TERREMOTO (XXXIII, p. 639)
I materiali costituenti la crosta terrestre si comportano come viscosi (in senso lato) se sottoposti all'azione di forze lungamente applicate, come elastici se le forze agiscono bruscamente e per breve periodo di tempo. La prima qualità è manifesta nelle rocce sedimentarie, formatesi un tempo sul fondo dei mari e sottoposte successivamente alla lenta azione di corrugamento della crosta terrestre (bradisismi), rivelata anche dai livellamenti di precisione; la seconda è testimoniata dalla propagazione delle onde sismiche, determinate dalle brusche rotture d'equilibrio (terremoti).
Fra le più importanti conquiste sulla via di una sempre più ampia conoscenza dell'intima genesi dei terremoti è certamente quella che consente di risalire alla maniera di scatenarsi delle forze a cui si deve uno scuotimento sismico. La semplice osservazione dei movimenti iniziali determinati da una scossa in un certo numero di osservatorî, opportunamente distribuiti intorno all'epicentro, consente oggi di poter dedurre la natura fisica della causa, a cui la scossa stessa è dovuta.
Spetta al giapponese T. Shida il merito di avere, per primo, messo in evidenza alcune caratteristiche del movimento iniziale di un terremoto. Egli osservò (studiando un terremoto avvenuto al Giappone il 18 maggio 1917) che il primo movimento (onde longitudinali dirette) si verifica, per certe stazioni, nella direzione stazione-ipocentro (dilatazione), per altre, nella direzione opposta (compressione). Per il terremoto esaminato, inoltre, questi movimenti di dilatazione e compressione si suddividono in modo da distribuirsi, in superficie, nei quattro quadrati determinati da due rette perpendicolari, incrociantisi nell'epicentro, e in maniera che nelle due coppie di quadranti opposti si verificano movimenti del suolo dello stesso segno, compressioni o dilatazioni (fig. 1). Lo stesso Shida, studiando un piccolo terremoto avvenuto in Giappone il 26 novembre 1916, trovò che il movimento iniziale delle onde longitudinali in un raggio di circa 300 km. intorno l'epicentro, era unidirezionale per tutti gli azimut, presentandosi dovunque sotto forma di dilatazione. Shida attribuì il primo terremoto a frattura di strati; il secondo a sprofondamento. Il problema fu affrontato teoricamente, per la prima volta, da M. Hasegawa. Egli indicò come causa della suddivisione trovata da Shida l'azione di una coppia orizzontale di forze tangenziali, agenti all'ipocentro; in altri termini, i terremoti di frattura sarebbero dovuti all'azione di coppie di forze tangenziali agenti all'ipocentro, ipotesi questa che trova la sua giustificazione nella teoria dell'elasticità. Come nella teoria degli sforzi, ad una tensione che agisce secondo un determinato asse corrisponde sempre una tensione complementare, secondo l'asse a 90°, di entità uguale alla prima, così alla coppia che diremo principale cui si deve la frattura di strati, corrisponde sempre una coppia complementare detta secondaria, che agisce in direzione normale alla prima (fig. 2).
H. Gräfe, seguendo una via più agevole di quella indicata da Hasegawa, generalizzò il problema risolvendolo per via elementare, nei suoi varî aspetti. Sono detti piani nodali i piani che limitano nello spazio i quadranti delle dilatazioni da quelli delle compressioni. Essi risultano normali al piano della coppia di forze, uno nella direzione delle forze tangenziali, l'altro normalmente ad esse. I piani nodali tagliano la superficie della Terra lungo due linee, dette linee nodali (v. fig. 3), il punto d'incontro delle quali costituisce il polo (P). Esso manifestamente si trova sulla normale al piano della coppia di forze. Nel caso di coppie di forze giacenti in un piano orizzontale, il polo P coincide con l'epicentro E, e le linee nodali si tagliano normalmente nell'epicentro stesso. Gräfe studiò gli schemi che si presentano alla superficie della Terra, quando le forze tangenziali si mostrauo comunque inclinate rispetto alla superficie stessa. Si può subito osservare che generalmente né il polo coinciderà con l'epicentro, né le linee nodali si taglieranno ortogonalmente, ma secondo angoli la cui ampiezza dipenderà dalla giacitura della coppia di forze. Quello considerato da Shida rientra quindi come caso particolare nella teoria di Gräfe (fig. 4: a, o, c, d, e, .f).
