OMEOPATICA, TERAPIA (dal gr. ὅμοιος "uguale" e πάϑος "affezione")
TERAPIA È una dottrina terapeutica derivante dalla scoperta fatta da E. Jenner (1749-1823) che l'inoculazione con le pustole vacciniche rende immuni dal vaiolo. Basandosi su questo fatto l'illustre medico inglese G. Hunter (1728-1794) fece rivivere un concetto assai antico, cioè che due malattie dello stesso genere non potessero esistere contemporaneamente nello stesso organismo e che il farmaco in ultima analisi non avesse altro ufficio all'infuori di quello di produrre una malattia simile a quella che era destinato a guarire. Il Hunter aggiungeva anche che l'azione medicamentosa non era né fisica né chimica, ma consisteva solo in un'impressione vitale, modificatrice delle disposizioni dell'organismo. A questi concetti preesistenti diede valore di una vera dottrina terapeutica Samuele Hahnemann (v.), il fondatore della omeopatia. Nel 1796 egli stampò nel Journal für Heilkunde di F. Hufeland la sua opera fondamentale: Versuch über ein neues Princip zur Auffindung der Heilkräfte der Arzneisubstance. Poco dopo, in una lettera diretta al Hufeland, egli scrive "otto anni di pratica scrupolosissima mi hanno fatto conoscere il nulla dei metodi curativi ordinarî... Ma forse egli è della stessa natura della medicina il non potersi elevare a un più alto grado di certezza? No, v'ha un Dio buono che è la stessa bontà e sapienza. Vi deve dunque essere un metodo creato da lui di studiare le malattie da un punto di vista vero e guarirle con certezza... Io non ascolterò più le opinioni arbitrarie con qualsiasi arte ridotte a sistemi: io non mi inchinerò più davanti all'autorità di uomini celebri, ma cercherò vicino a me codesto mezzo a cui nessuno ha mai pensato perché troppo semplice, troppo poco scientifico". Circa i due principî fondamentali della terapia omeopatica v. sotto.
Sfrondata di tutte le sue esagerazioni, l'omeopatia fu ai suoi tempi una buona ipotesi farmacologica. Stabilendo che non si poteva usare che un solo rimedio alla volta, ripuliva quella stalla piena d'immondizia che era, come diceva G. Stahl, la materia medica del sec. XVIII; sottoponendo i farmaci all'esperimento sull'uomo sano e sperimentandoli spesso con coraggio su sé stessi dava, o pareva dare, alla medicina, una solida base su cui posare le sue induzioni; togliendo ogni importanza alle spicole, agli uncini che gli iatromeccanici vedevano nei medicamenti, alle reazioni misteriose che vi cercavano gli iatrochimici e facendo invece notare l'importanza grande che ha l'organismo sul quale il farmaco è chiamato ad agire, faceva volgere l'attenzione dei medici su una verità troppo spesso dimenticata.
Le teorie hahnemanniane si sono andate poco alla volta trasformando per opera dei seguaci del maestro. G. Sieffert nella sua Introduzione generale alla terapeutica omeopatica (1910) scrive che non si può ammettere un dinamismo mistico e che se è vero che i limiti dell'azione medicamentosa si estendono molto più lontano di ciò che abitualmente si suppone, non è men vero che l'energia di un medicamento è incapace di manifestarsi nell'assenza di un conveniente substrato materiale; F. Fredault nella sua opera: Sui rapporti della dottrina medica omeopatica col passato della terapeutica (1852) dice che la guarigione non consiste nel sostituire le malattie medicamentose alla malattia vera, ma nel ristabilire per mezzo di un'appropriata eccitazione medicamentosa lo stato normale.
