Termine di decadenza dell’azione risarcitoria
La Corte costituzionale e l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato intervengono sulla questione dell’applicabilità del termine di decadenza dell’art. 30 c.p.a. alle azioni risarcitorie relative a fattispecie di danni cagionati prima dell’entrata in vigore del codice, e ritengono che tali azioni debbano essere assoggettate alla tipologia di termine vigente nel momento in cui la fattispecie si era perfezionata. Resta aperta, invece, la questione dell’applicabilità del termine di decadenza alle azioni relative a danni cagionati prima del codice da provvedimenti annullati con sentenza passata in giudicato dopo, su cui si pronuncia, però, una interessante decisione del TAR Piemonte.
Dopo il doppio intervento della Corte costituzionale 31.3.2015, n. 57, e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 6.7.2015, n. 6, si avvia a soluzione uno dei più complessi problemi di diritto transitorio determinati dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.
Il codice del processo amministrativo ha introdotto, infatti, una disciplina innovativa dell’azione di condanna al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, e ne ha subordinato l’esercizio al rispetto di un termine di decadenza di 120 giorni (co. 3, 4 e 5, dell’art. 30 c.p.a., che ne prevedono le diverse decorrenze).
Non esistendo alcun termine di decadenza dell’azione risarcitoria prima del codice, è sorto, pertanto, il problema di diritto transitorio del trattamento processuale delle domande di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi proposte dopo il 16 settembre 2010, data di entrata in vigore del codice, ma relative a fattispecie antecedenti la vigenza dello stesso.
Problema ulteriormente complicato in fatto dalla incertezza che, prima dell’approvazione del codice, regnava nel sistema giuridico, a causa del noto contrasto giurisprudenziale tra le Supreme Corti ordinaria ed amministrativa, sulla necessità che l’azione di condanna al risarcimento dei danni fosse preceduta o meno dall’azione di annullamento del provvedimento causativo di danno1, e conseguentemente sulla necessità per le fattispecie perfezionatesi prima del codice, ma introdotte in giudizio dopo, di rispettare anche questa ulteriore condizione di ammissibilità della domanda costituita dalla previa introduzione del giudizio di annullamento2.
Sulla questione del termine di decadenza per i ricorsi relativi a fattispecie anteriori al codice si formavano in giurisprudenza da subito tre orientamenti diversi.
2.1 La tesi processuale pura dell’applicabilità del principio del tempus regit actum
Una prima tesi, sposata in alcune isolate pronunce TAR3, riteneva che il termine di decadenza dovesse applicarsi anche ai ricorsi relativi a fattispecie di danni maturati antecedentemente al codice, in applicazione del principio del tempus regit actum che regola in termini generali la successione di norme processuali nel tempo.
Questa soluzione generava, però, problemi sostanziali. La norma dell’art. 30, co. 3, c.p.a. prevede che il termine di 120 gg. decorre «dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo», e nel caso in esame il “fatto” si era verificato prima dell’entrata in vigore della norma che introduceva il termine di decadenza; la norma dell’art. 30, co. 3, del codice rischiava, pertanto, di essere giudicata incostituzionale per l’introduzione in itinere di un termine che non esisteva nel momento in cui era maturata la fattispecie, e nel momento in cui, quindi, erano state effettuate le relative scelte processuali.
2.2 La tesi processuale costituzionalmente orientata della decorrenza del termine dal 16 settembre 2010
Per evitare questo approdo interpretativo era emersa, quindi, anche una seconda tesi, su cui si era orientata una parte della giurisprudenza4, che concordava sulla necessità di dover applicare il principio tempus regit actum alla modifica di una norma processuale, e quindi sulla necessità che i ricorsi proposti dopo il 16.9.2010, pur se relativi a fattispecie antecedenti, rispettassero il termine di decadenza, ma, interpolando la norma dell’art. 30, co. 3, c.p.a., riteneva che il termine di decadenza dovesse decorrere non dal “fatto”, come era scritto esplicitamente nella norma, ma dall’entrata in vigore del codice, e quindi dal 16.9.2010.
