TERMODINAMICA (XXXIII, p. 573)
Il secondo principio della termodinamica in biologia - Per la generalità dei suoi principi, la t. costituisce lo strumento concettuale più idoneo al fine d'impostare lo studio di sistemi complessi della cui struttura interna non si sappia ancora abbastanza per costruirne un modello soddisfacente. Essa permette infatti di giungere a tutte quelle proprietà e caratteristiche del sistema allo studio che non dipendono dalle particolarità della sua struttura, ma solo dalle interazioni e dagli scambi che il sistema ha con l'ambiente. Si potrebbe pertanto credere che la t. abbia trovato il suo più importante campo di applicazione in biologia, nello studio degli organismi viventi.
Ciò in realtà non si è finora verificato altro che in minima parte e ciò sostanzialmente per due ragioni. La prima sta nel fatto che un esame anche superficiale delle interazioni tra un organismo e il suo ambiente mostra che un organismo è un sistema aperto sede di processi largamente irreversibili. La t. classica si è sviluppata essenzialmente come studio degli stati di equilibrio di sistemi chiusi (cioè tali che non abbiano scambi di materiali con l'ambiente) e i processi da essa considerati sono stati essenzialmente i processi reversibili, anche se considerati schematizzazione limite di processi reali (cioè irreversibili). La t. degli stati di equilibrio è stata poi estesa anche a sistemi aperti, senza tuttavia trovare larghe applicazioni al di fuori dell'ambito chimico-fisico. La nascita della t. degli stati di non-equilibrio, cioè della t. dei processi irreversibili, può in pratica datarsi dal 1931 con la formulazione della legge di Onsager. Da allora si è reso possibile lo studio termodinamico dei processi irreversibili lineari, cioè non molto discosti dalla reversibilità, mentre solo negli ultimissimi anni sono incominciate le ricerche sulla t. dei processi irreversibili di carattere non lineare. I processi che si svolgono negli organismi viventi appartengono praticamente tutti a quest'ultima categoria.
La seconda ragione per cui non si sono avute finora grandi applicazioni della t. in biologia, spiega anche perché l'urgenza di decifrare i processi biologici non abbia servito da stimolo per lo sviluppo della t. dei sistemi aperti in condizioni di non-equilibrio. Certi aspetti molto generali ed evidenti del divenire organico hanno per molto tempo suscitato nella mente di molti scienziati dubbi sulla validità per gli organismi viventi del secondo principio della t., dubbi sempre rinforzati da residui di miti e superstizioni tradizionali circa la natura dell'uomo e la sua posizione nel mondo. Occorre dir subito che oggi la questione è chiusa ed è del tutto chiaro che quei dubbi derivavano solo da fraintendimenti sull'effettivo significato del secondo principio e da ignoranza di certi meccanismi biologici, che solo negli ultimi decenni sono stati chiariti. Così stando le cose, la via migliore per illustrare la portata del secondo principio in campo biologico sembra essere quella di esporre alcuni dei più comuni sofismi in proposito e dimostrarne in breve e con chiarezza l'inconsistenza.
Il primo dei tre argomenti che vogliamo discutere coinvolge la ben nota relazione tra entropia e ordine (o probabilità di uno stato): il secondo principio consente di prevedere il senso dell'evoluzione spontanea di ogni sistema, evoluzione che porta in ogni caso da stati più ordinati (meno probabili) verso stati meno ordinati (più probabili), ed è sempre accompagnata da un aumento di entropia.
Riferiamoci per maggiore chiarezza a un esempio concreto. Immaginiamo di mettere in un pallone di vetro (che andrà poi chiuso ermeticamente) un po' di terra, un po' d'acqua e il seme di una pianta, il tutto in un'atmosfera contenente ossigeno e anidride carbonica in proporzioni convenienti. Se il pallone viene poi tenuto a temperatura opportuna, il seme rapidamente si sviluppa a spese dei materiali circostanti disorganizzati. L'ordine di questi materiali quindi aumenta e l'entropia del sistema diminuisce. Sembrerebbe quindi un processo spontaneo, per il quale il secondo principio non può essere valido.
