Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La prima parte del XVIII secolo è caratterizzata dalla compresenza di indirizzi estetici tra loro divergenti. Emerge la critica nei confronti del barocco, che assume accenti diversi a seconda delle nazioni. L’atteggiamento razionalistico, annunciatosi nei primi decenni in Francia, sfocia nelle posizioni rigoriste dell’abate Laugier, che raccomanda il ritorno all’essenzialità delle forme primitive, e, in Italia, in quelle di Carlo Lodoli. Nelle pubblicazioni di architettura si registra l’interesse per il gotico e una crescente attenzione verso le civiltà del Vicino e dell’Estremo Oriente (egizie, arabe, cinesi), riflesso del cosmopolitismo dei Lumi. In parallelo all’affermarsi della dottrina del bello ideale espressa da Winckelmann si delinea una visione opposta, che trova corrispondenza nelle forme irregolari della natura. Sullo sfondo delle discussioni sul bello e il sublime, nella seconda parte del secolo, si impone nella sfera delle arti la componente del sentimento.
Teorie architettoniche in Europa
Mentre, sul versante italiano, l’Architettura civile (1711) di Ferdinando Galli Bibiena, dedicata alla rappresentazione prospettica, raccoglie l’eredità della forma aulica barocca e dei suoi artifici scenici, in Francia, all’inizio del secolo, si preannunciano posizioni funzionaliste. L’abate Jean-Louis de Cordemoy (1631-1722), nel Nouveau traité de toute l’architecture del 1706, prende le distanze dagli eccessi formali del barocco, emblema del “cattivo gusto” e suggerisce di instaurare negli edifici un compromesso tra comodità, solidità e ragione con il ricorso a un lessico essenziale, fondato sulla geometria ortogonale, la semplificazione delle superfici, la drastica riduzione dell’ornamento.
Diverso si presenta il contesto culturale inglese che, grazie a Inigo Jones, si era aperto nel secolo precedente agli ideali classici del Rinascimento italiano nel segno del Palladio. Alla ripresa neopalladiana in Inghilterra contribuiscono due opere in particolare: la pregiata edizione de I quattro Libri dell’architettura di Palladio, curata dall’architetto veneziano Giacomo Leoni e conclusa nel 1721 e, soprattutto, il Vitruvius Britannicus di Colen Campbell, testo che diverrà il modello per la trattatistica successiva. Nell’introduzione, Campbell critica la stravaganza del barocco e la sua assenza di regole, per esaltare il principio di “semplicità” presente nell’architettura degli antichi, che egli ritrova pienamente nell’opera di Palladio. Negli stessi anni, l’architetto è chiamato dal giovane Lord Burlington, di ritorno dal primo viaggio italiano, a completare Burlington House a Piccadilly, dove realizza la prima facciata palladiana di Londra.
Nell’ambito della ricerca enciclopedica del secolo del Lumi si registra nelle pubblicazioni architettoniche una significativa apertura verso nuovi orizzonti geografico-culturali. L’opera Entwurf einer historischen Architektur dell’esponente del barocco austriaco J.B. Fischer von Erlach, edita nel 1721, fornisce immagini e notizie storiche su edifici ebraici, egizi, persiani, arabi, greci, romani, cui si aggiungono quelli cinesi (conosciuti attraverso il resoconto dell’olandese Jan Nieuhof del 1670) e giapponesi. Dal mitico tempio di Salomone al Palazzo Imperiale di Pechino e ai progetti barocchi dell’autore, la raccolta compone per la prima volta un quadro universale illustrato dell’architettura, secondo un nuovo metodo di analisi storico-comparativo che esce dagli schemi della trattazione architettonica tradizionale e si presta quale valido strumento di “nuove idee” per gli artisti.
Fortune del gotico e del giardino cinese
L’interesse per il gotico nel XVIII secolo rientra in una tradizione di pensiero di grande vitalità in Francia come in Inghilterra. Se il trattato di Cordemoy faceva emergere l’interesse per la leggerezza e la struttura, portando a teorizzare uno stile greco-gotico quale espressione di quello nazionale francese, Frézier del gotico elogia l’economia del sistema costruttivo (Traité de stéréotomie, 1737).
