Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La dottrina economica più importante cui si ispirano i governi è il mercantilismo, che vede nel possesso di denaro e di metalli preziosi la fonte della ricchezza nazionale: per aumentarla l’attività economica dello Stato diventa una vera guerra commerciale destinata a limitare le importazioni e incrementare le esportazioni nei Paesi concorrenti. Il protezionismo fa parte di questo progetto, induce a imporre forti tasse ai beni esteri e a mantenere bassi i prezzi delle merci nazionali.
La ricchezza nel mondo è una quantità fissa
La riflessione sull’economia dipende nel Seicento dalla nuova prospettiva degli Stati nazionali, concepiti come corpi unificati e impegnati nella lotta per il potere contro altre comunità politiche simili. Ogni Stato possiede una personalità propria e un’organizzazione economica integrata e autonoma.
È idea comune che il volume totale del potere e della ricchezza disponibili per tutti i Paesi sia una grandezza approssimativamente fissa: un paese può avvantaggiarsi nella lotta per il potere e la ricchezza solo a discapito degli altri. Allo stesso modo la ricchezza all’interno di una nazione è fissa, e chi ne possiede di più la sottrae ad altri.
La riflessione teorica sull’economia riguarda perciò i modi di controllare la ricchezza: nessuno guadagna se un altro non perde.
Lo sostiene anche il filosofo Francis Bacon, secondo cui l’accrescimento di ogni proprietà “deve andare a scapito di qualche straniero, poiché qualsiasi cosa si ottenga in un luogo si perde in un altro” (“Delle sedizioni e dei torbidi”, in Saggi o consigli, civili e morali, Londra, 1625).
Il mercantilismo
Le politiche economiche dipendono dalla concezione generale della disponibilità limitata delle ricchezze, e si attengono a una nuova strategia che verrà poi chiamata “mercantilismo” nel Settecento da Adam Smith. Altri lo chiameranno anche “sistema commerciale” o “protezionismo storico”. Esso è di fatto un vero sistema di potere e di controllo statale dell’economia secondo le direttive del sovrano.
La ricchezza della nazione si identifica con la sua riserva di metalli preziosi e di moneta aurea di cui è vietata l’esportazione. Risultato di questa impostazione è che l’attività economica appare come un conflitto tra nazioni per la distribuzione delle merci e il controllo delle materie prime, nonché per la conquista di metalli preziosi e monete auree che aumentano dall’esterno la ricchezza dello Stato.
La guerra diventa uno sbocco naturale delle rivalità economiche e il commercio internazionale è uno degli strumenti di questo conflitto: vantaggi e risultati delle guerre si misurano sul confronto tra spese sostenute e denaro realizzato.
Ha origine così un’economia nazionale destinata ad appoggiare la potenza dello Stato, aumentarne le risorse, procurare rifornimenti di armi, munizioni, vascelli prodotti sul territorio nazionale. Metalli e monete diventano merce necessaria per sostenere lo Stato unitario.
Occorre allo stesso tempo incrementare le entrate dello Stato elevando il livello della tassazione e sviluppare la produzione economica per distribuire beni e moneta nella nazione e aumentare i proventi che si possono tassare, ma occorre anche pagare i funzionari statali e i soldati degli eserciti nazionali. Diventa essenziale acquisire il denaro che serve a mantenere funzionari statali, finanziare le guerre, sostenere le politiche economiche mercantiliste di difesa dell’economia interna. La moneta diventa la vera forza organizzatrice delle guerre, e insieme il loro obiettivo.
L’economista Edward Misselden inventa la nozione e l’espressione di “bilancia commerciale” per indicare la differenza tra spese globali per le importazioni e proventi delle esportazioni. È subito seguito da Roger Coke e Thomas Mun.
Per controllare l’economia e i prezzi delle materie prime, in Inghilterra è inventata la “regia patente di monopolio” che attribuisce a certi individui o imprese il diritto esclusivo di produrre o vendere determinate merci. Si creano numerosi monopoli particolari, in genere riservati a compagnie commerciali mercantili che si procurano le merci nelle colonie. I monopoli esistono però anche per l’esportazione: in Inghilterra per esempio solo la compagnia Merchant Adventurers può regolare l’esportazione dei tessuti grezzi prodotti in patria, e quindi per produrre ed esportare tessuti occorre esservi iscritti.