Questa tesi eclettica, che temperava la sistematica processuale del tempus regit actum con la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, aveva, però, il difetto di essere priva di base normativa teorica e di pura creazione giurisprudenziale; la pronuncia n. 2635 del 2014 del Consiglio di Stato, che vi aderiva, rinveniva, infatti, il fondamento di tale ricostruzione in una generica, e molto soggettiva, «equilibrata composizione delle diverse istanze».
2.3 La tesi sostanziale della applicabilità del solo termine di prescrizione
Si affermava, perciò, progressivamente una terza tesi, divenuta con il tempo maggioritaria nella giurisprudenza del Consiglio di Stato5, che rinuncia del tutto all’utilizzo del principio generale del tempus regit actum, ed attribuisce valore decisivo alla disciplina vigente nel momento in cui il termine ha iniziato a decorrere, escludendo quindi l’applicabilità del termine di decadenza alle fattispecie anteriori, pur se introdotte in giudizio dopo l’entrata in vigore del codice, fattispecie che resterebbero sottoposte così al solo previgente termine quinquennale di prescrizione.
La tesi si basa su una intuizione già espressa da Cons. St., VI, 27.12.2011, n. 6845, che, in diversa materia, aveva affermato che «nel rispetto del principio generale di certezza e in vista della pianificazione individuale dell’esercizio del diritto di difesa è ragionevole che le scadenze dei termini processuali vengano calcolate con riferimento alla legge vigente alla data di inizio della relativa decorrenza, perché solo in tal caso l’interessato è in condizione di averne responsabile consapevolezza, senza essere esposto ad un’imprevedibile modifica in itinere».
Il fondamento positivo di questa ricostruzione è la disposizione dell’art. 2 disp. trans. c.p.a., secondo cui «per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti».
L’applicazione dell’art. 2 disp. trans. alla situazione in esame, però, restava discussa, sia perché in alcune letture si sosteneva che, in realtà, l’azione risarcitoria non esisteva nella sua positiva configurazione nell’ordinamento prima dell’avvento del codice del processo amministrativo, talché non potrebbe affermarsi la pendenza a quella data di alcun termine processuale6, sia perché, in altre ricostruzioni si rilevava che a rigore il termine di decadenza non è propriamente un termine processuale, perchè finisce per incidere sostanzialmente non solo sulla tutela, ma sull’esistenza stessa della situazione giuridica soggettiva7.
E sono state proprio queste considerazioni sulla natura non processuale, ma sostanziale, del termine di decadenza in quanto afferente al diritto di azione, che è una modalità del diritto sostanziale speso, a condurre la Corte costituzionale e l’Adunanza plenaria a rinunciare in modo persuasivo all’applicazione del tradizionale principio del tempus regit actum.
2.4 L’ordinanza della Corte costituzionale n. 57 del 2015
In questa situazione di incertezza interpretativa il TAR Liguria, con ordinanza 22.1.2014, n. 105, solleva questione di costituzionalità della norma dell’art. 30, co. 5, c.p.p., nella parte in cui essa si applica anche ai ricorsi proposti dopo l’entrata in vigore del codice, ma relativi a danni perfezionatisi prima dello stesso.
La decisione della Corte costituzionale è stata nel senso della inammissibilità della questione, in quanto il giudice a quo non avrebbe tenuto nel debito conto l’art. 2 delle disposizioni transitorie, che, al di là del tenore letterale che parla di termini “in corso”, deve essere interpretato «nel senso della sua riferibilità anche (ed a maggior ragione) all’ipotesi di successione tra un termine sostanziale, qual è quello di prescrizione, ed un termine processuale precedentemente non previsto, quale appunto il termine di decadenza».
La Corte afferma, quindi, espressamente che, alla fattispecie del giudizio risarcitorio da lesione di interessi legittimi maturati prima dell’entrata in vigore del codice debba essere applicato «il regime di prescrizione quinquennale di diritto comune (art. 2497 c.c.)» «e non la sopravvenuta disciplina di cui al censurato art. 30, co. 5, c.p.a.».
2.5 La decisione dell’Adunanza plenaria n. 6 del 2015
La conclusione, piuttosto veloce, della Corte costituzionale ha trovato conferma a distanza di pochissimo tempo nella decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 6.7.2015, n. 6, che, all’esito di un ragionamento molto più articolato, è giunta alla stessa soluzione dell’applicabilità a questo tipo di ricorsi del solo previgente termine di prescrizione.