In realtà, il discorso è confuso, e la conclusione è errata, perché non si sono sufficientemente precisate le condizioni ai limiti. Se il sistema è completamente isolato, e cioè non ha scambi con l'ambiente circostante né di calore né di energia in qualsiasi altra forma, il seme si sviluppa solo fino a esaurimento dei suoi propri materiali di riserva. Questi assieme all'ossigeno contenuto nell'atmosfera del pallone costituiscono una notevole provvista di energia libera in forma chimica, che solo in parte è utilizzata per la sintesi delle sostanze necessarie allo sviluppo della pianta, mentre la parte restante si dissipa in calore. Si ha dunque una produzione di entropia all'interno del sistema, proprio come prevede il secondo principio.
Il processo di sviluppo può poi proseguire anche oltre l'utilizzazione di tutti i materiali di riserva del seme, ma ciò può avvenire soltanto attraverso la fotosintesi. È necessario che la pianta riceva dall'estero radiazione elettromagnetica di lunghezza d'onda appropriata, perché possa sintetizzare glucosio a partire da acqua e anidride carbonica presenti nell'ambiente. Ma allora il sistema non è più un sistema isolato. La maggior parte dell'energia elettromagnetica ricevuta dall'esterno viene immediatamente dissipata in calore e ciò corrisponde a una grossa produzione di entropia all'interno del sistema, che compensa largamente la diminuzione di entropia che si ha nella sintesi di polisaccaridi a spese di anidride carbonica e acqua. Così, anche nella fotosintesi l'energia libera diminuisce e l'entropia aumenta proprio come prevede il secondo principio.
La seconda argomentazione è un po' meno grossolana e si riferisce non alle alterazioni con l'ambiente, ma al metabolismo degli organismi. È noto che le macromolecole biologicamente significative, acidi nucleici e proteine, in soluzione acquosa sono instabili rispetto all'idrolisi. La vita è possibile solo perché l'idrolisi non può avvenire normalmente che superando una barriera di potenziale e l'energia di attivazione a ciò necessaria è troppo elevata per poter essere fornita dai moti di agitazione termica a temperatura ambiente. Ma basta la presenza di un enzima appropriato, che abbassi quella barriera di potenziale, perché le macromolecole in questione si decompongano spontaneamente nei nucleotidi o, rispettivamente, negli amminoacidi, componenti, con diminuzione dell'energia libera del sistema. Com'è allora che tali macromolecole vengono continuamente sintetizzate negli organismi viventi? Ciò comporta un aumento dell'energia libera e va quindi contro il secondo principio.
La risposta è che, come il seme dell'argomentazione precedente, il sistema ha già fatto in un primo tempo una sua riserva di energia libera, che viene in parte utilizzata per la sintesi delle macromolecole, mentre la parte restante viene dissipata in calore, con che il secondo principio risulta ancora una volta soddisfatto. Occorre tuttavia, in questo caso, vedere come ciò possa verificarsi. Il primo passo consiste nella sintesi di alcuni particolari tipi di molecole che vengono (impropriamente) chiamate molecole "ricche di energia". Queste molecole, la più importante e la più conosciuta delle quali è l'adenosintrifosfato (ATP: App. III, 11, p. 71, e v. nucleici, acidi, in questa App.), hanno la caratteristica di possedere dei gruppi (di solito, uno o più gruppi fosfato) molto debolmente legati al resto della molecola. Si tratta di legami metastabili rispetto all'idrolisi: per es., idrolizzando il legame della coppia di fosfati terminale dell'ATP si liberano ben 7 kcal/mole. Il processo può poi proseguire in vari modi. Per es., un gruppo difosfato così debolmente legato all'ATP può essere facilmente sostituito da un altro gruppo con energia di legame un po' maggiore, anche se con legame ancora instabile rispetto all'idrolisi. Il processo è in accordo col secondo principio, in quanto la differenza tra le due energie di legame va dissipata in calore e corrisponde quindi a una produzione interna di entropia. Il gruppo che ha sostituito il difosfato può infine essere trasferito enzimaticamente altrove, a energia libera sempre decrescente, e formare alla fine il legame che interessa, sempre instabile rispetto all'idrolisi, anche se assai meno del legame iniziale del gruppo AMP (adenosinmonofosfato) + difosfato. Questo è ciò che avviene, in particolare, nel caso della sintesi delle proteine. Il bilancio complessivo è sempre lo stesso, con due reazioni chimiche accoppiate tra loro: l'ATP viene idrolizzato e 7 kcal/mole sono rese disponibili. Parte di questa energia viene dissipata in calore e parte viene utilizzata come apporto esterno di energia libera per far procedere sul senso voluto la reazione che interessa. In totale, il secondo principio è soddisfatto.