Tra i principali sostenitori dell’importanza del controllo della moneta e dell’acquisizione dei metalli preziosi si contano Sigismondo Scaccia, Gerard de Malynes, Samuel Fortrey, Thomas Mun e Antonio Serra.
Tre fasi del pensiero mercantilista
Nel mercantilismo si distinguono tre periodi, chiamati “bullionismo”, “mercantilismo baconiano” e “mercantilismo evoluto”, cui corrispondono diverse tesi sull’origine della ricchezza economica.
Nella fase del “bullionismo” – il termine deriva dall’inglese bullions e si riferisce all’oro o all’argento in lingotti – la ricchezza del Paese è interamente identificata con il possesso di metalli preziosi. Oggetto di studio è come si può accrescere il tesoro o la quantità di moneta aurea di un Paese a scapito degli altri Paesi che perseguono lo stesso obiettivo.
Nel “mercantilismo baconiano”, negli anni centrali del secolo, si afferma che in economia agiscono forze naturali la cui azione non deve essere disturbata dall’intervento dello Stato. Le grandezze e le leggi economiche vengono descritte come sottoposte a norme e principi che ne regolano l’azione e gli effetti, usando gli stessi criteri descrittivi della meccanica moderna.
In questo periodo si comincia a studiare scientificamente l’economia: si usano dati statistici ricavati dall’esperienza; si definiscono concetti come “valore”, “prezzo” e “moneta”; si abolisce la distinzione morale tra comportamenti leciti o illeciti in economia: i comportamenti economici – come il perseguimento del proprio interesse – diventano moralmente neutri.
Il “mercantilismo evoluto”, che si afferma solo nella prima metà del Settecento, si rivolge infine allo studio dell’intero sistema economico e in particolare al rapporto tra leggi economiche e intervento dello Stato.
Il protezionismo e il colbertismo
Il protezionismo è la difesa della produzione di un Paese ottenuta ostacolando le importazioni dall’estero o gravandole di tasse e barriere doganali che ne alzano i prezzi e le rendono non concorrenziali all’interno del paese. Di solito è attuato per difendere i Paesi dall’aggressione economica esterna e sostenere l’economia nazionale, dal momento che la difesa dell’economia è considerata parte integrante della difesa nazionale.
In Francia si attua una particolare forma di protezionismo che prende il nome di “colbertismo” da Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze di Luigi XIV dal 1663 al 1683. Ne era stato precursore Pierre Le Boisguillebert.
Nel “colbertismo” le misure economiche e sociali sono dominate dall’obiettivo di una ambiziosa politica nazionale. Ogni attività è destinata ad accrescere la potenza politica e militare della Francia, compresa la conquista di nuovi territori. Essenziale è l’incentivazione di industrie nazionali che siano concorrenziali con quelle estere e in grado di esportare merci nei Paesi concorrenti, diventando strumento di espansione economica e di influenza politica e monetaria. Allo stesso tempo questo procura lavoro ai cittadini e ne stimola i consumi.
Inoltre Colbert ritiene utile specializzare le produzioni e incrementare quelle di beni di lusso che si segnalino per la loro qualità e vengano quindi ricercati dai consumatori esteri, incidendo sulle bilance commerciali dei rispettivi Paesi. In questa prospettiva, Colbert ricostruisce l’industria francese delle manifatture, rende obbligatorie le corporazioni professionali specializzate, crea monopoli controllati dal governo, ed elimina quasi completamente le importazioni, gravandole peraltro di alte tasse doganali. Infatti, nel 1664 Colbert introduce una tariffa doganale unificata su tutti i prodotto importati dall’estero, indipendentemente dal luogo di provenienza e da quale sia il loro prezzo reale di mercato.
Jean-Baptiste Colbert
Protezionismo
Memoriale sugli acquisti necessari per la marina
Fontainebleau, 3 giugno 1666.
