TERRITORIO
. Significati generali della politica del territorio. - "Territorio" significa una divisione della terra - convenzionalmente politico-amministrativa - in cui si svolgono o possono essere svolte attività umane. "Politica del territorio" è espressione relativamente recente, che ha un significato più vasto e complesso dell'espressione "assetto territoriale". Fondamentalmente legata alla riflessione teorica sullo spazio geografico ed economico, essa comprende i concetti di geografia politica e programmazione economica regionale, nonché il concetto di pianificazione territoriale. Quest'ultimo a sua volta coinvolge in forme corrette o appropriate elementi di assetto territoriale che hanno, altrimenti, carattere sporadico e frammentario: per es., la pianificazione urbanistica, quantunque ad essa sia solitamente attribuito un ruolo preponderante, e la pianificazione rurale e paesaggistica, che al confronto ha un ruolo limitato, in genere residuale e precario.
Sono peraltro evidenti le interferenze concettuali e pratiche, sia con la politica ambientale, concernente in modo unitario i beni culturali territoriali, naturali e storici, che costituiscono requisiti di vita della popolazione e qualificano lo spazio umanizzato, sia con alcune politiche settoriali, che influiscono - nel loro insieme - sulla rete degl'insediamenti produttivi e residenziali e delle relazioni: in specie, con le politiche della sistemazione dei bacini idrografici e della difesa del suolo, delle colture forestali e agricole, delle localizzazioni industriali, delle abitazioni e delle attrezzature civili, dei trasporti e delle comunicazioni.
La parola italiana "territorio" ha chiare corrispondenze nelle altre lingue europee, tenendo tuttavia presente che con terroir s'indica in francese il t. da cui trae sostentamento e sostegno la vita della popolazione, un ambito reale e conosciuto, comunque meno astratto del corrispondente termine inglese. Le espressioni "assetto territoriale" e "pianificazione territoriale" hanno riscontri più diretti in francese: aménagément du territoire (che ha un senso evidentemente dinamico, propendente dalla pianificazione verso la gestione) e planification du territoire; meno diretti e più articolati in tedesco e in inglese: Raumplanung (con riferimento allo spazio) e Landes-planung (con riferimento alla terra); Town and Country planning, Territorial-planning e Land-planning, Phisycal-planning, Regional-planning in senso lato. I termini "urbanistica" in italiano e urbanisme in francese hanno - rispetto alle altre lingue europee - un significato assorbente, che spesso sottintende rapporti di subordinazione del contado, della campagna e dell'ambiente rurale e - nella nostra lingua - si è tradotto nell'espressione ambigua "urbanistica rurale".
Premesse concettuali e riferimenti storici. - Alle origini, la politica del t. si è manifestata principalmente negl'insediamenti, che avvenivano a volte in zone adatte alle colture agricole e all'organizzazione dei traffici commerciali, terresti o marittimi, a volte in zone più isolate o impervie, meno esposte alle penetrazioni per le vie terrestri interne e alle invasioni dal mare. Essa ha assunto quindi la veste d'invenzione giuridica, costituendo un'istanza del diritto internazionale, come affermazione della "sovranità nazionale" entro frontières naturelles e, comunque, confini certi, per ragioni di sicurezza dall'esterno e di coesione all'interno.
Come ha rilevato J. Gottmann in un saggio su Il territorio: un concetto in evoluzione (presentato all'Istituto di studi politici di Parigi nel 1975), dalla teoria politica il termine t. è stato impiegato nelle lingue europee già nel 1300, come area di giurisdizione e d'influenza economica di varie comunità, quali le città libere, i feudi e i regni; il concetto di t. - di un "legame ideale tra spazio e politica " - ha avuto poi una continua evoluzione, sorretta dall'interesse economico e dal progresso tecnico, che ha permesso di ampliare e diversificare le possibilità di accesso e di utilizzazione delle risorse, facendo diminuire l'importanza delle situazioni geografiche e topografiche di ordine militare. Mentre la divisione, il restringimento o l'espansione avevano modificato frequentemente le forme territoriali, i nuovi mezzi conducono ora ad allargare la giurisdizione sul mare (circa due terzi della superficie globale) e sui fondali marini, ad approfondirla nel sottosuolo e a proiettarla nello spazio aereo, senza pregiudicare la circolazione nella stratosfera.