Esame della dottrina del Hahnemann alla luce dei tempi nostri. - Mentre il progresso della medicina è avvenuto attraverso a numerosi errori che sono a mano a mano caduti nella storia della medicina per un processo spontaneo di epurazione, sta di fatto che la dottrina hahnemanniana, violentemente osteggiata e ritenuta erronea in tutti i tempi, è rimasta viva fino ai nostri giorni resistendo a più di un secolo di lotta e a una fondamentale trasformazione di tutto lo scibile medico. Questa notevole vitalità ci avverte di andar cauti con le critiche sommarie. Verso la fine del sec. XVIII il Hahnemann, rigoroso e largo spirito scientifico, sfiduciato e disgustato per gl'insuccessi terapeutici della pratica medica, rinunciò all'esercizio della medicina, cadendo così in povertà, e, per mantenere la numerosa famiglia, si diede alla traduzione di testi antichi. Appunto traducendo la Materia medica di W. Cullen, egli rimase colpito dal grande numero di ipotesi che venivano esposte per spiegare la maniera di agire della chinina nella febbre malarica e di molte altre sostanze. Pensò allora che il miglior modo di studiarne l'azione era di sperimentarle su sé stesso. Cominciò così dalla chinina, di cui prese tutti i giorni una quantità uguale a quelle che ordinariamente si dà nella febbre palustre, dunque una dose "allopatica". Dopo alcuni giorni egli fu preso da diversi disturbi e da rialzi termici, che si ripeterono a intervalli regolari con le caratteristiche della febbre intermittente. Pensò allora che la chinina guarisse la malaria in virtù della sua proprietà (a dosi alte) di produrre manifestazioni sintomatiche simili a quella malattia. Riavvicinando questo fatto con altre osservazioni analoghe per altre sostanze e mezzi terapeutici fisici e col fatto che vi sono malattie i cui sintomi sono cancellati dal sopravvenire di altre malattie aventi sintomi consimili, egli concepì la legge che rappresenta la base della dottrina omeopatica: similia similibus curantur. Modernamente noi non abbiamo nulla da eccepire contro questo principio cui corrispondono molti esempî terapeutici. La questione è di sapere se questa regola si deve seguire in tutti casi (come vuole il Hahnemann) perché essa dà sempre migliori risultati che non la regola opposta contraria contrariis di Galeno, o se si devono seguire eventualmente altre regole o nessuna regola, regolandoci solo con l'esperienza, come ordinariamente si fa. E nulla si oppone a che nei casi in cui la terapia fatta in un indirizzo è fallita si provi l'altro indirizzo.
Un altro principio è quello della diluizione dei farmaci. All'inizio (1796) il Hahnemann usava dosi alte, notevolmente tossiche e non faceva questione di diluizioni, né del principio del potenziamento o dinamizzazione dei farmaci a mezzo di esse e del loro prolungato scuotimento. All'uso di queste dosi minime il Hahnemann fu indotto posteriormente dagli accidenti che provocò con le dosi tossiche. Soltanto gradualmente giunse a impiegare diluizioni sempre maggiori, che sottoponeva allo scuotimento prolungato; egli vide allora che con tali diluizioni se alcune proprietà si attenuavano, altre proprietà, fino a quel punto latenti, si sviluppavano e sostanze ritenute inerti, come metalli, silice, ecc., se sottoposte a questo metodo di preparazione, diventavano attive. Ma egli indubbiamente esagerò spingendo le diluizioni alla 30a potenza centesimale e oltre e prestò così il fianco alle critiche acerbe degli avversarî, al ridicolo e allo scisma fra i suoi seguaci con i quali polemizzò violentemente. Secondo i calcoli di L. Sabbatani dalla 13a diluizione omeopatica in su, non esiste più materia disciolta, in nessuno degli stati di dispersione nei quali si voglia immaginarla, molecole, ioni, atomi, elettroni. Ma, a parte ogni esagerazione, l'azione delle piccole dosi fu poi convalidata scientificamente dal Grauvogl e da T. Bakody tra i seguaci del Hahnemann, e nella scienza detta ufficiale specie da R. Arndt e K. E. Schultz. Arndt formulò la seguente legge biologica fondamentale: "piccoli stimoli eccitano l'attività vitale, stimoli medî la favoriscono, e i più intensi la sospendono". Schultz dimostrò la validità di questa legge anche per il trattamento farmacologico.
La legge della reversione dell'azione con il cambiamento della dose è oggi generalmente accettata e può spiegare come quei farmaci che a una forte dose stimolano le cellule a funzioni patologiche (analogamente ai corrispondenti agenti morbigeni), a dosi minori stimolino invece le stesse cellule alla reversione della funzione patologica ossia alla normalizzazione. Va però rilevato in tale caso che il principio attivo che è in causa non risponde più alla legge dei simili, ma a quella dei contrarî, perché l'azione del medicamento diluito è appunto invertita. Comunque per guarire appare evidente la necessità di scegliere un medicamento che, a grandi dosi, agisca nello stesso modo dell'agente morbigeno, perché poi a piccole dosi possa agire nel senso della normalizzazione.
