di J. C. Maxwell; con la notevole differenza però che Maxwell distendeva semplicemente il suo campo elettromagnetico nello spazio che rimaneva indifferente, mentre Einstein imponeva allo spazio una reazione geometrica di misura proporzionale a quella del detto campo gravitazionale, tale cioè da poterlo sinteticamente rappresentare.

La teoria della relatività generale rappresentò in pieno la situazione ora tratteggiata. Tutta la fisica era ivi espressa per mezzo di due tipi di campi, ma quello della gravitazione era geometrizzato, mentre quello elettromagnetico era ancora semplicemente distribuito nello spazio. Era quindi naturale che si pensasse ad approfondire la classica sintesi maxwelliana geometrizzando anche questa. E ciò tentarono subito Weyl e Eddington, e poi lo stesso Einstein. Ma, come si è già detto, la teoria della relatività generale era una teoria chiusa; tutte le sue possibilità e in particolare quelle del suo spazio (riemanniano) erano state utilizzate. Occorreva quindi presupporre uno spazio di costituzione più generale del riemanniano ed è ciò che fecero i predetti autori e varì altri. Lo spazio riemanniano da qualche tempo si considerava costituito da infiniti elementi di spazio euclideo opportunamente connessi, generalizzando la consueta intuizione che ci permette di considerare una superficie qualsiasi (spazio riemanniano a 2 dimensioni) come costituita da infinite faccette piane (euclidee) opportunamente connesse. La generalizzazione in questione si otteneva così supponendo che gli infiniti elementi spaziali da connettere, anziché euclidei fossero affini; lo spazio risultante aveva allora la caratteristica che in esso il trasporto di un vettore era in generale accompagnato da una variazione della sua intensità (lunghezza). E appunto codesta proprietà spaziale si cercò di utilizzare per geometrizzare il campo elettromagnetico maxwelliano. Ma i risultati furono insoddisfacenti.

Una nuova via fu ancora aperta da Einstein, subito seguìto da molti altri teorici. Si trattava in fondo di sfruttare l'enorme generalizzazione della concezione spaziale conseguente dai fondamentali studî di Levi-Civita sulla nozione di trasporto parallelo di vettori e dalle sue successive estensioni. Ma, come già accennato, nel frattempo la teoria dei quanti aveva eliminato le equazioni di Maxwell dal rango delle leggi elementari, sostituendole con le equazioni di Dirac. E queste appunto, invece delle maxwelliane, si tentò di geometrizzare con criterî analoghi agli anzidetti. Ma allo stato delle nostre cognizioni pare ormai prevalsa l'idea che il senso fisico escluda che si possa addivenire a una sintesi della nostra fisica attuale su basi geometriche del tipo dianzi prospettato, quando si assuma quale legge fondamentale una legge puramente probabilistica, come è quella espressa dalle equazioni di Dirac: in altri termini il problema unitario è divenuto inattuale; nella recente e profonda opera di A. Einstein e L. Infeld, Le evoluzioni della fisica (Torino 1948), alle teorie unitarie non si accenna neppur più.

Bibl.: 1° tentativo: A. Einstein, Einheitliche Feldtheorie von Gravitation und Elektrizität, in Sitzungsber. d. preuss. Akad. d. Wissenschaften, 1925; 2ª teoria: id., Zur einsheitlichen Feldtheorie, ibid., 3ª teoria: A. Einstein e W. Mayer, Einheitliche Theorie von Gravitation und Elektrizität, ibid., 1931.

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