LABRIOLA, Teresa
Nacque a Napoli, il 17 febbr. 1874, da Antonio, filosofo di rinomanza internazionale e da Rosalia von Spenger, di origine tedesca ma italiana di nascita, direttrice, al momento del matrimonio, della scuola "Garibaldi" nel capoluogo partenopeo.
Cresciuta in un ambiente famigliare laico, eccezionalmente vivace e stimolante sul piano intellettuale, fin da adolescente fu ammessa a frequentare il circolo di amicizie del genitore. Caso raro, per non dire del tutto inedito a quei tempi per una donna, tanto più se giovane e nubile, ebbe riconosciuto diritto di parola nelle impegnative discussioni che si svolgevano al caffè Aragno di Roma tra docenti universitari, colleghi del padre, esponenti politici e uomini di cultura.
La L., iscrivendosi a una facoltà come giurisprudenza, quasi esclusivamente maschile dal momento che le donne non venivano ammesse all'esercizio della professione forense, pretese dimostrare di essere intellettualmente e psicologicamente all'altezza delle pressanti aspettative paterne. Fu la prima donna a laurearsi nell'Università di Roma in quella facoltà (1894) e a ottenere la libera docenza in filosofia del diritto nel medesimo ateneo (1900). Il 14 genn. 1901 svolse la sua prima lezione, trattando Del concetto teorico della società civile, argomento che fu oggetto anche della sua prima pubblicazione scientifica (Roma 1901). Continuò a tenere il suo corso libero nell'ateneo romano fino al 1918, tuttavia fallì lo scopo primario, che le era stato indicato dai genitori e che lei stessa si era tenacemente prefisso, perché non ottenne di entrare nei ruoli della carriera universitaria.
Nonostante che, per oltre un decennio, avesse dedicato gran parte delle proprie energie fisiche e intellettuali all'attività didattica, allo studio e alla ricerca, pubblicando un numero cospicuo di saggi e monografie attinenti alla sua disciplina e costruiti secondo il prescritto canone accademico - per esempio La persona. Discussione etico-sociologica (Roma 1902), Del concetto della solidarietà sociale (ibid. 1905), Del fondamento della proprietà privata (ibid. 1906) e il ponderoso volume Chiesa e Stato (da S. Agostino a E. Kant) (Roma-Arezzo 1910) - nei due concorsi per la cattedra di filosofia del diritto ai quali si presentò, nel 1906 presso l'Università di Messina e nel 1910 presso l'Università di Sassari, nel primo caso riuscì a entrare nella terna dei candidati idonei, senza tuttavia essere chiamata da alcun ateneo e nel secondo caso ottenne soltanto un buon giudizio di merito.
La vicenda del fallimento accademico della L. trova prima e principale giustificazione nel pregiudizio culturale che, a causa del sesso, sbarrava, quasi senza eccezioni, alle donne l'ingresso alla carriera universitaria. Inoltre, nel caso specifico, l'insuccesso da un lato si comprende per il venir meno, dopo la morte del padre nel 1904, dello stato di privilegio sociale e accademico, e dall'altro lato si spiega per la scelta, da lei compiuta, di pubblicare anche su argomenti inusuali, connessi alla condizione giuridica e sociale della donna (per esempio: Del divorzio. Discussione etica, Roma 1901; La donna nella società moderna, ibid. 1902; Contributo a glistudi su la società familiare, ibid. 1904).
La freddezza con cui l'amico di famiglia B. Croce accolse una sua lettera (14 sett. 1904), nella quale annunciava di avere ultimato il volume Studio sul problema del voto alla donna (ibid. 1904), una impegnativa ricerca condotta su incarico di Gabriella Rasponi Spalletti, presidente del Consiglio nazionale delle donne italiane (CNDI), la indusse a sospettare che simili oggetti di studio non sarebbero stati ben accolti in ambito accademico. Tuttavia non eliminò affatto, per ragioni di opportunità, tali tematiche dal campo dei suoi interessi. Tutt'al contrario, il numero dei suoi scritti in materia crebbe in misura della sempre più intensa partecipazione alla vita di comitati e circoli femminili, a cominciare dalla Associazione per la donna di Roma. Soltanto dopo l'esito negativo del concorso di Sassari rinunciò all'idea della cattedra universitaria.