È necessario tener presente con cura, a proposito degli acquisti da fare, che bisogna comprare in Francia e non all’estero, quand’anche le mercanzie fossero un po’ meno buone e un po’ più care, poiché, per il fatto che il danaro non esce dal regno, lo stato riceve un duplice beneficio in quanto non si impoverisce e i sudditi di Sua Maestà si guadagnano la vita e danno impulso alla loro attività. Per fare un esempio: le tremila canne da moschetto di tre piedi e mezzo e del calibro da sedici alla libbra, ordinate in Biscaglia, potrebbero con facilità essere ordinate o nel Forez o nel Nivernese. [...] Oltre a questa attenzione, in generale, ad acquistare sempre le merci ed a creare le manifatture in Francia, bisogna anche tener presenti alcune distinzioni da fare all’interno del regno: le province che pagano la taglia e altre imposte secondo la volontà del Re devono essere più care e in maggior considerazione per Sua Maestà di quelle che godono il privilegio degli Stati: il che significa che si debbono acquistare merci e impiantare manifatture nel Saintonge, nell’Angumois, nella regione d’Aunis, piuttosto che in Bretagna. Le centoventi migliaia di ferro richieste in Spagna avrebbero potuto essere fabbricate, se non tutte almeno in parte, nelle fonderie di Angoumois, Poitou, Périgord e Guyenne e anche in quelle di Bretagna; e, dal momento che la Francia ha maggior abbondanza di ferro di ogni qualità di qualsiasi altro paese al mondo, bisogna adoperarsi perché la manifattura del ferro sia altrettanto buona di quella spagnola. Quanto al catrame, bisogna ordinare al signor Lombard di Bordeaux di mandare tutto quello che si produce in Médoc. Bisogna diligentemente mettere le tre fregate di Brest, cioè quella da 900, quella da 1000 e quella da 1100, in grado di affrontare il mare e di essere utilizzate entro l’anno. [...] Per i cannoni, io spero che ne avremo 4 o 500 di ferro di Svezia nel corso di quest’anno. Riguardo al rame, bisogna che il signor du Terron faccia lavorare con grande urgenza la fonderia di Saintes.
Quanto ai proiettili, la Bretagna, l’Angoumois e il Nivernais possono fornirne in quantità sufficiente; occorre farne fare a due teste e a catene, in grande quantità [...]
in La storia moderna attraverso i documenti, a cura di A. Prosperi, Bologna, Zanichelli, 1974
La Francia diventa così produttrice di articoli di alto artigianato (vetro, tessuti, porcellane) esportati ovunque. Viene incoraggiata l’immigrazione di operai specializzati destinati a lavorare nelle grandi manifatture di Stato, come la fabbrica di tappeti, mobili e arazzi dei Gobelins e le vetrerie di Saint-Gobain (dove lavorano maestri operai veneziani), i cui proventi finiscono direttamente nelle casse dello Stato.
Colbert sviluppa l’agricoltura e le colture industriali, contiene i prezzi per decreto e, tramite i bassi salari, facilita le esportazioni e il conseguente ingresso nel Paese di oro e argento che, grazie alle tassazioni, finiscono nel tesoro di Stato. Anche le vie di comunicazione sono estese e migliorate, in particolare le vie d’acqua, con l’apertura di grandi canali e l’allargamento dei fiumi.
Altro aspetto della politica di Colbert, che segue quanto si sta già facendo in Inghilterra, è lo sviluppo della marina e il potenziamento delle compagnie per il commercio con i diversi Paesi americani, asiatici e africani. Le Compagnie organizzano colonie, creano basi commerciali, e possono muovere vere guerre per conto proprio nei Paesi coloniali.
