teosofia
Dal gr. ϑεοσοφία, comp. di ϑεός «dio» e σοφία «sapienza». In origine, saggezza o scienza concernente Dio o le cose divine; con questo significato il termine appartiene alla tradizione neoplatonica e allo pseudo-Dionigi. Ripreso da questa tradizione, il termine è stato usato, in età moderna, per significare dottrine filosofico-religiose richiamantisi a un tipo superiore di saggezza o gnosi proveniente da Dio. La t. così intesa ha avuto particolare fortuna nella cultura europea fra Cinquecento e Settecento: da Paracelso e Agrippa di Nettesheim a Fludd e ai rosacrociani, da S. Franck a Weigel e Böhme, da Saint-Martin a Swedenborg e Oetinger, e ancora, nell’Ottocento, in Baader e nell’ultimo Schelling; motivi teosofici sono ampiamente presenti anche nella massoneria. Nell’accezione corrente si intende per t. la dottrina e il movimento, con caratteri religiosi, propugnata dalla Società teosofica. Come tale, il termine t. indica, in generale, un tipo di conoscenza superiore (sorta di gnosi) a carattere iniziatico e soteriologico, di origine divina e sempre presente nella storia dell’umanità in forme occulte e ‘rivelate’ a pochi iniziati: questa conoscenza, che si differenzia da ogni comune forma di conoscenza teologica o filosofica, permetterebbe di cogliere i nessi segreti che collegano Dio, mondo e uomo (così da unirli in un solo sapere); in questa prospettiva si svolge un’interpretazione simbolico-allegorica della natura e dei testi sacri, quale più autentica via di accesso a «misteri» della realtà (anche il linguaggio assume qui rilievo simbolico).
La t. (nel significato moderno) sorge con gli scritti di Blavatskij (➔), che costituiscono la base della dottrina: nel 1875 fu fondata a New York la Società teosofica, di cui la Blavatskij fu la prima segretaria e presidente fu Olcott (➔). Secondo la t. tutte le religioni del mondo conservano soltanto residui parziali di un’antica verità divina conosciuta nelle varie epoche da un ristretto numero di grandi iniziati, che però non ne avrebbero divulgato che gli aspetti conformi alle condizioni culturali del momento e dell’ambiente. L’origine intellettualistica e la mancanza del culto non permettono di considerare la t. come una religione; tuttavia, dal punto di vista storico-religioso, essa mostra caratteri comuni a varie tendenze religiose antiche di tipo gnostico, in quanto si prefigge una conoscenza superiore della verità, conoscenza che non può essere acquisita per mezzo della sola ragione, bensì con l’aiuto di esperienze mistiche, di rivelazioni e di una determinata maniera di vivere. È caratteristico della t. anche il suo sincretismo fondamentale; benché in questo prevalgano, apparentemente, gli elementi di derivazione indiana, essi sono inseriti in una forma mentale tipicamente occidentale e determinata particolarmente dalla storia culturale del 19° sec.; tra i presupposti della t. si ritrovano, infatti, l’evoluzionismo, l’umanitarismo e, sul piano dottrinale, il monismo; sul piano della concezione storica, invece, le teorie di J.J. von Görres e di Creuzer. Secondo la cosmologia teosofica, tutto l’esistente procede dall’Uno, concepito come «supercoscienza»; ne procede innanzitutto il Creatore, che ha personalità triplice (Essere, Amore, Intelligenza) e che produce l’Universo disposto su sette piani (da quello materiale attraverso quello mentale fino a piani preclusi all’esperienza umana) secondo le vibrazioni della sua sostanza unica. L’uomo ha per fine supremo il ritorno all’Uno, ma il suo graduale perfezionamento richiede un gran numero di esistenze regolate dalla legge del karma. La Società teosofica si trasferì in India nel 1879, e si costituì (1905) in ente sociale nel Madras. La sua attività ebbe un impulso notevole dall’opera di Besant (➔), che succedette a Blavatskij. La Società teosofica raccolse numerosi adepti in tutto il mondo, in partic. nei paesi anglosassoni e germanici; il suo momento di maggiore fortuna fu il primo dopoguerra. Ebbe scissioni, tra cui la più notevole quella di Steiner (➔), che fondò la Società antroposofica.