L'ostilità dimostratale dall'ambiente accademico, principalmente per il fatto di "portare le gonnelle" (lettera a Croce, 13 giugno 1904), acuì in lei sentimenti di frustrazione e insieme di ribellione, che riconobbe comuni ad altre donne intellettualmente dotate e non valorizzate nella società del suo tempo.
Iniziò allora a rappresentarsi come la figura guida di un ristretto numero di compagne di sesso, "libere e emancipate", che si sarebbero assunte la responsabilità di lottare "in nome e nell'interesse delle donne di tutti i gruppi e di tutte le classi sociali", comprese quelle da lei definite di "tipo medio" o "ipersessuali", prime vittime dello stereotipo antifemminista (Studio sul problemadel voto alla donna, p. 84).
In questa chiave va letta la battaglia legale per esercitare l'avvocatura (1912). Anche se non ottenne una sentenza favorevole, tuttavia poté dirsi soddisfatta per l'attenzione riservata dalla stampa nazionale al suo caso. Divenne avvocato nel 1919, quando le discriminazioni di sesso per l'accesso alle professioni furono parzialmente abolite. Nella veste di studiosa e di presidente della commissione giuridica del CNDI (dal 1907), grazie anche alla perfetta padronanza delle lingue tedesca e francese, prese a occuparsi sistematicamente, spesso con approccio comparativo, della "questione femminile".
Attraverso dossier, conferenze, saggi, articoli intervenne, oltre che sul tema del diritto di rappresentanza (Per il voto alla donna, Roma 1906), su problemi quali la riforma dei codici penale e civile (relazione al I congresso nazionale delle donne italiane, Roma 1908), il trattamento delle donne nelle carceri italiane (relazione al IV congresso dell'International Council of Women [ICW], Toronto 1909), la ricerca della paternità, l'adulterio, i reati sessuali, la patria potestà, l'autorizzazione maritale, la libera unione e la "società coniugale", il divorzio, che giudicò ammissibile per ragioni di etica e di responsabilità, ma con limiti previsti dalla legge a tutela della famiglia.
Dal 1906 iniziò a militare attivamente nel movimento suffragista. Incaricata di svolgere il Report ufficiale per l'Italia al congresso dell'International Woman Suffrage Alliance (IWSA), che si svolse quell'anno a Copenaghen, entrò a far parte del consiglio direttivo del Comitato nazionale pro suffragio femminile (CNPSF). Tenne la rubrica Cronache del femminismo nella Rivista di Roma e scrisse articoli di notevole spessore, anche teorico, per il settimanale "femminista" L'Alleanza, che si pubblicò dal 1906 al 1912.
Contestando sia l'impostazione giusnaturalistica, fatta propria in modo particolare dal movimento suffragista anglosassone, che portava a rivendicare il voto come diritto innato, sia anche gli argomenti materialisti ed economicisti del femminismo socialista, sostenne l'idea, di seguito rielaborata ma mai smentita, che nella donna esistessero attitudini specifiche e peculiari da valorizzare: lo "spirito femminile", penetrando nella società e nello Stato, costruito storicamente sul "tipo maschile", avrebbe giovato alla comunità nazionale nel suo complesso. Collocata in dottrina ormai al di fuori della concezione socialista-materialistica e contestando altresì l'impostazione democratico-individualista, seppe efficacemente sostenere il teorema del femminismo "puro" o "universale". Tale teorema, poggiando sul postulato dell'unità antropologica delle donne, giungeva alla dimostrazione che i diritti, e innanzi tutto il diritto di voto, andassero riconosciuti per apprezzare la "differenza" femminile, cioè la capacità delle donne di esercitare una maternità etica e spirituale nel corpo sociale. Fino allo scoppio del primo conflitto mondiale sostenne la tesi che le donne costituivano un soggetto politico collettivo, portatore di bisogni e di interessi propri e differenziati, e pertanto difese il principio del suffragio universale, senza discriminazioni di censo o di cultura. La polemica, aperta nel 1912 dal giornale socialista La Difesa delle lavoratrici, contro di lei e le così dette "signore suffragiste" fu, su questo punto specifico, pretestuosa e priva di fondamento. Invece, da un punto di vista politico più generale, la critica del giornale diretto da Anna Kuliscioff si giustificava perché la L. e il gruppo di donne a lei più vicine avevano preso posizione a favore dell'impresa di Libia, ponendosi in tal modo fuori da quel terreno antimilitarista e pacifista fin lì concordemente praticato. Tuttavia la L. continuò ancora a difendere, sul piano teorico, il principio del femminismo "puro", come ad esempio nel 1913 in un ciclo di conferenze, i cui testi avrebbe successivamente raccolto in volume (Del femminismo come visione della vita, Roma 1917).
