Messina, terremoto di
Sisma di vaste proporzioni che investì la città di Messina il 28 dic. 1908. L’evento, che commosse l’opinione pubblica del mondo intero, non può essere messo in rapporto solo con la violenza delle scosse (10° grado della scala Mercalli), o con la loro durata (28-30 secondi), ma essenzialmente con la circostanza che venne a colpire una regione assai densamente popolata, dove le costruzioni, che poggiavano (specie a M.) su terreno alluvionale recente o di riporto, constavano largamente di masse di pietrame rotondo o a secco, senza sufficiente profondità di fondazioni. Contribuì poi ad accrescere il danno il fatto che le prime e più violente scosse si produssero, senza alcun fenomeno sismico precursore, alle ore 5.20 della mattina, quando la quasi totalità della popolazione dormiva o si trovava dentro le case, e che alle rovine degli scuotimenti si aggiunsero quelle del maremoto, estesosi da Punta Pezzo a Capo dell’Armi in Calabria, e dal Faro a Catania sulla costa siciliana. L’epicentro del sisma fu molto esteso, mentre il maremoto determinò due (o, secondo altri, tre) periodi di oscillazione del livello marino, nello spazio di 15-30′, con ondate che raggiunsero l’altezza di 2,70 m nella Penisola di S. Ranieri, 7,60 a Briga, 8 a Scaletta, 9,50 a Giardini, e sulla costa calabra fino a 10 di fronte a Lazzaro, dove il villaggio fu del tutto sommerso. Al momento del terremoto Messina aveva circa 120.000 abitanti. Le vittime del sisma furono tra 60.000 e 80.000. Crollò immediatamente, o fu demolito perché ritenuto irrecuperabile, il 90% degli edifici, compresa l’antica palazzata. Dell’antica capitale del regno di Sicilia non sopravvisse quasi nulla. La classe dirigente e l’economia nazionale dovettero far fronte a una catastrofe senza precedenti, superiore anche al terremoto di Lisbona del 1755. I danni nell’intera area dello stretto furono stimati a una cifra equivalente a 2,2 miliardi di euro attuali. Nei mesi immediatamente successivi al sisma autorità militari e civili dovettero dare soccorso e ricovero a una massa di circa 100.000 profughi che, dall’area dello stretto, si riversò nelle maggiori città siciliane, a Napoli e, in misura minore, in altre città della penisola. L’eco degli eventi fu enorme a livello sia nazionale sia internazionale. Per la prima volta si attivò una rete di solidarietà privata nazionale e internazionale che affiancò il governo nell’opera di soccorso immediato e a medio termine. Villaggi di baracche sorsero per opera non solo dello Stato, ma di comitati soprattutto del Nord Italia che agirono direttamente e che lasciarono il loro nome nell’urbanistica della città: il villaggio svizzero e quello Regina Elena a nord, i grandi quartieri «americano» e «lombardo» a sud. A maggio del 1909 il problema del ricovero in baracca poteva dirsi risolto: risultavano costruite nell’area dello stretto ca. 33.000 baracche, 17.000 delle quali a Messina. Ben più lunga fu l’opera di ricostruzione, anche a causa della Prima guerra mondiale. A Messina si concluse definitivamente nel 1932, quando, oltre a tutti gli edifici pubblici e i servizi pubblici essenziali, risultavano costruiti 11.600 appartamenti da privati e 7975 dallo Stato. La storia della città era nel frattempo cambiata radicalmente. L’economia messinese, che prima del terremoto gravitava tutta sul porto e sull’attività marittima, si basava ora prevalentemente sugli affari, le intermediazioni e le speculazioni legate alla ricostruzione e all’intervento della mano pubblica.