Che i processi patologici cellulari siano predeterminati ereditariamente e sempre i medesimi di fronte agli stimoli più diversi, è nozione fondamentale, quindi volendo revertire (normalizzare) un preesistente processo patologico cellulare, non troppo avanzato da divenire irrevertibile, non vi sarebbe mezzo migliore di quello di cercare una tale sostanza che abbia affinità elettiva verso quello stesso gruppo cellulare, e che, fissandosi su di esso in dosi alte, agisca in senso eccitante, dunque aggravante sulle funzioni patologiche preesistenti di quelle cellule, donde la possibilità, a dosi minime, di dar luogo al loro ritorno alla normalità. Così i due suddetti principî del Hahnemann possono venire pienamente giustificati sul fondamento delle ordinarie azioni cellulari e interpretati in base alla legge di Schultz e della reversione dell'azione. Anche sospendendo del tutto le forti dosi acutizzanti vediamo intervenire la guarigione, perché con l'eliminazione del medicamento intervengono forse a un certo momento le piccole dosi di esso che revertirebbero la funzione patologica. Donde la nota legge terapeutica di acutizzare lievemente con gli agenti terapeutici le funzioni patologiche torpide onde guarirle.
Il principio secondo cui si deve adoperare un solo farmaco alla volta, fu parimenti giusto e immensamente benefico, come già è stato detto. Lo stesso si dica dell'ottima regola del severo regime dietetico, istituita dal Hahnemann che era molto versato nella dietetica. Questi ultimi due principî sono evidenti per sé stessi.
Un altro punto degno di ammirazione, fu quello di esigere a quei tempi il più rigoroso e costante controllo sperimentale circa l'azione dei medicamenti usati. Tale indirizzo risanò la terapia e rese il Hahnemann un vero precursore della moderna farmacologia, sorpassandola, anzi, quanto al rigore dell'esperimento, perché l'unico animale di esperimento ammesso fu l'uomo: sé stesso, i suoi familiari, gli allievi, gli amici, e coloro che accidentalmente o volontariamente erano colpiti da avvelenamenti. Così furono studiati non meno di un centinaio di medicamenti, e questo mirabile esempio di sacrificio personale e della famiglia, che rimase tradizionale fra i suoi seguaci, contribuì non poco a esaltare la figura morale di lui.
Il Hahnemann avvertì nettamente, da grande clinico, la notevole differenza che passa fra l'organismo umano e quello degli animali nel campo sperimentale e in questo precorse di un secolo i clinici dei nostri tempi, che hanno instancabilmente gettato l'allarme contro i danni dell'odierna eccessiva tendenza a identificare la fisiologia e la farmacologia degli animali di laboratorio con quella dell'uomo. Dobbiamo dire però che se vi sono grandi divergenze vi sono anche grandi somiglianze nei due casi dell'uomo e dei bruti.
Da parte sua il Hahnemann fu quindi eccessivo nell'escludere in modo radicale la vivisezione, metodo conoscitivo più profondo e controllabile dell'azione terapeutica. Alla sperimentazione sull'uomo manca infatti il controllo delle alterazioni anatomiche e funzionali interne, determinate con precisi istrumenti, come del resto alla sperimentazione sugli animali manca tutto il prezioso contributo delle sensazioni soggettive. Insomma, l'uno e l'altro metodo si completano a vicenda senza alcun dubbio.
Ancor più del Hahnemann paiono aver torto i moderni suoi seguaci, i quali, a maggioranza, anche su questo punto, non si rimuovono di una linea dalle vedute del maestro, che risalgono a oltre un secolo fa e trovano in ciò una giustificazione. Gli allievi odierni paiono non voler tener conto delle grandi conquiste posteriori della fisiologia, farmacologia e fisiopatologia sperimentali bene applicabili all'uomo e dovute alla vivisezione e in questo punto non possono essere approvati. Né si comprende bene come nel loro pietoso sentimento antivivisezionista, non considerino che esiste oggi una omeopatia veterinaria, la quale alla sua volta non può fondarsi esclusivamente sulla prova dei medicamenti fatta nell'uomo, per la stessa ragione della diversità del terreno sperimentale, ma esige che sia fatta sugli animali.
