TERRANOVA, Carlo Aragona Tagliavia,
duca di. – Nacque nel 1521 a Castelvetrano (Trapani) da Giovanni Tagliavia (v. la voce Terranova, Giovanni Aragona Tagliavia, marchese di in questo Dizionario) e da Antonia Concessa, figlia del marchese di Avola Carlo Aragona e di Giulia Alliata, già sposa di Carlo Luna dei conti di Caltabellotta.
Erede del vastissimo patrimonio feudale derivante dall’unione dei due casati Aragona e Tagliavia, ben presto Carlo fu avviato alla carriera militare dal padre, che fu a lungo al fianco di Carlo V in Germania, in Africa e nei Paesi Bassi.
Marchese di Terranova dal 1538, anno della morte della madre, egli condusse la sua giovinezza nelle campagne militari al servizio dell’imperatore, interrotte solo da brevi rientri in Sicilia, come quello della primavera del 1544, quando prese in sposa Margherita Ventimiglia, figlia del marchese di Geraci, proseguendo la politica di alleanze matrimoniali utili all’espansione politica e patrimoniale del lignaggio. Che i tempi fossero però maturi per un suo ritorno stabile nell’isola si avvertì tre anni dopo, quando l’arrivo del nuovo viceré Juan de Vega spinse suo padre Giovanni, escluso dall’entourage viceregio, a chiedere a Carlo V la carica di maestro giustiziere per il figlio che da oltre un decennio lo serviva in tutta Europa. In verità la preghiera celava una questione molto più complessa, dal momento che l’incarico richiesto, più che un’ulteriore mercede, era lo strumento formale che avrebbe permesso a Carlo di fronteggiare l’attacco del Fisco regio che proprio in quel periodo gli contestava la titolarità del possesso su Terranova e Avola. Nondimeno, la carica non gli fu concessa per via dei sospetti sulla gestione del traffico dei grani messa in atto dal padre negli anni della sua presidenza, anche se Carlo rimase persona così gradita al sovrano da far parte del corteo che nel 1548 mosse dalla Spagna per accompagnare il principe Filippo nel viaggio diretto a conoscere i futuri regni europei; corteo che però dovette abbandonare a Barcellona quando, raggiunto dalla notizia della morte del padre, decise di recarsi a Bruxelles per ricevere l’investitura degli Stati feudali.
Fu così che ebbe inizio la sua carriera politica nell’isola, che si giovò del costante sostegno di Nicolas e Antoine Perrenot de Granvelle, ai quali egli confidò le difficoltà dei rapporti con il viceré Vega, che, pur avendolo nominato capitano di uno dei valli in cui era ripartito il Regno, non sembrava favorirlo. Ma va detto come ciò nonostante Terranova riuscisse comunque ad accrescere il suo ruolo politico nei rapporti e nelle alleanze con i gruppi dirigenti del Regno, di canto alla compagine della sua famiglia, poiché dal matrimonio con Margherita Ventimiglia nacque una numerosa progenie: sette maschi e cinque femmine, tra cui, nel 1550, Simone, il futuro cardinale che ebbe come padrino Antoine Perrenot, a conferma di come fosse il rapporto con i Granvelle a segnare il suo orizzonte politico fin dalla metà degli anni Cinquanta.
Va anche ricordato che in quegli anni continuò a recarsi frequentemente presso le due corti sovrane, quella imperiale e quella inglese, per rinnovare servigi e fedeltà al sovrano, al principe Filippo, ai suoi protettori. Un andirivieni fatto di partenze, di improvvisi ritorni e di nuovi viaggi da solo e/o in compagnia di congiunti e sodali alla ricerca di titoli e nuovi incarichi con soste strategiche presso alcune corti della penisola. Viaggi che furono proficui anche perché riuscì a guadagnarsi il favore di Vega che, al ritorno da uno di essi, giunse a ospitare Terranova in un appartamento a Palazzo Reale, intrattenendolo con forme deroganti al cerimoniale. Una trasgressione al rituale che fu generalmente interpretata come una variazione delle simpatie viceregie per via dei meriti da lui acquisiti a Londra e a Bruxelles, per i quali lo stesso Vega giunse a caldeggiare la sua candidatura per il governo di Siena, a riprova di un disegno ‘internazionale’ sulla sua carriera ben accetto agli ambienti di corte. Tant’è che quando a Siena fu nominato governatore il cardinale di Burgos, Francisco de Mendoza y Bobadilla, la candidatura di Terranova venne presentata per il governo della Sardegna o dell’Aragona, ma con una propensione di Vega per la prima giustificata dal fatto che era consuetudine assegnare il Regno di Aragona a un ‘naturale’.