Nell'epoca contemporanea, l'interessamento per la politica del t. dipende sostanzialmente: dall'andamento naturale, dal movimento migratorio e dai diversi gradi di densità della popolazione, soprattutto dai processi di urbanizzazione, che in molti paesi determinano l'abbandono di centri storici e di insediamenti isolati e sparsi, di residenze antiche e colture tradizionali nei t. più interni e meno produttivi; dalle economie e diseconomie delle attività produttive, soprattutto dai processi d'industrializzazione; dall'elevata e disordinata utilizzazione, dal progressivo depauperamento quantitativo e qualitativo e dalla distribuzione di risorse non ricostituibili naturalmente, né riproducibili economicamente.
Sotto tutti i profili, la politica del t. dipende dalla maturazione della coscienza sociale, poiché l'individuo - mentre nella dimensione soltanto temporale effettua normalmente le proprie scelte di fronte a sé stesso, in termini, per es., di consumo e risparmio - nella dimensione spaziale valuta in modo immediato la propria collocazione nel sistema sociale. Il profondo e indissolubile legame tra le categorie del tempo e dello spazio è rintracciabile in alcune parole particolarmente significative (per es., dimensione, intervallo, stasi, mo(vi)-mento), come pure nei termini di modelli e strategie pertinenti alla politica in esame (per es., scenario, traiettoria, percorso, sentiero, funzione spazio-temporale).
In conclusione, per politica del t. si può intendere l'impegno cosciente di una collettività, in un certo stadio storico, per la conservazione e la valorizzazione di risorse e, in senso lato, l'organizzazione di attività tra loro più o meno differenziate e connesse, che comportano istanze e conflitti sociali e hanno comunque il t. come presupposto e risultato essenziale.
Aspetti geografici e urbanistici, economici e sociali. - La politica del t. ha carattere per eccellenza interdisciplinare, che tuttavia non è consolidato, date anche le sue ragioni recenti; negli Stati Uniti essa assume piuttosto l'aspetto eclettico della Regional Science. Come in altri campi scientifici e pratici, i caratteri interdisciplinari non impediscono l'adozione di ipotesi prevalenti e univoche, che delineino ex ante i risultati conseguibili e le verifiche necessarie.
Quanto alle discipline geografiche, la politica del t. comporta il definitivo superamento delle impostazioni (di F. Ratzel, alla fine dell'Ottocento), che avevano supposto rapporti meccanicamente deterministici tra situazioni fisiche e fatti umani; l'acquisizione invece, attraverso la verifica critica dei contributi della scuola francese del "possibilismo geografico" regionale (di P. Vidal de la Blache, tra la fine dell'Ottocento e il nuovo secolo), di una prospettiva chiaramente storica (delineata da P. Claval, ai giorni nostri). Attualmente, la geografia si presenta come scienza della differenziazione spaziale, mirante a "descrivere e interpretare il carattere mutevole, da luogo a luogo, della terra concepita come il mondo dell'uomo", ovvero delle combinazioni nello spazio di vari fenomeni fisici e umani, come ha chiarito R. Hartshorne, trattando di Metodi e prospettive della geografia. In particolare la geografia politica, denominata anche volontaria o antropica, studia le modificazioni apportate e apportabili dalle azioni umane in un ambiente dato, di cui la geografia della popolazione, delle sedi e della circolazione e quella economico-industriale e agraria forniscono distinte interpretazioni, a seconda delle categorie analitiche adottate e dei fenomeni sostanziali considerati. Secondo le discipline geografiche, la regione costituisce una porzione della terra di una certa estensione, un organismo compreso in tutto o in parte nei confini di uno stato, un ambito interrelato, nel quale l'istanza organizzativa si esplica - in molti casi - in forme di autonomia politica e autogoverno o di amministrazione decentrata. "La regione, così