Dato il severo rigorismo scientifico che dominava la mente del Hahnemann era ben naturale che egli non potesse fondare la propria terapia né sulla eziologia, né sulla patogenesi delle malattie, così mal note ancora ai tempi suoi e fonti di diatribe infinite. Con il suo naturale carattere intollerante delle incertezze, troncò netto anche in questo campo, fondando la terapia esclusivamente sul terreno, d'altronde allora molto più positivo, della sintomatologia. Ciò rendeva possibile l'intervento terapeutico precoce anche in caso d'incertezza diagnostica o di errore di diagnosi; il sollecito intervento è una questione molto importante anche per gli omeopatici, perché essi sostengono che si può ottenere la guarigione combattendo empiricamente il sintomo, purché non si sia iniziata la lesione organica. Però rinunciando alla eziologia, alla patogenesi e alla diagnosi, caddero fatalmente nell'empirismo, che parificava, di fronte alla terapia, p. es. una cefalea da surmenage a quella determinata da un tumore cerebrale o a quella determinata da una insufficienza epatica o da un'autointossicazione intestinale, o da una insufficienza renale, tutte potendo essere monosintomatiche dei rispettivi quadri morbosi, per lo meno all'inizio e prive quindi di sintomi concomitanti che le differenzino.
Ancora il rigorismo scientifico e l'acuta osservazione clinica come condussero il Hahnemann a sollevare il problema della differente azione dei farmaci fra uomo e animali, gli fecero porre quello dell'azione differente da uomo a uomo, donde il principio della stretta individualizzazione nella scelta dei farmaci. Poteva infatti il farmaco non provocare date reazioni in una data individualità, o provocare reazioni diverse da quelle usuali. In tal caso veniva a mancare la corrispondenza tra farmaco e sintomo morboso. Anche per questo lato il Hahnemann fu un precursore dell'odierno indirizzo individualistico nella clinica, di fronte alla standardizzazione della terapia che imperversò dopo di lui fino ai giorni nostri. E dal principio dell'individualizzazione dei sintomi passò con facilità a quello dell'unità dell'organismo individuale, altra grande conquista del pensiero medico antico e modernissimo. Grandissimo fu dunque il campo delle felici intuizioni del fondatore dell'omeopatia. Ma il merito maggiore del Hahnemann nello studio dell'azione dei medicamenti in rapporto con i sintomi è sempre quello di aver saputo tenere lucidamente e costantemente distinto quello che è fattore "occasionale" (secondo il moderno linguaggio dei fisici) esterno, dal fattore "energetico" o interno, considerando il farmaco come un semplice stimolo (occasionale) esterno, che (oggi si direbbe) mette in moto il sistema energetico interno (organismo, gruppo cellulare), il solo capace di creare la reazione funzionale patologica, ossia il sintomo e la reversione di esso, ossia la guarigione. Questa lucida impostazione del sistema causale è veramente stupefacente e precorritrice non solo dei tempi moderni, ma dello stesso avvenire, poiché oggi si persiste ancora a pensare confusamente da molti che le cause esterne, p. es. i germi, "creano tutta la malattia" (come si esprimeva per il germe della tubercolosi J. Cohnheim) e che i medicamenti creano la guarigione, che sarebbe come dire che la frusta tira la vettura: dando luogo così a una fonte inesauribile di deprecabili equivoci mentali, sia dottrinali che pratici. È un errore purtroppo ancora molto profondamente infitto nella mentalità dei medici contemporanei! Basterebbe questo merito per mettere il Hahnemann fra gli uomini più geniali del suo tempo. Soggiungeremo a questo proposito che egli, oltre a essere un clinico, aveva una conoscenza profonda della chimica del suo tempo ed era un igienista di grande valore; e anche in questo campo fu un antesignano dell'igiene moderna individuale e sociale specie per la profilassi delle malattie infettive, per la puericoltura, per l'uso delle cure naturalistiche. E fu un riformatore anche in psichiatria. Ovunque portò la profonda impronta della sua potente personalità. Dunque meriti insigni, ma anche fatalmente difetti ed errori. Gli errori furono fondamentalmente quelli di tutte le forti personalità scientifiche: tendenza all'assolutismo per le proprie dottrine, alla eccessiva estensione della loro portata, all'intolleranza delle critiche, all'incomprensione delle verità che stavano fuori del circolo delle proprie idee. L'altro errore del Hahnemann facilmente perdonabile, perché quasi inevitabile, fu quello di essersi lasciato troppo influire, malgrado la forte sua indipendenza di pensiero, dai tempi suoi su alcuni punti, p. es. per quanto riguarda le teorie spiritualistiche di J. B. van Helmont nonché quelle dell'animismo di G. E. Stahl, donde la