Proteggendo il commercio ed il progresso
L’atto di navigazione del 1660
Per il progresso dell’armamento marittimo e della navigazione, che sotto la provvidenza e la protezione divina interessano tanto la prosperità, la sicurezza e la potenza di questo Regno (...) Nessuna merce sarà esportata o importata dai paesi, isole, piantagioni o territori appartenenti a Sua Maestà o in possesso di Sua Maestà, in Asia, America e Africa, in altre navi che non siano quelle che, senza frode, appartengono a sudditi inglesi, irlandesi o gallesi, o anche ad abitanti di questi paesi, isole, piantagioni e territori, e che sono comandati da un capitano inglese e con equipaggio per tre quarti inglese (...) Nessuno straniero nato fuori della sovranità del nostro Re, o non naturalizzato, potrà esercitare la professione del Nessun mercante o dell’agente in uno dei luoghi sopracitati, sotto pena di confisca di tutti i suoi beni e le sue merci. (...) Nessuna merce prodotta o fabbricata in Africa, Asia e America sarà importata in Inghilterra, Irlanda o Paese di Galles, isole di Jersey e Guernesey, e città di Berwick sulla Tweed in altri vascelli che non siano quelli appartenenti a sudditi inglesi, irlandesi o gallesi e che non siano comandati da capitani inglesi con equipaggio per i tre quarti inglese. Nessuna merce prodotta o fabbricata all’estero, che dev’essere importata in Inghilterra, in Irlanda, nel Paese di Galles, nelle isole di Jersey o di Guernesey (...) dovrà essere imbarcata in altri porti che non siano quelli del paese di origine. (...) Non sarà d’ora innanzi consentito imbarcare su una nave, il cui o i cui proprietari sono in tutto o in parte stranieri e il cui equipaggio non è inglese per almeno i tre quarti, merci, pesci, vettovaglie, che siano inviati da un porto o da uno scalo dell’Inghilterra, dell’Irlanda o del Paese di Galles a destinazione di un altro porto di questi paesi e regni d’Inghilterra, Irlanda e Paese di Galles, sotto pena di confisca delle merci e della nave. (...) Tutte queste disposizioni non si applicano alle specie monetarie e alle prede di corsa. (...) Nessuna qualità di zucchero, tabacco, cotone, zenzero, indaco o altri legni per tingere, prodotti o fabbricati nelle piantagioni inglesi di America, d’Africa o d’Asia potrà essere esportato altrove, se non in un’altra colonia inglese o in Inghilterra, Irlanda, Paese di Galles.
in La storia moderna attraverso i documenti, a cura di A. Prosperi, Bologna, Zanichelli, 1974
Una tappa fondamentale è l’emanazione da parte del governo repubblicano inglese dell’Atto di Navigazione (Navigation Act) nel 1651, poi modificato nel 1660 nel Secondo Atto di Navigazione. Si tratta di un regolamento commerciale che stabilisce che tutte le colonie sono subordinate al Parlamento di Londra: questo rende possibile una coerente politica imperiale fondata sul commercio, e il monopolio della marina inglese sui traffici coloniali.
Nel 1624 è già stato emanato in Inghilterra uno Statuto dei monopoli privati che ne limita il numero e li condiziona all’approvazione del re. Nel 1600 è stata fondata la Compagnia inglese delle Indie orientali, che detiene il diritto esclusivo dei commerci con l’India, e che nel 1661 ottiene il diritto di muovere guerre per conto proprio.
Con rapidità e modalità diverse, tutti i Paesi europei adottano politiche mercantiliste e protezioniste. Tra i principali teorici e sostenitori delle politiche protezioniste si contano in Francia Laffémas, Montchrétien, in Spagna de Mariana e Suárez, in Inghilterra Petty, Davenant, Coke, Child, Fortrey.
È anche in conseguenza dei loro studi e delle loro analisi che nel 1694 il governo inglese crea a Londra la Banca d’Inghilterra, istituto centrale di credito dello Stato che d’ora in poi costituirà e controllerà il tesoro e la moneta della nazione, separando nettamente le proprietà dello Stato, del sovrano, e dei ministri di governo.
In Spagna, nella fase più acuta della crisi, alcuni scrittori – noti con il nome di arbitristas – offrono proposte (arbitrios) su problemi di politica generale. A differenza degli arbitristas del secolo precedente, che offrivano soluzioni impraticabili, Moncada, Navarrete, Leruela, Lopez Bravo e Lope de Deza mostrano una acuta coscienza della crisi e suggeriscono soluzioni quali la creazione di un’imposta unica, la revisione della politica nei confronti dei moriscos e degli statuti di limpieza.
Tesi sul valore, i prezzi, la moneta
Molto seguito, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, è il dibattito sull’usura e sull’interesse del denaro, che viene considerato la forma di usura lecita nel mondo economico moderno, a patto che non superi determinati tassi.
Del valore del denaro e del tasso di interesse discutono Vaughan, Saumaise e i già citati Child e Malynes, giungendo alla conclusione che l’esazione di interesse sul prestito di denaro è fatto lecito nell’economia moderna: la percentuale dell’interesse diminuisce comunque progressivamente nel corso del secolo.