intesa, è la manifestazione tipica dell'organizzazione umana dello spazio", sebbene abbia varie classificazioni, i cui significati sono stati esposti in un'importante indagine condotta da B. Nice sul tema dei rapporti tra Geografia e pianificazione territoriale (per conto del Consiglio Nazionale delle Ricerche, agl'inizi degli anni Cinquanta): per es., regione naturale e integrale, riferita cioè anche agli avvenimenti umani, storica e amministrativa, formale e funzionale, elementare e complessa, in specie polarizzata. Particolarmente rilevante per la politica del t., nel pensiero dei geografi e anche degli urbanisti, è l'evoluzione dal concetto descrittivo di regione gravitante su un centro urbano o avente varie funzioni di dominanza interna ed esterna, denominata pure metropolitana, a quello normativo di "città-regione". Muovendo dalla nota opera di R. E. Dickinson, City, Region and Regionalism (pubblicata in Gran Bretagna, alla fine degli anni Quaranta), si è configurato uno spazio sufficientemente esteso, in cui si realizzi un'efficiente integrazione urbanistica e a un tempo sociale, che ampli e qualifichi la possibilità e, dunque, la libertà delle scelte della popolazione, dando ordine e diffusione all'"effetto urbano", cioè alle qualità positive della vita civile; più precisamente, uno spazio formato da una varietà di situazioni e da una pluralità di insediamenti, i quali - pur avendo dimensioni e funzioni residenziali e produttive diverse - diano luogo a condizioni ambientali e a livelli di reddito per abitante relativamente simili, nonché a un sistema organico di relazioni economiche e culturali. Analogamente, nelle opere di P. George, F. Compagna e altri studiosi, è stato delineato il passaggio da una geografia della città a una geografia e a una politica delle città; in questo senso, il processo di urbanizzazione e la prospettiva di un "sistema di città" e di un "governo urbano", avente requisiti sia di efficienza che di partecipazione dei cittadini, appaiono un momento destinato ad acquistare un significato sempre più comprensivo e penetrante i principi e le modalità di assetto territoriale e di organizzazione degli enti locali. Tale prospettiva accentua, tuttavia, l'esigenza di un controllo e di una correzione delle forme e dei processi capitalistici di utilizzazione delle risorse e di spreco nello spazio, che si manifestano particolarmente nel mercato e nell'edificazione diffusa di terreni di valore urbano, oppure nell'appropriazione individuale di beni territoriali, rispetto ad altre destinazioni, integralmente conservative o più conformi all'ambiente naturale e all'interesse collettivo.
Quanto alle discipline economiche, l'urgenza e la gravità dei problemi hanno fatto sì che, spesso, le preoccupazioni pratiche sopravvanzassero il consolidamento delle riflessioni teoriche. Alle radici di tale ritardo storico sono le difficoltà incontrate dalla dottrina classica e neoclassica nei tentativi di definire il concetto di spazio. Questi comportavano infatti l'abbandono del postulato del mercato perfettamente concorrenziale e della perfetta mobilità dei fattori produttivi, quindi del raggiungimento - teoricamente certo - di situazioni equilibrate. La manifestazione e l'aggravamento delle tensioni e delle diseguaglianze a varie scale, nella realtà economico-sociale, hanno mostrato la matrice ideologica di tale separazione delle categorie del tempo e dello spazio, che aveva privilegiato l'una riducendo l'altra a una tendenza spontanea - ma indefinita - verso un equilibrio generale, ritenuto momento endogeno del sistema economico. La locuzione "utilizzazione capitalistica del territorio", ormai invalsa, seppure vaga, denuncia lo sfruttamento intensivo e indiscriminato delle risorse, a fini di massimo profitto privato e con procedimenti spesso speculativi, consentiti dai regimi di proprietà dei terreni e/o dall'inefficacia dei piani regolatori e di altri strumenti pubblici.