dottrina del dinamismo vitale, secondo il quale tutte le malattie non erano che perturbazioni della forza vitale. Infelicissima fu la concezione delle malattie croniche come dovute a tre miasmi: la psora, la sicosi e la sifilide, che molto gli nocque e armò gli avversarî contro di lui. Risente del suo tempo similmente la teoria interpretativa del potenziamento dinamico-spirituale dei medicamenti con la diluizione e lo scuotimento manuale delle soluzioni. Gravissimo errore d'indirizzo per le conseguenze che ne sarebbero potute derivare al progresso della medicina, qualora l'omeopatia si fosse imposta, fu il non vedere quasi altro nella medicina che il punto terapeutico, poco interessandosi della concezione totalitaria del quadro morboso e quindi stornando la ricerca dall'eziologia, dall'anatomia patologica, dalla patogenesi e rinunciando necessariamente anche al progresso della diagnostica. Egli fu vittima di un fatale restringimento della coscienza, determinato dal monoideismo della terapia sintomatica e troppo neglesse e svalutò le grandi conquiste della medicina del suo tempo. Coltivò molto la sottile conoscenza dei sintomi e delle più minute sensazioni soggettive, ricercandone accuratamente l'origine anamnestica, ma ciò fece in modo atomistico considerando i sintomi ognuno per sé, e opponendo separatamente un rimedio a ognuno di essi, senza trarre dal loro insieme una sintesi genetica né una diagnosi né una prognosi, alle quali si interessava mediocremente. La vera ragione di molti suoi esclusivismi ed esagerazioni è da ricercarsi fondamentalmente nel forte temperamento assolutista che non conosceva vie di mezzo, quale risulta anche da alcune dolorose vicende della sua vita sopra ricordate.
L'omeopatia, storicamente considerata, ha una fisionomia tutta speciale. È una dottrina scientifica degna di tutta l'attenzione ma, oltre alle sue esagerazioni, ha avuto e anche oggi conserva in qualche modo il carattere di una fede. I suoi adepti sono veri adoratori del maestro chiamato "il sole di Meissen" e quindi toccano le sue dottrine il meno che possono. Una forte corrente aspira al puritanismo hahnemanniano e invoca volontieri il "catechismo" omeopatico. Così l'omeopatia non ha avuto vera e propria evoluzione progressiva. Essa ha attraversato il periodo più intensamente restauratore e instauratore che mai sia stato in medicina, ed è rimasta, come principî e come indirizzo, fondamentalmente quale era cento e più anni fa. Racchiusa nel suo fondamentale problema, la terapia sintomatica, poco curante della diagnostica e quindi sostanzialmente di tutto il corpus doctrinae della medicina, l'omeopatia, in perpetuo atteggiamento di perseguitata, ma sempre, come il suo fondatore, fieramente combattiva, appare quasi assente nella collaborazione alle grandi tappe del pensiero medico moderno, che dopo la riforma dell'anatomia sul cadavere, è passato trionfalmente attraverso alla creazione dell'anatomia patologica, dell'istologia, della patologia cellulare, della fisiologia e patologia sperimentale, della batteriologia e di tutto il nosografismo. D'altra parte la cosiddetta medicina ufficiale (che ha come principio, che le conoscenze dei varî rami del suo scibile devono tutte concorrere alla diagnosi, la quale è la "suprema necessità della prognosi e della cura") ha tenuto finora in troppo disprezzo la dottrina hahnemanniana, criticandola con superficialità, senza scendere sul terreno del controllo preciso dei fatti da essa addotti, ciò che ha giustamente inasprito gli omeopatici che non le hanno risparmiato l'accusa (assai esagerata) d'impotenza e peggio in terapia. Non è più il tempo delle diatribe a perdita di vista preparate a tavolino. Con una vasta osservazione e sperimentazione le cliniche e i laboratorî sperimentali devono finalmente stabilire esattamente per tutte le affezioni morbose i confini precisi entro i quali vale questo asserto, che "i sintomi morbosi e conseguentemente le malattie si combattono efficacemente e con migliore successo con le piccole dosi anziché con le grandi di quel farmaco, che, assunto in alta dose dall'organismo sano è capace di produrre una malattia consimile a quella naturale che si deve curare". E si devono altresì stabilire obiettivamente, senza apriorismi desunti dalle odierne teorie sulla costituzione della materia, ma direttamente, "i precisi confini delle suddette piccole dosi e della legge del potenziamento dei farmaci con le diluizioni". Al che l'omeopatia ha già dato, dal Hahnemann in poi, con un lavoro più che secolare, un notevole contributo che va preso in serio esame. Così finalmente si saprà se l'omeopatia deve essere accolta o respinta, in tutto o in parte, nello scibile della medicina. Per più segni appare chiaro che i tempi sono maturi per questo voto.