La L. sosteneva anche che la solidarietà di sesso non sarebbe venuta meno nel caso in cui le donne avessero preso parte attiva alla politica nazionale da posizioni differenziate. Del resto proprio lei, fin dal 1909, contestando come sterile e inefficace l'indirizzo "apolitico" del CNPSF, aveva fatto propria la linea delle suffragiste costituzionali inglesi e aveva spinto per la partecipazione delle donne alle campagne elettorali, a sostegno di quei candidati solidali o simpatetici con la causa del voto femminile. Nell'aprile del 1911 l'organismo nazionale suffragista si riorganizzò, sotto la sua guida, nella forma di Federazione nazionale dei comitati pro suffragio femminile (FNPSF).
Non si impegnò particolarmente allo scopo di ricomporre l'unità con le socialiste, ma riuscì a rilanciare organizzativamente l'organismo suffragista, che era rimasto quasi assente dalla scena proprio mentre in Parlamento si approvava la nuova legge elettorale. Al I congresso nazionale per il voto femminile (Roma, dicembre 1913), dove fu approvato un documento che impegnava, con il sostegno attivo delle donne, alla formazione di un "gruppo parlamentare suffragista", fu nominata "segretaria per l'interno".
Raggiunse l'apice del successo personale nel gennaio successivo, quando ottenne che una intera giornata del congresso dell'ICW, convocato, anche per sua intercessione, a Roma, fosse dedicata a dibattere il tema della cittadinanza e del voto femminile. Allo scoppio della guerra, anche il movimento suffragista venne tagliato dalla linea di demarcazione tra neutralismo e interventismo in favore del quale la L. si schierò.
In quel frangente la L. poté prevedere con lucidità gli effetti di trasformazione che il conflitto avrebbe prodotto in tutti i campi e in particolare sulla condizione femminile: vennero a completa maturazione in lei una serie di convincimenti che, formatisi gradualmente a partire dal presupposto antindividualista, la portarono a definire in termini nuovi il rapporto tra donna e nazione. Interpretando dapprima in chiave mazziniana il dovere delle donne di partecipare al destino della patria, fu al fianco della repubblicana Adele Albani Tondi nella direzione del Comitato nazionale per l'intervento italiano. Nel dicembre 1916 aderì al Comitato nazionale femminile interventista antitedesco; pubblicò libri e articoli in La Nostra Rivista, Attività femminile e sociale, Assistenza civile, argomentando la tesi secondo la quale, "nell'ora della guerra", le donne dovevano fornire prova di patriottismo, operosità e capacità, per guadagnare la meta della "liberazione" e della "redenzione". In aspra polemica con le pacifiste, attaccò altrettanto duramente le donne apolitiche che, in nome dell'istinto naturale materno, dimostravano "scarsa coscienza riflessa" del valore della nazione e dello Stato (La donna e lo Stato (nell'ora presente), in La Nostra Rivista, giugno 1915, n. 6).
Nonostante trovasse sempre maggior consonanza tra le proprie idee - concezione organicistica dello Stato, radicale antisocialismo, fobia antitedesca - e il programma dell'Associazione nazionalista italiana (ANI), fino all'autunno del 1917 continuò a operare di conserva con le interventiste di vario orientamento e tenne fermo il programma delle rivendicazioni femminili. Per conto della FNPSF, nel giugno 1917, redasse una petizione diretta al presidente della Camera per richiedere il voto "alle stesse condizioni degli uomini". Tuttavia, alla vigilia di Caporetto, ruppe ogni legame con le associazioni femminili democratiche e fondò un proprio movimento, la Lega patriottica femminile, collegata all'ANI.
Adottò lo stile aggressivo e mutuò il linguaggio spesso brutale dei suoi nuovi compagni di strada, modificò radicalmente la prospettiva e il campo di intervento, cancellando dalla sua agenda politica il tema dei diritti delle donne, per combattere una personale, virulenta, battaglia contro le correnti "disfattiste".
