TERAPIA GENICA
In biologia e medicina, è la terapia per la cura di patologie a determinazione genetica e non, che prevede l'introduzione nel paziente di frammenti di DNA contenenti i geni ''sani''. Questo tipo di terapia, che solo agli inizi degli anni Ottanta sembrava una prospettiva lontana e quasi impossibile, è diventato oggetto di sperimentazione avanzata grazie all'evoluzione concettuale e tecnica della biologia degli ultimi anni, che ha portato alla conoscenza di buona parte del genoma umano (v. Progetto genoma, in questa Appendice). Infatti, numerosi sistemi fisiologici sono ora noti sia nella forma ''normale'', sia in quella patologica, e sono state identificate anche le cause delle alterazioni: spesso quadri clinici complessi sono il risultato di specifiche variazioni di un singolo gene; per le patologie di questo tipo, come il deficit dell'adenosindeaminasi (ADA), l'emofilia, le emoglobinopatie, la malattia muscolare di Duchenne, la mucoviscidosi, e altre, si sta imponendo questo nuovo approccio teorico alla medicina e soprattutto alla terapia; e cioè l'inserzione di geni estranei nel paziente. I problemi che questa scelta pone sono numerosi, dalla messa a punto di sistemi di trasferimento e di espressione dei geni (vettori) che siano non solo efficienti ma anche sicuri nelle cellule dei pazienti, allo studio dei meccanismi di controllo dell'espressione genica. Ciononostante, alcune società di studi di mercato prevedono le prime applicazioni commerciali della t.g. entro la fine del 20° secolo, e l'Organizzazione Mondiale della Sanità ipotizza per lo stesso periodo le prime guarigioni dall'emofilia. La discussione è però ancora aperta: a tutt'oggi, mentre alcuni autori non ritengono che la t.g. possa essere utilizzata su vasta scala, altri ricercatori stanno sperimentando la possibilità di utilizzare la t.g. anche per patologie diverse da quelle a determinazione genetica, come le malattie acquisite (l'AIDS, la gran parte dei tumori, le malattie cardiovascolari come l'aterosclerosi, o le malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson). L'efficacia della t.g. dipende in gran parte dal modo in cui il frammento di DNA s'inserisce nella cellula ospite; con il metodo della ricombinazione omologa (cioè la sostituzione del gene ''malato'' con quello ''sano'') si potrebbe assicurare l'accuratezza del procedimento, ma questo tipo di approccio è stato possibile solo nel topo, in cui è permesso effettuare modificazioni stabili e definitive delle cellule germinali. Nell'uomo tutti gli approcci che modificano il patrimonio genetico ereditabile sono vietati dai comitati internazionali di bioetica. Per questa ragione gli attuali orientamenti strategici per la t.g. puntano non alla sostituzione del gene ''difettoso'', ma piuttosto all'inserimento di un frammento di DNA che possa stabilmente dimorare presso il nucleo (episoma; v. trasponibili, elementi, in questa Appendice) e svolgere così la funzione non attiva nel paziente.
Questo tipo di t.g., definita in vivo, si basa sull'inserimento diretto in cellule già differenziate o quiescenti, che difficilmente possono essere prelevate, di frammenti di DNA veicolati da vettori adenovirali o liposomi (vescicole sferiche costituite da un doppio strato lipidico). In via sperimentale si sta saggiando, con buone prospettive, anche l'utilizzo di cromosomi artificiali che potrebbero conferire maggior controllo dell'espressione genica e persistenza nella cellula ospite. Questa tecnica si applica prevalentemente per ripristinare l'attività di tessuti la cui attività dipende da costrizioni strutturali o meccaniche, come i muscoli striati, il muscolo cardiaco o i polmoni: infatti è stata sperimentata sulla mucoviscidosi (una malattia broncopolmonare). Potenzialmente potrebbe essere utilizzata nelle malattie neuromuscolari o neurodegenerative; in ratti affetti da morbo di Parkinson, vettori adenovirali non patogeni sono in grado di trasferire e mantenere nello striato denervato la produzione di idrossifenilalanina (L-Dopa) e di tirosina idrossilasi per lunghi periodi (quattro mesi), inducendo anche significativi miglioramenti del quadro clinico.
Sono state anche sperimentate tecniche ex vivo: si tratta cioè di modificare geneticamente in laboratorio cellule del paziente per poi riimmettere solo quelle correttamente modificate nell'organismo. Quest'approccio è possibile con ceppi cellulari che proliferano, come le cellule del tessuto ematopoietico, della pelle o degli endoteli; le cellule staminali del paziente vengono manipolate geneticamente e, una volta reintrodotte nell'organismo, trasmetteranno il gene ''estraneo'' alle cellule figlie. Queste, una volta reimpiantate nell'organismo, funzionano normalmente. In questo caso il sistema d'integrazione del gene è di solito un vettore retrovirale. Questa metodica è utilizzata per i tumori. Sono state sperimentate anche metodologie in vitro: insiemi di cellule modificate geneticamente (di solito fibroblasti), chiamati organoidi in quanto piccoli organi artificiali, vengono impiantati in modo da essere connessi al circolo sanguigno che irriga l'organo da trattare. In questo modo, tramite il circolo sanguigno, le proteine prodotte dall'organoide possono pervenire all'organo bersaglio.
Le applicazioni potenziali degli organoidi sembrano molteplici: potrebbero essere utilizzati ogni qual volta sia necessario trasferire il codice di una proteina che gioca un ruolo medicamentoso. Potrebbero, per es., essere utilizzati per produrre fattori necrosanti dei tumori o anticorpi monoclonati umani che inibiscono la proliferazione delle cellule tumorali o la loro capacità d'invasione dei tessuti. Nel topo questa tecnica è stata utilizzata con successo per correggere i sintomi della mucopolisaccaridosi, una patologia che dipende dal deficit di un enzima, la β−glucuronidasi; la semplice escissione chirurgica dell'organoide permette l'interruzione definitiva del processo.
Da quanto detto, appare chiaro che la t.g. è destinata a sollevare molteplici dibattiti di ordine non solo medico ma anche etico, giuridico e politico perché, a fianco degli evidenti benefici diagnostici e terapeutici, esistono gravi pericoli potenziali per i pazienti, il personale medico e l'ambiente. Solo un responsabile dibattito, che stabilisca chiari indirizzi già in questa fase ancora molto iniziale della ricerca, permetterà di ottenere il massimo beneficio sociale dalla t. genica.
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