Passiamo infine alla terza delle argomentazioni che ci siamo proposti di discutere. Essa riguarda non lo sviluppo di un singolo organismo, ma l'evoluzione biologica, in grande. L'evoluzione, si dice, ha sempre portato sistematicamente da organismi più semplici ad altri più organizzati e complessi. Il "sistema" degli organismi viventi evolve quindi spontaneamente in senso opposto a quanto si dovrebbe prevedere in base al secondo principio. Lasciamo pure da parte il fatto che quanto asserito non è vero: è possibile individuare una linea filetica ininterrotta lungo la quale la complessità organizzativa del vivente è andata di regola sempre crescendo, ma a questa se ne affiancano numerosissime altre lungo le quali la complessità si è mantenuta costante o che ha invece portato a degenerazione o estinzione della specie. Lasciamo anche da parte il fatto che, comunque, il "sistema" degli organismi viventi dà luogo al suo interno (come abbiamo appena visto) a grosse produzioni di entropia che pur vanno messe nel conto. Limitiamoci quindi a esaminare una forma recente di presentazione del sofisma, in termini di biologia molecolare.
Il secondo principio, si dice, formula solo una previsione statistica e quindi non esclude la possibilità di fluttuazioni dell'entropia: un qualunque sistema macroscopico può, per una piccolissima ampiezza e per una brevissima durata, risalire la china scendendo la quale l'entropia aumenta. In un essere vivente, questi fuggevoli istanti (in cui l'entropia è minore di ciò che dovrebbe, in termini di secondo principio) sarebbero quelli in cui, nel corso della duplicazione del genoma, anziché continuare la riproduzione invariante, hanno luogo le mutazioni spontanee, quelle che nella nuova generazione porteranno a un progresso organizzativo della specie. In altre parole, quando nel corso della duplicazione del DNA avviene un "errore", per es. una timina s'inserisce al posto di una citosina, si tratterebbe di un processo elementare possibile solo in corrispondenza di una fluttuazione in diminuzione dell'entropia e che quindi "blocca" per così dire tale fluttuazione costituendo una violazione microscopica del secondo principio. Siccome i risultati delle mutazioni sono stabili e si riproducono in modo invariante in tutte le successive duplicazioni, ciò porterebbe senz'altro a una violazione macroscopica del secondo principio nel corso dell'evoluzione biologica e giustificherebbe la pretesa tendenza "ascendente", verso organismi sempre più complessi.
La via più semplice per mettere in evidenza la fallacia di questa argomentazione è forse la seguente. Quando sciogliamo in acqua un sale, per es. citrato di sodio, una frazione delle molecole risulta sempre dissociata in ioni citrato e ioni sodio: la situazione di parziale dissociazione che si realizza è quella per la quale, in armonia col secondo principio, l'energia libera della soluzione risulta (a quella pressione e a quella temperatura) la minima possibile. Ora, si ritiene che un meccanismo con cui si producono mutazioni spontanee sia il seguente: una base del DNA, per es. la guanina, potrebbe esistere in soluzione in due forme tautomeriche distinte, trasformabili l'una nell'altra, una di gran lunga più frequente in cui essa si può accoppiare nel DNA con la citosina, e una di gran lunga più rara in cui essa può invece accoppiarsi solo con la timina. Sarebbero queste forme rare quindi a portare, nel corso della duplicazione del genoma, a una mutazione. Il rapporto, che di fatto si realizza in soluzione tra il numero di guanine nell'una forma e il numero di guanine nell'altra, è quello a cui corrisponde (come nel caso della dissociazione di un sale) il minimo dell'energia libera. Si vede dunque in questo esempio che l'esistenza di mutazioni spontanee, qualunque sia poi il loro significato e la loro portata sul piano evolutivo, non rappresenta una violazione, ma è anzi una conseguenza del secondo principio.