Soltanto negli ultimi mesi di guerra riprese a discutere di tematiche femminili. Ma lo fece in una prospettiva assai mutata rispetto al passato: i bisogni, gli interessi, i diritti delle donne, compreso il diritto di voto, andavano riconosciuti per affermare la nazione come unità, sintesi dello spirito maschile e femminile, che si incarnava nello Stato. Costantemente partecipe al dibattito politico sui giornali femminili del dopoguerra - L'Idea femminile, Voce nuova, Il Giornale della donna -, autrice di volumi ad ampia circolazione come I problemi sociali della donna (Bologna 1918) o Il suffragio femminile nello Stato moderno (Roma-Spoleto 1919), la L. esercitò il suo fascino intellettuale e la sua influenza ben oltre i confini della Lega patriottica femminile, rinominata Lega femminile pro patria.
Per il modo in cui, in quel periodo, affrontò il tema della maternità, elemento nobilitante del genere femminile perché garantiva attraverso il "ripopolamento" la grandezza e la forza morale e materiale della stirpe, la L. è stata riconosciuta a pieno titolo come figura esemplare del "femminismo latino".
Di fatto, tra il 1918 e il 1920-21, "diede l'impronta" al movimento delle donne italiane, coinvolgendo buona parte di loro in una sorta di "integralismo femminista, di intonazione quasi mistico-religiosa" (Buttafuoco, p. 275). Chiusa per lei l'epoca del femminismo "puro", iniziata la stagione del femminismo "politico", fondò i Gruppi femminili nazionalisti (1922).
Manifestando aperta intolleranza verso le "teorie atomistiche" del diritto elettorale, non perdendo occasione per proclamare la sua sfiducia nel sistema parlamentare rappresentativo, continuò tuttavia a sostenere la necessità morale e l'inevitabilità storica di una riforma elettorale che riconoscesse immediatamente alle donne il voto politico. In contrasto con le suffragiste "ugualitarie", chiedeva adesso che il diritto di rappresentanza fosse riconosciuto esclusivamente alle donne "migliori", cioè alle più affidabili sotto il profilo nazionale e patriottico. Ma rimase ugualmente delusa quando, in Parlamento, i disegni di legge sul suffragio femminile finirono tutti per arenarsi.
Dopo la marcia su Roma, mentre nuove figure di donne si affacciavano sulla scena, più giovani, spregiudicate e più in sintonia di lei, non tanto con l'ideologia quanto con gli atteggiamenti e i comportamenti dei fascisti, perse progressivamente il suo carisma; soltanto dopo la fusione dell'ANI con il Partito nazionale fascista (PNF) uscì dal cono d'ombra nel quale si era ritrovata. Intensificò l'attività pubblicistica, collaborando in particolare alla rivista La Donna italiana. Dopo il delitto Matteotti dichiarò fiducia incondizionata in B. Mussolini e parve non aver dubbi sul fatto che proprio lui avrebbe finalmente valorizzato l'apporto materiale e spirituale femminile, dentro lo Stato fascista a struttura corporativa. Provvedimenti quali l'esclusione delle donne dalle carriere dirigenziali nella Pubblica Amministrazione (1923) o l'impedimento a concorrere per le cattedre di insegnamento nelle materie letterarie e filosofiche (1927) la turbarono, ma non valsero a incrinare la sua convinzione che lo "Stato nuovo", superando non soltanto le contrapposizioni tra le classi ma anche tra il "maschilismo" e il "femminismo", avrebbe riconosciuto la presenza delle donne all'interno delle corporazioni. Nel corso degli anni Trenta, pur ammettendo di occupare una "modesta posizione" nel fascismo (Il nostro programma, in La Donna italiana, 1929, n. 12), continuò a scrivere, "conversando di femminismo", con accenti sempre più severi e moralistici.
In ristrettezze economiche, sempre più fragile psichicamente, colpita da un male incurabile, la L. morì quasi dimenticata a Roma il 6 febbr. 1941.
Citata fino agli anni Quaranta, in tutti i repertori dedicati alle donne italiane eminenti, conosciuta dai suoi contemporanei per la qualità e la quantità degli scritti, soprattutto concentrati sulla condizione della donna, e per le capacità di leadership che seppe esercitare su parte del movimento femminile organizzato, la L., a lungo, non ha ricevuto adeguata attenzione sul piano storiografico e soltanto di recente si è vista assegnare un ruolo non secondario nella "storia delle élites intellettuali italiane, maschili e femminili" (Tesoro, 1995, p. 191). Personalità complessa, divisa tra la consapevolezza della appartenenza di genere e la percezione di sé come spirito "virile", seguì un tragitto autonomo di ricerca, non lineare ma neppure discontinuo, che la condusse dal materialismo allo spiritualismo, e dalla militanza nel campo del femminismo democratico alla scelta del nazionalismo e del fascismo, accompagnando brillanti intuizioni, per esempio la rivendicazione della differenza femminile, a pronunciamenti sconcertanti, per esempio riguardo alla gerarchia tra le razze.
