impresa, teorie della
Insieme di indirizzi di ricerca che studiano la natura dell’i., la sua organizzazione, il suo funzionamento e le relazioni con i mercati.
Nel modello concorrenziale di base, o modello walrasiano, l’analisi dell’i. rappresenta solo una componente della teoria dei prezzi e dell’allocazione delle risorse (➔ allocazione). L’i. è una ‘scatola nera’, che combina i fattori di produzione per realizzare i prodotti, ma non è un oggetto di analisi; il comportamento dell’imprenditore è guidato esclusivamente dai mercati. I mercati forniscono istantaneamente tutte le informazioni economiche necessarie alla decisione. Di conseguenza, l’organizzazione interna non ha nessun ruolo nell’allocazione delle risorse.
La teoria dell’i. si è sviluppata a partire degli anni 1930, con le prime interrogazioni sulla validità del modello concorrenziale. Il punto di partenza può essere identificato nel lavoro di P. Sraffa (1926), che ha rimesso in questione il realismo e la coerenza del modello di concorrenza perfetta (➔ p). La ricerca di nuovi fondamenti all’analisi dell’i. si è evoluta successivamente in diverse direzioni. Un primo indirizzo si è concentrato sugli obiettivi dell’impresa. A.A. Berle e G.C. Means (1933) hanno sostenuto che una delle caratteristiche principali dell’i. è la separazione tra la proprietà (gli azionisti che detengono il capitale dell’azienda) e il controllo, esercitato dai dirigenti che prendono le decisioni operative. Da questa separazione può nascere un conflitto d’interessi. W.J. Baumol (1959) e R. Marris (1964) hanno ripreso queste riflessioni mostrando che l’obiettivo principale dell’i. non è necessariamente la massimizzazione del profitto, ma piuttosto quella delle vendite o del tasso annuale di crescita.
Un’altra direzione di ricerca ha riguardato l’ipotesi di razionalità. Negli anni 1950 H.A. Simon ha proposto una revisione radicale dell’analisi dei comportamenti economici, basata essenzialmente su un nuovo approccio alla razionalità. Il modello walrasiano suppone infatti che gli individui siano razionali, vale a dire capaci di cogliere tutte le informazioni pertinenti alle loro decisioni e di realizzare calcoli di ottimizzazione complessi. Per Simon, è più realistico supporre che gli individui non cerchino il risultato migliore, ma il risultato più soddisfacente (non il profitto massimo ma un profitto ragionevole) date le condizioni (razionalità limitata, ➔ razionalità). La teoria manageriale dell’i., di R.M. Cyert e J.G. March (1963), si è sviluppata a partire dalle idee di Simon, considerando l’i. come un insieme di gruppi con interessi molteplici ed esaminando i processi di decisione e di apprendimento collettivi.
L’approccio contrattuale è un altro filone di ricerca dei fondamenti della teoria dell’impresa. R.H. Coase (1937) solleva la questione dell’esistenza dell’i., che non è spiegata dal modello walrasiano, e argomenta che l’informazione non è perfettamente e simmetricamente allocata tra gli agenti economici. Si creano così costi delle transazioni sul mercato, che possono essere risparmiati con la costituzione dell’impresa.
Anche tale indirizzo teorico (dovuto a O.E. Williamson) giustifica la costituzione delle i. in base al risparmio dei costi di transazione possibili in particolari condizioni. Per Williamson, i costi di transazione sono determinati principalmente dal comportamento degli individui, caratterizzato da razionalità limitata e opportunismo. Le caratteristiche che sono all’origine dei costi di transazione sono la specificità degli investimenti, l’incertezza e la frequenza delle transazioni.
Dagli anni 1970 questa teoria ha conosciuto molti sviluppi. L’i. è considerata come un insieme di contratti e vengono analizzate diverse problematiche, come la produzione in squadra (A.A. Alchian e H. Demsetz) o l’agenzia, vale a dire la delegazione delle responsabilità ai dipendenti (M.J. Jensen e W.H. Meckling, E.F. Fama).
Tale teoria propone un approccio radicalmente diverso, in cui il cambiamento e il progresso tecnico sono al centro dell’analisi. I sistemi economici evolvono secondo dinamiche determinate in maniera endogena dall’emergenza di innovazioni nei prodotti, nei processi e nelle forme organizzative. Secondo la teoria evolutiva, i fenomeni di apprendimento e di accumulazione di conoscenze hanno un ruolo essenziale nello sviluppo dell’i. (G. Dosi, D.J. Teece, R.R. Nelson e S. Winter). Una questione essenziale è quella della coerenza dell’i., che sorge da due osservazioni empiriche: le i. sono eterogenee, offrono portafogli di prodotti molto diversificati, e la distribuzione dei portafogli di prodotti nelle i. e tra le i. non è aleatoria. Il grado di prossimità delle attività delle i. moderne è la coerenza. La teoria dell’i. deve allora spiegare gli elementi che distinguono le i., le ragioni per cui ogni i. comprende un portafoglio di attività non aleatorio, e secondo quali logiche le i. evolvono e si trasformano. L’apprendimento e le routine sono al cuore dell’analisi. È la natura stessa delle competenze e dei processi d’apprendimento realizzati che determina l’evoluzione dell’impresa. Questo approccio si fonda anche sui lavori di E. Penrose, secondo la quale la crescita delle i. dipende dalle risorse e dai servizi resi da queste risorse grazie all’esperienza e alle conoscenze accumulate nell’impresa. Tale indirizzo ispirerà un altro approccio, le teorie basate sulla centralità delle risorse (resource-based view of the firm).
Patrizio Bianchi, Sandrine Labory