Dissipato oggi ogni dubbio sulla validità del secondo principio per i sistemi biologici, si può applicare a essi la t. dei sistemi aperti, sedi di processi irreversibili in regime non lineare, teoria al cui sviluppo sono presentemente impegnati molti ricercatori.
Bibl.: A. Katchalsky, P. F. Curran, Nonequilibrium thermodynamics in biophysics, Cambridge, Mass., 1965; S. R. De Groot, P. Mazur, Nonequilibrium thermodynamics, Amsterdam 1969; I. Prigogine, Introduzione alla termodinamica dei processi irreversibili, Roma 1971; P. Glansdorff, I. Prigogine, Thermodynamic theory of structure, stability and fluctuations, Londra 1971.
Termodinamica dei sistemi irreversibili.
Fin dalla metà del 19° secolo si sono avuti tentativi di applicare la t. allo studio di fenomeni irreversibili (per es., Lord Kelvin, per i fenomeni termoelettrici) e di ottenere formulazioni delle leggi generali, in particolare del secondo principio della t., appropriate per condizioni di non equilibrio.
Fra la fine del 19° secolo e l'inizio del 20° furono in vario modo sviluppate ricerche per ottenere espressioni quantitative dell'aumento di entropia dovuto alle irreversibilità dei fenomeni.
Nel 1931, L. Onsager stabilì le "relazioni di reciprocità" fra i coefficienti che compaiono nelle relazioni lineari empiriche che riguardano numerosi fenomeni irreversibili. Tale tema fu successivamente ripreso e approfondito da B. C. Casimir.
Attorno alla metà del 20° secolo, infine, J. Meixner, I. Prigogine, formularono una teoria per i fenomeni irreversibili che, comprendendo la legge di reciprocità, consente la trattazione di vari sistemi in cui agisce la "sorgente entropica" dovuta all'irreversibilità.
Da allora la t. dei sistemi irreversibili si è estesa a numerosi settori, in relazione al grande interesse presentato dalla possibilità di valutare, sia pure con indeterminazioni, le conseguenze del divenire di tutti i fenomeni reali.
Le leggi fondamentali della t. classica consentono la definizione dei fenomeni irreversibili, per la descrizione dei quali, sotto molti aspetti, forniscono contributi unici e senza riscontro in altre branche della fisica. Però le formulazioni classiche delle leggi, e soprattutto la grande messe di conseguenze teoriche e di risultati utili per le applicazioni, che da esse sono stati dedotti, consentono sviluppi quantitativi rigorosi, soltanto con riferimento a fenomeni reversibili. Le leggi della t. classica cioè sono espresse mediante grandezze i cui valori, nel sistema in esame, sono uniformi nello spazio e costanti nel tempo; cioè negli stati di equilibrio. Pertanto, per poter descrivere le trasformazioni in termini di coordinate termodinamiche riferite a un sistema come un tutto, bisogna che esse siano costituite da una successione di stati di equilibrio, cioè siano "reversibili".
I fenomeni reali, invece, presentano di regola caratteri d'irreversibilità, legati a disuniformità spaziali e a scostamenti dall'equilibrio.
In molti casi però tali caratteri hanno importanza quantitativamente modesta e soprattutto non appaiono come intrinseci al fenomeno: questo conserva, cioè, le sue peculiarità essenziali qualora, con opportuni accorgimenti, vengano rese sempre meno importanti le cause d'irreversibilità; onde è lecito, in molti casi, studiare il fenomeno come reversibile, salvo poi tener conto delle irreversibilità mediante opportune correzioni (per es., i cicli termodinamici delle macchine termiche). In altri casi invece i caratteri d'irreversibilità sono intrinseci come, per es., l'espansione di un gas attraverso un orifizio. Può accadere però che, in relazione alle finalità dello studio, il fenomeno risulti adeguatamente descritto nei termini degli stati iniziale e finale di equilibrio. Anche in tal caso, possono essere utilmente impiegati i metodi e i risultati della t. classica, i quali però non consentono una trattazione sistematica e generale della distribuzione spaziale e della rapidità dell'evoluzione temporale dei parametri caratteristici del sistema nel fenomeno irreversibile.