In Inghilterra Gothic Architecture (1742) dell’architetto e progettista di giardini Batty Langley (1676-1751) classifica in chiave vitruviana cinque ordini gotici, alla stregua di quelli classici, ed elegge il gotico a stile nazionale che raccoglie l’eredità dell’architettura greca.
William Halfpenny, dopo aver pubblicato un’edizione del Primo Libro di Andrea Palladio (1751) sigla sul piano ornamentale le analogie tra stile gotico e cinese nel volume Chinese and Gothic Architecture (1752). Maggior impulso alla conoscenza dei modelli dell’architettura e del giardino cinese viene da Designs of Chinese Buildings (1757) di William Chambers (1723-1796), che riporta disegni del viaggio compiuto in Cina e la testimonianza che i progettisti di giardini cinesi, come i pittori europei, imitano la natura e le sue irregolarità.
Negli stessi anni, Horace Walpole, “dilettante” e collezionista, concepisce in forme gotiche su pianta asimmetrica il castello di Strawberry-Hill (1750-1763), sulle rive del Tamigi presso Twickenham, per ospitare le sue raccolte d’arte e curiosità. Nella Descrizione della dimora (1774) dichiara che le atmosfere evocative di Strawberry-Hill, ispirate a un inedito repertorio di cattedrali gotiche e monumenti funebri, costituiscono l’autentico scenario in cui aveva ambientato il suo romanzo di successo Il Castello di Otranto (1764), opera che avrebbe inaugurato il fortunato genere del “ romanzo nero”, contribuendo a divulgare anche in ambito letterario la moda del décor neogotico.
Architettura e buon gusto
Nel quadro degli orientamenti classicisti sostenuti dall’Académie royale d’architecture di Parigi, a partire dagli anni Trenta si discute a più riprese sul buon gusto in architettura, tema già affrontato nel secolo precedente nel contesto della querelle fra Antichi e Moderni. Pur essendo un concetto vago e difficile da definire, il buon gusto viene considerato quel fattore indispensabile a determinare “l’armonia e l’accordo tra il tutto e le parti” di un edificio, “quel non so che che piace” cui anche Gabriel-Germain Boffrand dedica una dissertazione nel suo trattato Le livre d’architecture del 1745. Qui Boffrand presenta i suoi progetti realizzati durante il regno di Luigi XV, improntati a esterni di sobria monumentalità classica, con interieurs confortevoli, la cui raffinata ornamentazione rocaille si sposa con il principio della commodité che, nel suo lessico, definisce la distribuzione degli spazi in relazione alle esigenze dell’abitare. Sostenitore della “bella semplicità”, che diverrà il modello di un nuovo sentire estetico, Boffrand è particolarmente attento al carattere dell’edificio, che deve comunicare un’impressione ben definita sullo spettatore: concetto che porterà alla fine del secolo alla formulazione dell’“architettura parlante”, secondo cui l’edificio deve enunciare con chiarezza, attraverso la forma e una serie di rimandi simbolici, la propria funzione.
Conciliare la magnificenza dell’architettura antica con la piacevolezza degli interni francesi è l’intento che Jacques-François Blondel persegue nei progetti della raccolta Architecture française (1752-1756), in cui sintetizza la sua posizione al confine tra rococò e classicismo. Pubblicato dal 1771 e concluso dall’allievo Pierre Patte, il monumentale Cours d’Architecture Civile di Blondel costituisce la più estesa e articolata trattazione del XVIII secolo. Esso raccoglie gli argomenti delle sue lezioni tenute alla scuola privata di Parigi in cui si formeranno Ledoux, Boullée, Wailly (1730-1798): un sistema fondato sui precetti del classicismo francese (a partire dai principi delle proporzioni, qui per la prima volta messe in rapporto agli stati d’animo), rivisitato alla luce di un’educazione del gusto da acquisire e perfezionare costantemente con lo studio dei modelli del passato e l’imitazione della natura.
Le tesi funzionaliste di Lodoli e Laugier
Nel panorama italiano le posizioni più radicali si devono al francescano Carlo Lodoli, che elabora le proprie teorie architettoniche a Venezia tra il 1730 e il 1750. Muovendo dalla critica alla cultura rococò, Lodoli predica un’architettura funzionale dettata dalla ragione, che deve farsi specchio di una “eleganza non capricciosa”. In mancanza di scritti, il suo pensiero viene divulgato dal poligrafo Francesco Algarotti e, successivamente, dal patrizio veneto Andrea Memmo (1729-1793), entrambi suoi diretti discepoli a Venezia.