Tra i concetti di cui si discute maggiormente vi è quello del “valore” dei beni. Petty, seguito da Barbon, propone che il valore sia stabilito in base a un parametro comune a tutti gli oggetti, nella fattispecie il denaro: tuttavia esso non è che la sintesi del valore della terra e del lavoro, dunque il parametro reale di misurazione è il lavoro che è stato necessario per produrre l’oggetto.
Per la prima volta è descritto il meccanismo internazionale dei prezzi come sistema regolatore della distribuzione dell’offerta di moneta, mentre si inizia a osservare che la quantità degli scambi di denaro, ovvero degli acquisti e delle vendite di merce, fa progredire l’industria e il commercio.
Il valore del denaro viene analizzato, oltre che come parametro del lavoro, anche in relazione al valore del metallo che costituisce le monete (per esempio da Vaughan, Laffémas, Malynes), mentre Barbon osserva che prezzo e valore dei beni dipendono dalla loro presenza sui mercati, ovvero dalla domanda e dall’offerta. Che il mercato sia un meccanismo integrato autonomo e dotato di un suo proprio equilibrio è sostenuto, tra i primi, da North e Misselden, che fondano la teoria economica liberista, mentre gli economisti King e Davenant iniziano a individuare nel rapporto tra domanda e offerta di beni il meccanismo regolatore del prezzo delle merci.
Del valore del denaro e dei beni, in relazione alla loro diffusione sul mercato, si occupano comunque numerosi autori, che spesso sostengono l’adozione di denaro di carta, in forma di banconota, proprio per separare il valore del metallo delle monete dal valore del denaro come parametro comune di scambio: tra loro Potter, Asgill, Cary e Davenant. Nel saggio Il segreto della ricchezza (1650) l’economista mercantilista William Potter attira l’attenzione sul problema della velocità di circolazione della moneta, suggerendo che la sua rapidità, se interessa grandi quantità di moneta, favorisce l’industria e il commercio; è perciò favorevole alle banconote di carta in sostituzione delle monete in metallo. L’economista John Asgill nel trattato Sulla creazione di un’altra specie di moneta oltre l’oro e l’argento (1696) propone l’adozione generale delle banconote di carta, che secondo lui determinerebbe l’aumento del valore della terra e l’abolizione dell’interesse sulla moneta. Nel trattato Sulla moneta e il credito in Inghilterra (1696), l’economista mercantilista John Cary difende l’adozione delle banconote di carta, considerate una forma moderna di credito fiduciario, e propone di creare una banca di emissione generale che faccia prestiti anche allo Stato. Charles Davenant in Due discorsi sulle entrate pubbliche e il commercio d’Inghilterra (1698) considera poco utile limitare il commercio estero e coloniale. Secondo l’autore, la ricchezza delle nazioni proviene dal lavoro e dall’industria, che si accresce anche senza afflusso di moneta dall’estero; ciò che importa è lo sviluppo della produzione.
La banconota viene chiamata “moneta fiduciaria” perché basa il suo valore sulla fiducia che essa sia riconosciuta dagli altri individui, sulla base del suo controvalore in metallo prezioso depositato in banche di Stato. È quindi nel corso del Seicento che inizia l’uso delle banconote di carta in sostituzione delle monete in metallo prezioso.
Tutti i teorici osservano che occorre incrementare i consumi per favorire l’economia, e che per aumentare i consumi occorre aumentare il numero delle persone che lavorano e che dispongono quindi di denaro. Si distingue tuttavia tra occupazioni produttive e improduttive: cioè quelle che creano beni artistici o di lusso, o considerati comunque superflui alla pura sopravvivenza.
Tra i teorici dell’economia che si occupano del denaro, del consumo dei beni, e delle diverse occupazioni, si distinguono ancora Petty, North, Child, Davenant, Mun, ma anche autori meno noti come Potter, Graunt, Temple, Cary, Asgill, Pollexfen, e l’anonimo Philanglus.
King, Petty, Graunt e Davenant sono infine considerati i fondatori dell’economia statistica e della demografia moderna perché analizzano matematicamente i rapporti tra natalità, mortalità, e situazione economica e sociale delle popolazioni, nonché i loro atteggiamenti verso il consumo di beni.