Questo è lo scopo della t. dei fenomeni irreversibili.
Postulato dell'equilibrio locale. - Per descrivere un fenomeno in cui le grandezze caratteristiche variano nel tempo e nello spazio, è necessario innanzi tutto definire valori locali e istantanei delle grandezze che interessano. Trattandosi di grandezze il cui significato è valido in termini macroscopici, se ne possono definire ragionevolmente valori locali, facendo riferimento a porzioni abbastanza piccole per cui risultino operativamente non rilevabili le disuniformità conseguenti allo stato di non equilibrio, ma sempre abbastanza grandi da poter essere considerate come sistemi materiali continui, caratterizzate da grandezze di carattere macroscopico; cioè come sistemi "termodinamici". Analogamente per i valori istantanei.
D'altra parte, pur potendosi definire nell'ipotesi di continuità della materia, con riferimento a volumi e intervalli di tempo piccoli, valori locali e istantanei delle varie grandezze come funzioni continue dello spazio e del tempo, non è possibile, in generale, dedurre sperimentalmente le relazioni che fra esse intercorrono nell'ambito di un fenomeno irreversibile.
Si ammette allora, anche in assenza di prove sperimentali specifiche, che le relazioni esistenti fra grandezze locali siano le stesse che risulterebbero valide, se nella piccola porzione di spazio e di tempo cui si riferiscono il sistema si trovasse in equilibrio ("postulato dell'equilibrio locale").
Evidentemente, le conseguenze dedotte da tale postulato risultano tanto meglio verificate quanto meno rilevanti sono le reali condizioni di "squilibrio" nel sistema.
Per impostare la trattazione occorre anzitutto determinare le espressioni che, in termini locali e in condizioni di non equilibrio, assumono le leggi generali di conservazione della massa e i due principi della termodinamica.
Nelle ipotesi sopradette di continuità, tali leggi possono essere espresse sotto forma differenziale.
Conservazione della massa. - Per un sistema costituito da più specie chimiche, tale principio può essere espresso dalla relazione
ove ρ è la densità, cK è la concentrazione della specie K-esima; JK è il relativo flusso specifico di diffusione di massa (rispetto al moto baricentrico). Se sono presenti n specie chimiche, si ha, per definizione,
Primo principio. - Nel caso di fenomeni irreversibili la presenza di condizioni di squilibrio generale fa sì che, anche se il sistema è globalmente in quiete, le varie parti si trovino in generale in moto relativo.
In termini di grandezze locali, pertanto, il primo principio è sempre espresso come legge generale di conservazione dell'energia, considerando, oltre l'energia interna, anche quella cinetica e potenziale.
Pertanto si ha, nei fenomeni irreversibili, per un sistema di volume V e densità ρ:
dove U è l'energia interna definita per il sistema globale; u, v2/2, ψ sono rispettivamente i valori locali specifici della energia interna, cinetica e potenziale.
Per fenomeni, per es., nei quali entri in gioco energia solo nelle forme termica e meccanica, si ha l'espressione locale, valida anche fuori equilibrio, della conservazione dell'energia:
ove Jq è il flusso termico specifico, v il volume specifico, II è un tensore definito da P = II + Up, con P tensore degli sforzi, U tensore unitario; p è la pressione, v la velocità baricentrica dell'elemento di volume dV:
Secondo principio. - Per un qualsiasi sistema che subisca una trasformazione elementare, la variazione di entropia si può porre sotto la forma
ove dSe è l'entropia scambiata con l'esterno, dSi è invece l'entropia prodotta dalle cause d'irreversibilità all'interno del sistema.
Il secondo principio della t. asserisce che per il sistema è:
ove l'uguaglianza vale soltanto per fenomeni reversibili. Negli altri casi, la t. classica dà soltanto relazioni di disuguaglianza.
La t. dei fenomeni irreversibili si propone quindi, come accennato, di fornire relazioni capaci di esprimere il valore di dSi in funzione di parametri locali caratteristici dei fenomeni irreversibili.