Di fatto, quindi, gli anni Cinquanta videro Terranova muoversi tra guerra, governo e negozi diplomatici, alla ricerca di un incarico che lo conducesse fuori dal Regno, ma in una posizione di comando, con una disposizione alla mobilità che fu tra i tratti dominanti della sua carriera nella monarchia. Tuttavia, tale disposizione non fu accolta immediatamente e sembrò, anzi, che egli fosse destinato a rimanere per sempre nell’isola, dove intanto la sua autorità cresceva al pari del riconoscimento sovrano, come segnalato dal titolo di duca conferitogli nel giugno del 1561, cui, tre anni dopo, si sarebbe aggiunto quello di principe di Castelvetrano. Furono, infatti, anni di successo per il duca che espanse il suo potere feudale acquisendo nuovi feudi attraverso tutele, compravendite e/o matrimoni, e intrecciando l’attività finanziaria al disegno privato, grazie a un’attenta pianificazione dei matrimoni dei figli.
Egli decise infatti la politica e le armi per tre maschi, la chiesa per altri due e matrimoni politicamente strategici per due maschi, Giovanni e Pietro, e per le cinque figlie femmine. La stagione dei matrimoni degli eredi Terranova, ovvero di una discendenza da collocare attraverso politiche matrimoniali orientate ad associare parentele e lignaggi, iniziò nel 1559 a Messina, dove furono stipulati i capitoli matrimoniali tra l’undicenne marchese di Avola Giovanni Aragona Tagliavia e la diciassettenne Maria de Marinis figlia di Pietro Ponzio, defunto barone di Muxaro e Favara e di Tresonia Moncada; cui sarebbe seguito, anni dopo, il matrimonio di Pietro con Castellana Centelles del Bosco, vedova del marchese di Sambuca e ricca ereditiera del Regno. Altrettanto strategici furono i matrimoni delle figlie: due di esse, Anna e Isabella, sposarono, infatti, due esponenti della grande nobiltà siciliana – Simone Ventimiglia, marchese di Geraci, ed Ercole Branciforte, conte di Cammarata –, mentre le altre tre si unirono a importanti membri della nobiltà napoletana: Giulia con Fabrizio I Carafa, marchese di Castelvetere poi primo principe di Roccella, Beatrice con Scipione Conclubet, marchese di Arena, ed Emilia con Paolo Ludovico, marchese di Montefalcone.
Dalla metà degli anni Sessanta la carriera politica di Terranova giunse ai vertici del governo grazie all’incarico di presidente del Regno rivestito dal 1566 al 1568 e dal 1571 al 1577. Ruolo ricercato a lungo e contrassegnato, nel primo mandato, dall’ampia fiducia concessagli dal viceré García de Toledo che gli permise di introdurre nel suo entourage molti dei suoi sodali – da Giovanni di Villaraut, barone di Prizzi, a Luigi Bologna – e di dar vita alla famosa Accademia d’armi che ebbe come generale suo figlio, il marchese di Avola; nel secondo mandato da una larga autonomia, poiché egli governò senza la presenza di un viceré. Di conseguenza, due mandati profondamente diversi tra di loro per durata e qualità degli interventi. Se il primo fu, infatti, caratterizzato a Palermo dai lavori del Parlamento del 1567 e da alcune opere urbanistiche – la creazione del nuovo molo e di largo Aragona, poi Bologna, a interruzione del Cassaro –, negli anni del secondo egli mise in atto una serie di importanti misure urbanistiche, socioeconomiche, militari che andarono dagli interventi nelle maggiori piazze della città alla riforma della milizia, al riassetto delle fortificazioni, all’istituzione di fonderie a Messina e a Catania per sopperire alla cronica mancanza di armi e munizioni, a una politica delle tratte del grano diretta a evitare la vendita degli uffici e l’ulteriore indebitamento del Regno, alla lotta contro la terribile peste del 1575, alla difesa del privilegio della Legazia apostolica, alla riorganizzazione della produzione normativa del Regno, all’intensificarsi dei rapporti con la corte madrilena anche per via della piena collaborazione offerta a Giovanni d’Austria e alla Lega santa in occasione della grande impresa navale che culminò con la vittoria a Lepanto.