Fonti e Bibl.: Allo stato attuale delle conoscenze risulta che le carte della L. non siano state conservate. Alcuni documenti relativi alla libera docenza e all'attività accademica si conservano presso l'Archivio dell'Università "La Sapienza" di Roma, f. 356. Alcune lettere, da lei scritte o a lei indirizzate, presenti nell'Archivio Antonio Labriola, fondo L. Dal Pane, acquisito dalla Società napoletana di storia patria, sono state parzialmente pubblicate: Il carteggio di Antonio Labriola conservato nel Fondo Dal Pane, a cura di S. Miccolis, in Arch. stor. per le provincie napoletane, CVIII-CIX (1990-91), pp. 1-409. Altre lettere sono reperibili nell'Archivio B. Croce a Napoli e sono state in parte utilizzate da G. Conti Odorisio nel saggio La formazione di T. L. e la libera docenza in filosofia del diritto, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XXV (1995), 1, pp. 173-194. Fra gli studi specifici: L. Dal Pane, Antonio e T. L., in Riv. internazionale del diritto, s. 2, 1924, n. 22, pp. 48-79; E. Santarelli, Protagoniste femminili del primo Novecento. Schede bio-bibliografiche, in Problemi del socialismo, XVIII (1976), 4, pp. 248 s.; F. Taricone, T. L. teorica dell'emancipazionismo, in Il Risorgimento (Milano), XLIV (1992), 1, pp. 147-161; Id., T. L.: biografia politica di un'intellettuale tra Ottocento e Novecento, Milano 1994; G. Conti Odorisio, La rappresentanza femminile nel pensiero politico di T. L., in La rappresentanza politica in Europa tra le due guerre, a cura di C. Carini, Firenze 1995, pp. 375-406; M. Tesoro, T. L. e il suffragio femminile. Fondamenti teorici e soluzioni operative, in Il Politico, LX (1995), 2, pp. 189-225. S. Follacchio, L'ingegno acuto e la mente aperta. Teresa Labriola. Appunti per una biografia, in Storia e problemi contemporanei, 1996, n. 17, pp. 65-89. Riferimenti in: F. Pieroni Bortolotti, Femminismo e partiti politici in Italia. 1919-1926, Roma 1978, pp. 40, 140, 167, 181 s., 194, 213; M.P. Bigaran, Mutamenti dell'emancipazionismo alla vigilia della Grande Guerra. I periodici femministi italiani del primo Novecento, in Memoria, 1982, n. 4, pp. 130 s.; A. Buttafuoco, Cronache femminili. Temi e momenti della stampa emancipazionista in Italia dall'Unità al fascismo, Arezzo 1988, pp. 223-226, 256, 273, 276 ss.; S. Follacchio, Conversando di femminismo. "La Donna italiana", in La corporazione delle donne. Ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio fascista, a cura di M. Addis Saba, Firenze 1988, pp. 203-212; S. Bartoloni, L'associazionismo femminile nella prima guerra mondiale e la mobilitazione per l'assistenza e la propaganda, in Donna lombarda. 1860-1945, a cura di A. Gigli Marchetti - N. Torcellan, Milano 1992, pp. 81-87; M. Tesoro, La partecipazione italiana all'"International Woman Suffrage Alliance", in Salvatore Morelli (1824-1880). Emancipazionismo e democrazia nell'Ottocento europeo, a cura di G. Conti Odorisio, Napoli 1992, pp. 391, 398, 403-406; M. De Giorgio, Le italiane dall'Unità a oggi, Roma-Bari 1992, pp. 95, 185, 238 s.; V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia 1993, pp. 51 ss., 315 s.; C. Gori, Crisalidi. Emancipazioniste liberali in età giolittiana, Milano 2003, pp. 147-151, 174; C. Villani, Stelle femminili, Napoli-Roma-Milano 1915, p. 359; M. Gastaldi, Donne luce d'Italia, Pistoia 1930, s.v.; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", Eroine, ispiratrici e donne di eccezione, p. 222.