Per un sistema arbitrario di volume V e superficie limite A, si definiscono un flusso esterno totale di entropia per unità di superficie e di tempo, Jst, e un'intensità di sorgente entropica σ, cioè produzione di entropia per unità di volume e di tempo, tramite le relazioni
se s è l'entropia specifica locale, si ha
e risulta, per le [3], [5], [6]
Si definisce anche il "flusso esterno di entropia" come differenza di Jst meno il flusso di entropia dovuto al flusso di materia; si ha:
Il problema è ricondotto a quello di dare espressioni esplicite di Jst e σ.
Se ci si riferisce a un sistema costituito da n specie chimiche, in conseguenza del postulato dell'equilibrio locale, si ammette valida l'equazione di Gibbs fra le grandezze locali; si ha:
ove μK è il potenziale chimico della specie K-esima. Data l'espressione [2] di du/dt fornita dal primo principio, e la [1] di dcK/dt dalla conservazione della massa, si ha:
e per confronto con la [7]
Si nota che il flusso di entropia Js, se il sistema è aperto, è dovuto sia al flusso termico specifico, sia alla diffusione di specie chimiche diverse attraverso la sua superficie limite.
Per un sistema chiuso, integrando la [8] sul volume si ha, tenuto conto delle [3], [4] e del teorema di Gauss:
che equivale alla diseguaglianza di Clausius.
Si nota che la struttura dell'espressione di σ è quella di una somma di prodotti interni di due fattori: uno dei quali è legato al gradiente di una grandezza intensiva (temperatura, velocità, potenziale chimico); l'altro è il flusso di una grandezza (flusso termico Jq; diffusione JK; tensore II, interpretabile come flusso di quantità di moto); entrambi i fattori non sono nulli solo in condizioni di non equilibrio; delle quali pertanto risultano caratteristici. Le quantità che moltiplicano i flussi nell'espressione di σ vengono chiamate "forze motrici" o "forze termodinamiche" o ancora, "affinità".
Si può mostrare che tale risultato è generalizzabile, includendo altre forme di energia, presenza di reazioni chimiche, ecc.; si può cioè porre, in ogni caso, indicando con Xi e Ji le componenti generiche delle forze termodinamiche e dei flussi di grandezze indipendenti:
Relazioni fenomenologiche. - L'insieme delle relazioni locali di conservazione della massa ed energia, delle espressioni locali del secondo principio e delle equazioni di stato non può in generale essere risolto, con assegnate condizioni ai limiti, a causa della presenza dei flussi Ji come parametri incogniti. D'altronde è un dato sperimentale il fatto che i flussi Ji sono legati alle forze termodinamiche Xi; in particolare, in condizioni di equilibrio, sono nulle tutte le Xi e con esse si annullano i flussi. È noto inoltre, che per alcuni tipi di fenomeni semplici valgono leggi di origine empirica che legano flussi e forze termodinamiche mediante relazioni lineari, come, per es., legge di Fourier, legge di Ohm, legge di Fick, ecc.
Nella t. dei fenomeni irreversibili viene in genere adottata un'estensione di tali leggi sperimentali, ammettendo valida una dipendenza di tipo lineare fra i vari flussi e forze termodinamiche, che tiene conto anche delle azioni "incrociate" ovvero dell'influenza della forza Xi sul flusso JK; si pone cioè
e ne risulta per la produzione di entropia l'espressione quadratica nelle X
Le relazioni [11] vengono chiamate "equazioni fenomenologiche" e i coefficienti LiK "coefficienti fenomenologici".
Per quanto per un'ampia varietà di fenomeni, fra ctui i già citati, le relazioni lineari [11] risultino sufficientemente verificate anche in condizioni sperimentali di forte squilibrio, esse non hanno evidentemente validità generale e devono essere considerate come relazioni di prima approssimazione, corrispondenti, cioè, al primo termine dello sviluppo in serie delle leggi effettive. In tal senso anche per questa ipotesi le [11] possono ritenersi comunque valide soltanto in condizioni non troppo lontane da quelle di equilibrio.
Con tale limitazione, le [11] completano l'insieme delle relazioni disponibili, testè citate, e con le [10], [1], [2], [7], [8], [9] e le equazioni di stato consentono, almeno in linea di principio, di determinare la rapidità di evoluzione nel tempo e la distribuzione spaziale di tutte le variabili termodinamiche locali.