Invero, una considerazione diretta della "frizione dello spazio" nelle attività economiche non fu assente nel pensiero classico di A. Smith e D. Ricardo, che elaborarono i teoremi della rendita dovuta alla diversa fertilità o alla diversa posizione dei terreni, configurando forme d'imperfetta concorrenza e alterando così la concezione di uno spazio continuo e uniforme; né in quello di A. Marshall, che mise in luce le "economie esterne" delle imprese, dipendenti dalle scelte ubicative. Essa è altresì presente nei teoremi della specializzazione regionale della produzione - in base alla diversa dislocazione dei fattori produttivi - e della suddivisione dei mercati, propri dell'economia internazionale. Un'attenzione approfondita agli aspetti spaziali delle attività economiche si ritrova tuttavia nella teoria della localizzazione delle imprese, formulata dalla cosiddetta scuola storica tedesca, le cui origini risalgono alla prima metà dell'Ottocento. Mentre J. H. von Thünen aveva studiato semplici rapporti tra un centro urbano di consumo e fasce concentriche di produzione agricola, A. Weber - nel pieno svolgimento dell'età industriale - studia le preferenze ubicative nel mondo manifatturiero; pertanto, assume come fattori primari le differenze dei prezzi di acquisto delle materie prime (che si risolvono in quelle dei costi di trasporto) e dei costi della manodopera, come fattori secondari i vantaggi o gli svantaggi dell'agglomerazione o della deglomerazione, varianti a seconda delle caratteristiche dimensionali e tecnologiche della produzione.
Riguardo all'economia applicata alla politica territoriale, molto interessanti appaiono peraltro gli studi condotti dalla scuola francese sulla "regione economica", che hanno avuto una rilevante influenza anche in Italia. Essi si distinguono per i concreti riferimenti alla realtà territoriale e le finalità pratiche; l'indagine si sposta dalle convenienze ubicative del singolo imprenditore o di una pluralità di imprese al benessere dell'insieme della popolazione insediata in un determinato t., congiungendosi agli studi sull'articolazione e sulle interrelazioni dello sviluppo economico, nazionale e internazionale. In particolare, F. Perroux e J. Boudeville forniscono un'originale definizione della regione economica, muovendo dalla distinzione dello spazio come "insieme omogeneo", "campo di forze" o "contenuto di un programma". La regione omogenea risulta definita in base a una dispersione minima delle singole unità elementari rispetto alla media dell'insieme: ciascuna parte ha elementi comuni e le differenze relative sono le più deboli possibili. La regione nodale è costruita come campo di scambi di beni e di servizi: l'intensità interna delle relazioni è più forte in ogni punto rispetto a quella esterna. Inoltre, la regione si pone come unità dipendente dalle stesse decisioni, o ambito predisposto alla realizzazione di obiettivi, oppure spazio aperto e, dunque, luogo di coordinamento dei movimenti di mercato e degli atti di governo.
Attraverso i contributi di A. Lösch e W. Isard vertenti rispettivamente sulle aree di mercato e sulle interdipendenze tecnico-produttive (input-output), la scuola tedesca si congiunge infine a quella statunitense, che ne approfondisce ed elabora i principali temi. Per talune implicazioni, l'opportunità di una modificazione dei criteri di analisi dell'economia spaziale è riferita ora agl'intensi ritmi e ai vaghi aspetti della crescita urbana e metropolitana. Negli Stati Uniti, ove la fenomenologia e la riflessione teorica in materia sono assai avanzate, si oltrepassano infatti i confini concettuali del central place e del conseguente ordinamento gerarchico dei centri urbani (secondo il modello delle località centrali formulato e applicato inizialmente in Germania, da W. Christaller, negli anni Trenta); neppure sembra sufficiente l'analisi delle forme urbane e metropolitane dipendenti dalla varia consistenza e influenza esterna dell'economic base locale. In ultima analisi, si valutano criticamente la concezione eccessivamente astratta dello spazio e la pura ipotesi di uno spazio omogeneo, nel cui ambito si ordinano e si complicano funzioni e relazioni; piuttosto, con R. L. Meier e altri autori, s'interpreta l'evoluzione urbana quale espressione della teoria delle informazioni, priva di presupposti e di riferimenti precisamente identificabili nei luoghi territoriali.