Stato attuale e sviluppo dell'omeopatia. - Italia. - In Italia l'omeopatia ha avuto uno sviluppo piuttosto scarso. Quivi culla dell'omeopatia è stata Napoli, dove intorno al 1850 fu aperta una clinica omeopatica nell'Ospedale della Trinità e nel 1895 fu istituita una cattedra di omeopatia affidata a T. Cigliano, che però in seguito fu soppressa. A Torino ha sede l'Istituto omeopatico italiano, che fu eretto in ente morale nel 1886. Nella stessa città nel 1889 fu aperto un piccolo ospedale omeopatico che ha 26 letti e appartiene all'I.O.I. Vi è annessa una farmacia e un ambulatorio. Oltre che a Torino e a Napoli, ambulatorî omeopatici si trovano in alcune altre città. Nel 1922 il Consiglio superiore di sanità approvò la farmacopea omeopatica italiana, che però non è stata mai resa pubblica. Nel 1929 fu fondata l'Associazione omeopatica italiana, che conta oggi circa 200 soci. Il primo giornale omeopatico che apparve in Italia fu la Rivista omeopatica (fondata nel 1855). Oggi si stampano: L'Omiopatico Italiano (fondata nel 1884), organo dell'Istituto omiopatico italiano, la rivista mensile La legge dei simili, organo dell'Associazione omiopatica italiana, e inoltre la rivista L'omiopatia nel secolo XX. Nel 1929 sorse in Roma l'Associazione degli amici dell'omiopatia, che conta oggi 150 soci.
Francia. - In Francia l'omeopatia ha segnato un rapido sviluppo nell'ultimo decennio. I medici riuniti nella Société Française d'Homoeopathie, ammontano a 290. Vi si trovano quattro ospedali omeopatici: Saint-Jacques, Hahnemann, Bellan e la Maison Marguerite (Ospedale pediatrico), oltre una clinica privata. A Parigi esistono cinque farmacie esclusivamente omeopatiche e fabbriche speciali di medicinali omeopatici. Vengono pubblicate quattro riviste mensili e cioè: la Revue Française d'Homoeopathie, l'Homoeopathie Française, Le Propagateur de l'Homoeopathie (organo dei medici omeopatici anche della Svizzera latina), l'Homoeopathie Moderne. Esistono ancora a Parigi tre centri di studio omeopatici. Recentemente si è costituita una forte associazione per lo sviluppo dell'omeopatia francese, che conta già varie centinaia di adepti nei diversi campi dell'attività umana.
Gran Bretagna. - Nella Gran Bretagna la diffusione dell'omeopatia è stata piuttosto lenta, perché è stata molto combattuta dal General Medical Council. Ci sono oggi in quello stato circa 300 medici omeopatici (di cui 80 a Londra) e circa 80 chimici-farmacisti omeopatici. A Londra esistono un ospedale e una scuola omeopatici. Dispensarî sono sorti in molte città. Si pubblicano tre giornali omeopatici: l'Homoeopathic World, i London Homoeopathic Hospital Reports e il Journal of the British Homoeopathic Society, e inoltre la British Homoeopathic Review,, organo della British Homoeopathic Association, fondata nel 1902 con il proposito di estendere e sviluppare il sistema omeopatico in Gran Bretagna.