Perché ciò sia effettivamente possibile, occorre conoscere i valori dei coefficienti fenomenologici. Essi dipendono dalla natura del corpo considerato e dallo stato locale; in generale possono essere determinati sperimentalmente. Alcuni di essi, in particolare, risultano esprimibili mediante quelli noti di conduttività interna, resistività elettrica, diffusione, ecc. Inoltre, esistono talune relazioni, assai generali, che legano fra loro i vari coefficienti fenomenologici.
Relazioni generali fra i coefficienti fenomenologici. - Tali relazioni derivano dalle proprietà generali di simmetria della materia (principio di Curie), da quelle di simmetria rispetto al tempo delle equazioni del moto delle singole particelle (in senso microscopico) costituenti il sistema, dalla condizione che sia σ ≥ 0.
Una conseguenza del principio di simmetria della materia è che nei corpi isotropi debbono esser nulli tutti i coefficienti crociati relativi a flussi e forze termodinamiche di diverso ordine tensoriale (scalari con vettori, vettori con tensori, ecc.).
Dalla simmetria delle equazioni del moto rispetto al tempo conseguono le cosiddette relazioni di reciprocità o relazioni di Onsager-Casimir, che possono essere espresse dalla
con αi(αK) = ± 1 a seconda che la forza termodinamica Xi(XK) sia funzione pari o dispari rispetto al tempo.
Qualora i fenomeni considerati si svolgano in presenza di campo magnetico con induzione magnetica B o in sistemi rotanti con velocità angolare w, o comunque con variabili di stato gi dispari, le relazioni di reciprocità prendono la forma
Le relazioni di Onsager-Casimir non sono però valide per qualunque scelta delle forze termodinamiche e flussi indipendenti.
Si può dimostrare che le condizioni, che questa scelta deve soddisfare, sono: a) i flussi Ji debbono essere espressi come derivate rispetto al tempo di variabili estensive qi, cioè Ji = dqi/dt, e come funzioni lineari delle forze termodinamiche Xi; b) le forze termodinamiche Xi debbono soddisfare le relazioni Xi = ∂S/∂qi. si può infine dimostrare che le [13] rimangono valide, anche se i flussi non risultano derivate temporali di variabili locali di stato, per i coefficienti fenomenologici che intervengono in leggi fra le grandezze a carattere vettoriale o tensoriale, che compaiono nell'espressione della produzione locale di entropia.
Applicazioni della termodinamica dei sistemi irreversibili. - La t. dei sistemi irreversibili permette dunque di valutare quantitativamente, seppure in linea di approssimazione ed entro i limiti posti dalle ipotesi su cui si fonda, le conseguenze dell'irreversibilità dei fenomeni reali, già d'altronde completamente definite, in termini qualitativi, cioè attraverso espressioni di diseguaglianza dalla t. classica.
Inoltre la riduzione alla forma [10] della sorgente di entropia consente in taluni casi la più opportuna individuazione delle "forze termodinamiche" che governano il fenomeno: mentre la successiva imposizione della validità delle [13] permette di acquisire, riconoscere o interpretare particolari peculiarità del fenomeno in studio.
Applicazioni nei sensi precisati, sono state effettuate nei campi delle reazioni chimiche, della conduzione termica, dei moti dei fluidi viscosi, della conduzione elettrica e relative interazioni; a sistemi discontinui polarizzati; a fenomeni acustici; a fenomeni di rilassamento di varia origine.
Bibl.: L. Onsager, in Physical review, vol. 37 (1931), p. 405; vol. 38 (1931), p. 2265; J. Meixner, in Annals of physics, vol. 39 (1941), p. 333; vol. 41 (1942), p. 409; vol. 43 (1943), p. 244; id., in Zeitschrift für Physikalische Chemie, B, vol. 53 (1943), p. 235; I. Prigogine, Etude thermodynamique des phénomènes irréversibles, Parigi 1947; S. R. De Groot, P. Mazur, Non equilibrium thermodynamics, Amsterdam 1962; B. H. Lavenda, Thermodynamics of irreversible processes, Londra 1978; J. Tonnelat, Thermodynamics et biologie, 2 voll., Parigi 1978.