L’Adunanza plenaria, infatti:
• esclude la possibilità di aderire alla tesi processuale costituzionalmente orientata che ritiene applicabile il termine di decadenza, ma lo fa decorrere dal 16 settembre 2010, perché «l’individuazione, per i fatti anteriori, di un exordium del termine decadenziale coincidente con l’entrata in vigore del codice si tradurrebbe, in assenza di una qualsiasi base normativa, non già nell’estensione del termine decadenziale di legge (…), ma nella creazione di un termine decadenziale di matrice pretoria, caratterizzato da un diverso dies a quo»; il Supremo Consesso aggiunge che l’introduzione di una preclusione, fondata sulla manipolazione esegetica della struttura della norma, finirebbe per frustrare in modo irragionevole e imprevedibile il legittimo affidamento in merito all’operatività della disciplina vigente, arrecando un vulnus ai principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale;
• ma esclude anche la possibilità di aderire alla tesi processuale pura, che ammette l’applicabilità del termine di decadenza e lo fa decorrere dal fatto lesivo, non ritenendo conferente alla vicenda in esame il principio tempus regit actum, in quanto nella specie non viene in rilievo un termine schiettamente processuale ma una fattispecie mista, qualificabile, al pari delle decadenze regolate dal codice civile (art. 2964), come istituto sostanziale a rilievo processuale.
Escluse le due ricostruzioni alternative, ed affermata la natura mista (sostanziale a rilevo processuale) del termine di decadenza, la decisione n. 6 del 2015 cerca allora di tracciare una sistematica della successione di leggi nel tempo in tali fattispecie miste. Il ragionamento dell’Adunanza plenaria è articolato nei seguenti passaggi fondamentali:
• l’introduzione di un termine di decadenza di 120 giorni costituisce un’innovazione legislativa rispetto
al regime prescrizionale quinquennale ex art. 2947 c.c. e si risolve in una compressione del potere di azione;
• i principi generali stabiliti dalle preleggi sull’efficacia delle leggi nel tempo (art. 11) e sulla applicazione di norme eccezionali (art. 14), impediscono, in assenza di una prescrizione esplicita in tal senso, l’applicazione retroattiva di una reformatio in peius a fattispecie sostanziali anteriori;
• l’inapplicabilità retroattiva dello ius superveniens non determina irragionevole disparità di trattamento, in quanto è consustanziale al sistema della successione delle leggi nel tempo la differenziazione di regime derivante da ogni novità normativa;
• la soluzione proposta è confermata dal disposto dell’articolo 2 disp. trans. sulla permanente vigenza dei termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice.
La decisione n. 6, quindi, non si rifugia nell’art. 2 delle disp. trans. c.p.a. (che utilizza soltanto per dare conferma positiva al ragionamento sviluppato), ma elabora un sistema coerente, che nella sostanza mutua i suoi tratti dall’art. 2 c.p. sulla successione di leggi nel tempo di norme penali sostanziali, che, pur attraverso il richiamo alla disciplina generalissima dell’art. 11 delle preleggi, diventa il paradigma su cui risolvere più in generale ogni vicenda di successione di norme di natura sostanziale.
Il doppio pronunciamento della Corte costituzionale n. 57 e dell’Adunanza plenaria n. 6 è destinato con ogni probabilità a sopire la questione della sorte delle azioni risarcitorie di diritto transitorio. Residua, però, una sottoquestione non affrontata in nessuna delle due decisioni.
Né la Corte costituzionale né l’Adunanza plenaria hanno specificato, infatti, se il principio di diritto sulla inapplicabilità del termine di decadenza riguarda anche le fattispecie di danno prodotto prima dell’entrata in vigore del codice da un provvedimento amministrativo che sia stato annullato, però, con sentenza passata in giudicato dopo l’entrata in vigore dello stesso.
Per questi ricorsi, a stretto rigore, non si pone un problema di costituzionalità del termine di decadenza, perché essi beneficerebbero comunque della disposizione di favore dell’art. 30, co. 5, c.p.a., che fa decorrere il termine di 120 gg. dal passaggio in giudicato della sentenza, e che costituisce, insieme alla previsione dell’art. 30, co. 3, secondo periodo, c.p.a., una delle norme chiave del sistema di pregiudizialità temperata disegnato dal legislatore del codice del processo.