Germania. - In Germania ci sono oggi circa 500 medici omeopatici che hanno formato diverse associazioni di cui la più importante è la Deutscher Centralverein homöopathischer Ärzte, che conta più di 300 membri. Ospedali omeopatici si trovano a Lipsia, a Monaco, a Stoccarda, a Dresda e due a Berlino. Nel 1928 venne dallo stato germanico istituita a Berlino la cattedra di omeopatia e affidata al Bastianer. Ci sono inoltre tre centri di studio (a Stoccarda, a Dresda e a Lipsia). Si pubblicano tre periodici, di cui il più importante è l'Allgemeine homöopatische Zeitung di Lipsia. Menzione speciale meritano le potenti associazioni laiche di omeopatia della Germania. In altri tempi, quando l'omeopatia era perseguitata dai medici e dalle autorità, proprio il movimento omeopatico laico la salvò. Attualmente esistono ben 356 associazioni organizzate con oltre 40.000 partigiani riuniti nella più grande lega del Reichsbund für homöopatische und Gesundheitspflege, residente a Dresda. Esistono inoltre 86 sodalizî omeopatici con circa 10.000 membri, cosicché il numero dei partigiani organizzati ascende a 50.000
Spagna. - Nella Spagna l'omeopatia per molti anni ebbe pochi seguaci. Un notevole incremento essa ha avuto in quello stato dopo il I Congresso ispano-americano (1924). Nel 1925 si costituiva la Lega omiopatica italo-americana e nel 1929 la Lega ispano-americana pro omiopatia con il suo organo ufficiale El sol de Meissen. Sorgevano pure due centri di studî, uno a Barcellona e l'altro a Madrid. Ora la Spagna conta 120 medici omeopatici, 2 ospedali, 4 farmacie esclusivamente omeopatiche e numerosi dispensarî.
Stati Uniti d'America. - Negli Stati Uniti l'omeopatia ha avuto uno sviluppo più fiorente che nelle altre parti del mondo, specie dal 1870 in poi. Oggi ci sono negli Stati Uniti migliaia di medici omeopatici che hanno parecchi milioni di clienti. Vi sono parecchi ospedali omeopatici di cui l'Ospedale Hahnemann di Filadelfia conta 760 letti. Sono stati fondati due collegi medici (a New York e a Filadelfia) e cattedre di omeopatia sono state aggiunte alle università di Boston, Michigan, Jowa, Minnesota e Kansas.
Negli altri paesi. - La Svizzera conta una trentina di medici omeopatici, ma il loro numero va aumentando. L'Olanda ha circa 40 medici omeopatici e una società laica che riunisce 425 membri. L'Ungheria ha 20 medici omeopatici, l'ospedale omeopatico Elisabetta a Pest, e un sanatorio per tisici. Nella Svezia si pubblica il periodico Homoeopatisk Tidskrift, in Norvegia l'Istituto omeopatico di Bergen ha il suo organo nel periodico Homöopaten. Nel Messico l'omeopatia è molto avversata dal governo che ha disposto la chiusura di ospedali e dispensarî omeopatici. Nel Brasile l'Instituto hahnemanniano pubblica le Annaes de Medicina Homoeopathica. Nella Columbia si stampa il periodico La Homeopatia Colombiana, organo della Sociedad hahnemanniana. Dal 1929 si sono tenuti congressi internazionali di omeopatia, di cui uno a Roma (1930). Negli ultimi tempi la letteratura omeopatica in quasi tutti i paesi si è arricchita di pregevoli lavori e trattati.
Bibl.: M. Timbart, Les médecins statisticiens devant la question homéopatique, Parigi 1852; F. Fredault, Des rapports de la doctrine médicale homéopatique avec le passé de la thérapeutique, Parigi 1852; G. Jahr, Die Lehre und Grundsätze der homöopatischen Heilkunst, Stoccarda 1857; A. Mengozzi, La medicina omeopatica considerata come ramo d'educazione, Milano 1859; M. Imbert-Gourbayre, Lectures publiques sur la homéopathie, Parigi 1865; J. Bahr, Die Therapie nach den Grundsätzen der Homöopathie, Lipsia 1866; J. Chapiel, Des rapports de l'homéopathie avec la doctrine des signatures, Parigi 1866; J. Prost, Formulaire pathogénetique usuel au guide homéopatique, Parigi 1872; G. Gubler, Lezioni sull'omeopatia, Genova 1873; J. Weil, Lehrbuch der homöopatischen Therapie, Lipsia 1879; G. Sieffert, Introduction générale à la thérap. positive, Parigi 1910; R. Haehl, Samuel Hahnemann, sein Leben u. Schaffen, Lipsia 1922; L. Sabbatani, Doti minime, in Arch. di scienze bibl., II (1921), nn. 1-2, p. 160; O. Pace, L'omeopatia, Milano 1933; A.-S. Groll-Picard, Hahnemann et l'homéop., Parigi 1933; L. Vannier e J. Poirier, Précis de matière médicale homéopathique, Parigi 1933; Farrington e Tessier, Matière médicale, clinique homéop., Parigi 1934.