Esempî di terremoti a frattura si osservano in Europa abbastanza frequentemente, specie nella zona alpina. Basterà citare i terremoti del Tirolo dell'8 ottobre 1930 (studiato prima da Hiller, poi da Gräfe), di Rastatt dell'8 febbraio 1933 (studiato da Hiller), delle Prealpi Carniche dell'8 giugno 1934 (studiato da P. Caloi), che mostrò una suddivisione superficiale delle onde Pg del tutto analoga a quella osservata da T. Shida. Particolarmente interessante dal punto di vista dello spostamento iniziale provocato in superficie, fu lo studio del terremoto del Cansiglio del 18 ottobre 1936, eseguito dal Caloi. La suddivisione dei movimenti provocata in superficie rispecchia il caso più generale di un terremoto dovuto a frattura; quello cioè provocato da una frattura generata da una coppia di forze inclinate, con braccio pure inclinato (fig. 6).
A differenza della zona alpina, dove quasi tutti i terremoti studiati risultarono dovuti a fratture, nell'alto Adriatico essi sembrano determinati da sprofondamento. Un chiaro esempio in questo senso ha dato il terremoto del 30 novembre 1934 (fig. 5). L'Appennino tosco-romagnolo presenta il fenomeno contrario: i terremoti di Marradi dell'11 febbraio 1939 (studiato da Caloi) e della Garfagnana del 15 ottobre 1939 (studiato da E. Rosini) hanno mostrato una suddivisione superficiale dei movimenti tipica dei sollevamenti di strati: compressioni entro una zona intorno all'epicentro, dilatazioni al difuori della zona stessa (fig. 8).
In Giappone sono stati osservati esempî di un diverso schema di distribuzione superficiale del moto iniziale, in cui le zone contrassegnate da onde di compressione o di dilatazione sono limitate da curve del secondo ordine: cerchi, ellissi, parabole o iperboli. I sismologhi giapponesi attribuiscono questi schemi ad un nuovo meccanismo di produzione detto a cono, che riguarderebbe quasi esclusivamente i terremoti a profondità anormale, dove il tipo a quadranti sarebbe molto meno frequente (fig. 7). I fondamenti matematici del problema furono posti da K. Sezawa e sviluppati da altri sismologhi giapponesi, in particolare da H. Kawasumi. M. Ishimoto attribuisce la forza quadrupla (agente secondo coni rovesciati l'uno sul prolungamento dell'altro) cui si deve il tipo a cono, all'azione di violente intrusioni magmatiche, provenienti da riserve particolarmente estese nelle regioni vulcaniche.
Bibl.: M. Hasegawa, Die erste Bewegung bei einem Erdbeben, in Gerlands Beitr. z. Geophys., 1930; H. Gräfe, Über die Deformation der Erdoberfläche durch Scherungskräfte im Herd von Erdbeben, in zeitschr. f. Geophys., 1934; id., Das nordtiroler Beben vom 8. Oktober 1930, ibid., 1932 e 1933; P. Caloi, Ricerche sui terremoti ad origine vicina, in La Ric. Scientif., 1938; id., Caratteristiche sismiche dell'Appennino tosco-romagnolo, ibid., 1940; E. Rosini, Il terremoto della Garfagnana del 15 ottobre 1939, ibid., 1940; H. Kawasumi, Study on the propagation of seismic waves, in Bull. Earth. Res. Inst., Tōkȳo, X, 1932 e XII, 1934; M. shimoto, Existence d'une source quadruple au foyer sismique d'après l'étude de la distribution des mouvements initiaux des sécousses sismiques, ibid., ivi 1932.