La circostanza che per essi non si ponga un problema di costituzionalità non esclude, però, che si ponga un problema di individuazione dello statuto di questo tipo di azioni, ed in particolare dell’applicabilità a questi ricorsi del termine di decadenza (come per le fattispecie perfezionatesi interamente dopo il codice) o del termine di prescrizione (come per le fattispecie perfezionatesi interamente prima del codice).
L’Adunanza plenaria n. 6 si limita ad affermare che il termine di decadenza non è applicabile «ai fatti illeciti anteriori» senza ulteriori specificazioni; essa decide, d’altronde, una fattispecie piuttosto complessa in cui si erano sovrapposti diversi provvedimenti del 2003 e del 2004, annullati definitivamente con sentenza passata in giudicato nel giugno del 2010, e quindi una fattispecie maturata interamente prima dell’entrata in vigore del codice.
La ordinanza n. 57 della Corte costituzionale sembra non attribuire alcun rilievo al giudizio di annullamento, collegando (nel penultimo paragrafo della parte motivazionale) la decorrenza della prescrizione direttamente all’adozione del provvedimento causativo di danno.
La questione dello statuto dell’azione risarcitoria per danni cagionati prima dell’entrata in vigore del codice da un provvedimento, annullato con sentenza passata in giudicato dopo, è stata, però, affrontata espressamente dalla pronuncia del TAR Piemonte, II, 2.5.2015, n. 746, che ha avuto ad oggetto un provvedimento lesivo del 2004, annullato con sentenza passata in giudicato il 18.12.2010, con azione risarcitoria proposta il 4.5.2011, ovvero poco oltre il termine di 120 gg. dal passaggio in giudicato della sentenza di cui all’art. 30, co. 5, c.p.a.
Il TAR Piemonte ritiene che a tale ricorso non sia applicabile il termine di decadenza, che non riguarderebbe i «diritti sorti precedentemente e già acquisiti al patrimonio del soggetto», e l’annullamento giurisdizionale del provvedimento causativo di danno non farebbe sorgere il diritto in quanto «la sentenza che pronuncia l’annullamento dell’atto illegittimo, o che ne dichiara la illegittimità, non apporta alcunché, perché una simile pronuncia si limita ad accertare solo una delle condizioni in presenza delle quali può essere riconosciuto il risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo»; il diritto al risarcimento del danno sorge, pertanto, già «in concomitanza con l’evento lesivo».
La ricostruzione dello statuto dell’azione risarcitoria per danni cagionati prima dell’entrata in vigore del codice da un provvedimento annullato con sentenza passata in giudicato dopo, e l’applicabilità o meno a tali azioni del termine di decadenza a decorrenza differita dell’art. 30, co. 5, c.p.a., è, pertanto, l’unico tassello che a questo punto manca per definire le questioni di diritto transitorio generate dall’introduzione del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria, ma la pronuncia n. 746 del TAR Piemonte, di poco antecedente l’Adunanza plenaria, contiene argomenti idonei a risolverla definitivamente.
1 Per un riassunto della complessa questione v. Cass., S.U., 13.6.2006, n. 13659 e 13660.
2 Nel senso che non sia necessario proporre l’azione di annullamento, perché la norma dell’art. 30 c.p.a, nella parte in cui escludeva la pregiudizialità, doveva ritenersi ricognitiva di principi già esistenti implicitamente nel sistema, la giurisprudenza di gran lunga maggioritaria; v. per tutte Cons. St., V, 29. 11. 2011, n. 6296; TAR Catanzaro, I, 13.4.2011, n. 513; TAR Catania, I, 25.7.2013, n. 2166.
3 TAR L’Aquila, I, 10. 1. 2013, n. 15.
4 Cons. St., IV, 22. 5. 2014, n. 2635; TAR Lazio, II, 2.10.2013, n. 8545; TAR Catania, II, 123. 2012, n. 638.
5 Cons. St., VI, 4. 2. 2014 n. 524; Cons. St., III, 22. 1. 2014, n. 297; Cons. St., V, 29.11.2011, n. 6296.
6 TAR L’Aquila, n. 15/2013, cit.
7 Cons. St., III, 22.1.2014, n. 297.