Antesignano di tesi moderne, Lodoli auspica l’avvento di un’architettura “castigata” volta a perseguire senza compromessi il fine dell’utilità, anche sul piano decorativo (“dal necessario ha da risultare l’ornato”) e su quello dei materiali conformi alla natura. Nel Saggio sopra l’architettura del 1757, Algarotti si limita a esporre la dottrina del “Socrate architetto”, senza peraltro condividerne l’intero suo sistema che, di fatto, mette in discussione la dottrina di Vitruvio e l’autorità universale degli ordini classici. Di idee più concilianti, Algarotti si mostra piuttosto orientato a una ripresa dell’architettura cinquecentesca in chiave palladiana. Si deve ad Andrea Memmo l’esposizione più fedele e sistematica della dottrina del Lodoli negli Elementi d’architettura lodoliana del 1786.
La piena affermazione del pensiero razionalista in Francia si ha con l’Essai d’architecture dell’abate Marc-Antoine Laugier, apparso nel 1753, che gode di vasta fortuna europea. Il nodo centrale della sua teoria è rappresentato dal discorso vitruviano sulla capanna primitiva, che trova consonanza con la filosofia del mito delle origini di Rousseau. Per rifondare il linguaggio dell’architettura, sostiene Laugier, occorre ritornare alla primitiva razionalità della capanna, i cui elementi costruttivi naturali e funzionali formano il disegno di un tempio greco, come illustra l’immagine allegorica del frontespizio dell’edizione del 1755.
Fondamentale nella concezione progettuale di Laugier è il principio della commodité, alla quale concorrono sia la posizione dell’edificio che la distribuzione e i disimpegni (dégagements), cui si attribuisce particolare rilievo.
Architettura tra ragione e sentimento
Coerenti con i principi del funzionalismo indicati da Cordemoy, Lodoli e Laugier, ma anche con la componente idealistica di Winckelmann e Mengs, gli scritti di Francesco Milizia sintetizzano le principali dottrine del neoclassicismo europeo. Nei Princìpi d’architettura civile (1781) egli ribadisce che l’architettura è “figlia di necessità” e i suoi fondamenti sono la bellezza, la comodità e la solidità. Nel Dell’arte di vedere nelle belle arti (1781), appoggiandosi ai principi di Sulzer e Mengs, espone, in forma più sintetica, il rigore del suo giudizio insofferente nei riguardi del barocco e lo aggiorna alle teorie dell’enciclopedismo francese, sottolineando la “grande influenza” delle belle arti sul “bene del popolo”.
Il sentimento suscitato dall’architettura, aspetto nuovo messo in luce da Laugier, è portato avanti da Nicolas Le Camus de Mézières (1721-1789) che si occupa delle analogie tra architettura e sensazioni (Le Génie de l’architecture, 1780). Preso in esame da Boffrand e da Blondel, il tema sarà sviluppato all’epoca delle utopie rivoluzionarie dalla riflessione di Etienne-Louis Boullée (Essai sur l’art, rimasto inedito fino al 1953), secondo cui un edificio, allo stesso modo di un poema, per essere “bello” deve essere in grado di suscitare emozioni. In linea con le teorie estetiche di Burke, Boullée ritrova l’effetto sublime di un’architettura nelle proporzioni grandiose o nella dimensione di penombra e oscurità.