Eppure, fu proprio allora che il suo consenso nell’isola iniziò a diminuire, mentre voci contrastanti animavano lo scenario politico con accuse dirette a denunciare la precarietà e la disorganizzazione militare in cui versava il Regno e a tacciare Terranova di aver fondato le sue fortune sull’esercizio del potere pubblico e sugli interventi presso settori chiave dell’amministrazione e dell’economia.
In realtà, era in atto un cambiamento dello scenario politico con nuovi equilibri che portarono nel 1577 alla nomina di Marco Antonio Colonna – personaggio notoriamente ostile al duca – a viceré dell’isola. Una nomina che favorì la campagna denigratoria intrapresa contro la famiglia e i sodali di Terranova, malgrado la partenza del duca per Colonia con la carica di ambasciatore plenipotenziario alla Dieta voluta dall’imperatore Rodolfo II per dirimere la rivolta dei Paesi Bassi, incarico derivante dalla sua vicinanza ad Antoine Perrenot de Granvelle e a Juan de Zúñiga, entrambi rappresentanti del re presso la Curia pontificia, dalla simpatia del segretario regio Antonio Pérez e dalla non ostilità del partito albista presso la corte madrilena. Terranova svolse il suo compito mostrando quelle doti di moderazione e di prudenza che gli erano valse la simpatia di Filippo II.
Sebbene la Dieta fosse un negozio travagliato e destinato all’insuccesso, pure la sua difesa della sovranità spagnola e del cattolicesimo gli guadagnarono il successivo incarico di governo della Catalogna, dove giunse nell’aprile del 1580 e dove agì con la stessa accortezza usata in Sicilia, fronteggiando i medesimi problemi: la difesa delle frontiere, la cura del patrimonio regio, l’amministrazione della giustizia, il banditismo, le epidemie. Nello spazio di un biennio riuscì così a riportare la dialettica politica del principato, inasprita dal confronto con il suo predecessore Toledo, nell’alveo della reciproca compostezza, attraverso l’esercizio del confronto con le istituzioni locali e del riconoscimento politico esercitato sia nelle forme usuali, sia attraverso la sociabilità aristocratica.
Seguì poi la nomina a governatore di Milano, carica che esercitò dal 1583 al 1592, rispettando gli antichi privilegi della nobiltà lombarda, mantenendo gli equilibri con il Senato e con gli altri organi amministrativi, dedicando una forte attenzione agli equilibri geopolitici dell’epoca in quella che era considerata la provincia italiana più complessa della monarchia.
Infine, l’ultimo incarico a Madrid nel Consiglio d’Italia, quale premio e riconoscimento formale della grandezza della sua personalità politica, giacché in quella sede si dibattevano le questioni dei territori italiani ed egli ebbe un confronto costante e privilegiato con il sovrano fino alla morte di questi nel 1598.
Appena un anno dopo, il 23 settembre 1599, anche Terranova morì a Madrid, da dove aveva disposto il ritorno delle proprie spoglie a Castelvetrano nel mausoleo di S. Domenico che negli anni della sua presidenza era stato adornato dalle opere di Antonino Ferraro, Antonello Benavides, Gianpaolo Fondulli, Simone Wrobeck e dove lo zoccolo delle pareti del coro, al cui centro sarebbe stato posto il suo sarcofago, recita un inno a Lepanto, l’evento da lui ritenuto l’inizio della sua fama.
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