La querelle Roma-Atene
Gli scritti di Winckelmann, le discussioni di antiquari ed eruditi quali Caylus e Mariette, le spedizioni archeologiche in Grecia, presto trasformate in affascinanti reportages illustrati in folio come quelli del francese Leroy e degli inglesi Stuart e Revett, contribuiscono in maniera decisiva alla rivelazione dell’arte ellenica. Nuove suggestioni e conoscenze giungono ad arricchire il repertorio delle forme architettoniche, originando un acceso dibattito su scala europea sul primato da attribuire alla civiltà greca o a quella romana. Dibattito che determina un’ondata di pubblicazioni tra le quali spiccano, per persuasione e potenza d’immagine, gli stupefacenti volumi polemici di Giambattista Piranesi. Con la Magnificenza ed Architettura de’Romani (1761) Piranesi inaugura l’appassionata battaglia ideologica a favore della superiorità di Roma, contro le posizioni teoriche dell’architetto francese Julien-David Leroy, che, nell’opera Les Ruines des plus beaux monuments de la Grèce (1758), aveva sostenuto l’influenza dell’architettura greca sui modelli romani, appoggiando le tesi di Caylus, Laugier e Mariette. L’incisore veneziano rivendica invece la discendenza della civiltà romana da quella etrusca e l’insuperata capacità ingegneristica e la maggiore varietà di ornamentazione del modello romano. Le violente accuse di Piranesi a Leroy sollecitano da Parigi la risposta dell’erudito Pierre-Jean Mariette, apparsa nel 1764 sulla “Gazette Littéraire de l’Europe”. Piranesi non tarderà a replicare, pubblicando le Osservazioni sopra la Lettre de M. Mariette (1765), seguite dal Parere su l’Architettura, scritto in forma di dialogo, testo emblematico del suo pensiero teorico a difesa della libertà creativa dell’artista.
Elogio della linea ondulata
Il rifiuto della simmetria classica è uno dei principi costitutivi del trattato di William Hogarth The Analysis of Beauty , pubblicato nel 1753. A metà tra saggio estetico e trattato di pittura, il testo teorizza un diverso ideale di bellezza rappresentato dalla linea serpentinata, capace di generare varietà, intrico e sorpresa e di suscitare nell’osservatore piacere intellettuale e stimolo estetico.
Hogarth, che è anche un pittore e incisore di successo, rintraccia i nuovi valori estetici nella “cangiante varietà della natura”, fonte inesauribile di idee: il suo universo dinamico consente di sperimentare nuove modalità visive e di sostituirsi alla pratica dell’imitazione dell’antico e all’autorità del canone occidentale fondato sull’armonia delle proporzioni.
Discussioni sul bello, il sublime e il pittoresco
Punto di arrivo della riflessione estetica di primo Settecento, l’Inchiesta di Edmund Burke sulle categorie del Bello e del Sublime (A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beatiful), apparsa nel 1757, introduce e legittima l’idea di una bellezza anticlassica. Il concetto di Sublime, antitetico rispetto al Bello che si limita a suscitare un piacere positivo, inquadra un’esperienza emotiva associata al sentimento di terrore (“tutto ciò che è terribile è sublime”), che genera un particolare piacere (delight), tanto più intenso quanto più si avvicina all’oggetto che l’ha suscitato. La gamma di sentimenti che sostanziano il Sublime riporta il soggetto a situazioni di grandiosità, vastità, oscurità, potenza, infinità, che lo spingono a oltrepassare la soglia del razionale.
Il termine “pittoresco”, impiegato nel vocabolario artistico fin dal XVI secolo per designare ciò che è fatto “alla maniera dei pittori”, si evolve semanticamente tra Inghilterra e Francia nel corso del secolo, fino a identificare da una parte la modalità di disporre i vari elementi di un dipinto in funzione di un effetto, dall’altra una categoria del gusto opposta ai valori classicisti, che trova campo di espressione privilegiato nell’arte dei giardini. In A Dissertation on Oriental Gardening (1772), il suo testo più noto, l’architetto William Chambers (1723-1796) prende parte al dibattito sul pittoresco rivendicando l’origine cinese del giardino paesistico, entrando in aperta polemica con Lancelot “Capability” Brown e la sua idea di paesaggio naturale da ricostruire artificialmente, che concepisce in continuità con il territorio della campagna inglese.
È William Gilpin nei Three Essays (1792) a tratteggiare gli aspetti della bellezza e della composizione pittoresca, che consiste nell’unire una varietà di parti, e a ricondurre la sua cifra irregolare all’asperità delle superfici o alla forma abbreviata di uno schizzo o di un abbozzo. Sullo scorcio del secolo, la riflessione di Uvedale Price An Essay on the Picturesque (1794), nel porre a confronto pittoresco, bello e sublime, fa emergere le molteplici variabili del pittoresco nei contesti dell’arte e della natura, contribuendo ad aprire nuove discussioni.