Di fatto, i progressi tecnici, oltre ad ampliare l'accessibilità - e anche l'utilizzazione e il depauperamento delle risorse - e ad accelerare, accrescere e variare gli spostamenti, favoriscono sempre più le comunicazioni tra posti lontani; centro e periferia non rappresentano ormai rapporti geografici, misurati dalla distanza, quanto diverse situazioni e potenzialità economiche e decisionali. Tuttavia, lo sviluppo industriale, che si manifesta specialmente nelle imprese multinazionali, confonde gli aspetti territoriali della sovranità nazionale, mentre interferisce con i contenuti propriamente politici: nella maggior parte dei casi, i centri decisionali e amministrativi e le sedi della ricerca applicata non coincidono con le unità produttive, gli ambiti geografici di accumulazione e reperimento dei capitali non corrispondono ai bacini di offerta della mano d'opera, né alle aree commerciali. Più in genere, l'"impresa" è sempre meno riducibile a un "impianto", consistente nei fattori originari e locali della produzione, cioè nelle immobilizzazioni tecniche e nel lavoro, ma richiede un'attività complessa e continua di gestione.
Le stesse dislocazioni centrali o periferiche si sono dimostrate mutevoli nel tempo. Per es., i progressi tecnici avevano reso possibile e conveniente l'estrazione e il trasporto - in grandi quantitativi - di nuovi mezzi energetici, quali il petrolio e il gas naturale, i cui giacimenti si trovano ai margini dell'Europa, rispetto alla produzione di carbone e di energia idroelettrica nelle regioni continentali, che avevano dato avvio e impulso alla rivoluzione industriale, provocando pure trasferimenti e localizzazioni di grandi impianti verso il mare. Nei limiti dei costi e dei vantaggi comparati, il ricorso sperimentale al calore del sole e della terra, alla forza del mare e del vento o ad altri mezzi, tra i quali la trasformazione dei rifiuti urbani, consente di prospettare nel futuro una distribuzione territoriale delle fonti di energia più varia e meno lesiva della natura, mentre la qualità ubiqua delle centrali nucleari appare condizionata dal rigoroso rispetto di parametri ambientali (non ancora sufficientemente accertati) e dall'applicazione di tecnologie ulteriormente avanzate.
Pur nei diversi aspetti, si vanno continuamente attenuando i margini reali della tradizionale distinzione tra beni economici e altri beni, fisicamente disponibili.
Implicazioni ambientali. - Nonostante l'irruenza degl'interessi economici, sopra rilevata, una concezione esplicita dell'ambiente - come insieme di condizioni e requisiti naturali e storici della vita e del lavoro umano - ha tardato ad affermarsi.
In una conferenza sulla "crisi degli anni Settanta" tenuta in Italia, J. Robinson, alla quale tanto deve il pensiero economico contemporaneo, ha ricordato che ormai, trascorsi gli "anni del compiacimento", ci si accorge come la ricerca della convenienza privata fine a sé stessa produca "veleno collettivo". Gl'indici quantitativi del prodotto nazionale lordo e del reddito pro capite sono sempre meno significativi della qualità sostanziale della vita; i costi monetari dell'impresa rappresentano sempre meno quelli reali della società.
Le ragioni dell'impegno pubblico nel campo delle risorse ambientali non sono semplicemente individuabili nei significati peculiari dei beni economici scarsi e pertinenti alla collettività, ma vanno individuate piuttosto nell'insieme dei fenomeni che si racchiudono nell'espressione "fallimento del mercato", pur restando questo valido come indicatore di successo delle iniziative produttive. In un regime apparente di libera concorrenza, molte attività che depauperano o alterano i beni naturali e storici del t. non incidono infatti sui costi interni dell'imprenditore, traducibili nella normale formazione dei prezzi di mercato, bensì determinano diseconomie esterne, addossate agli altri imprenditori e alla popolazione, non misurate dal sistema dei prezzi relativi.
Fin dalla dottrina classica, la scienza economica ha ricercato l'equilibrio generale, ma si è preoccupata anche di valutare le distorsioni della concorrenza e le influenze del progresso tecnico sui rapporti tra i fattori primi della produzione (la terra e il lavoro) e l'accumulazione di capitali. Sebbene la tecnologia abbia palesato continue possibilità di sostituire e integrare le fonti di energia, di reperire ed elaborare le materie prime, si avverte il rischio che l'impoverimento esponenziale di talune risorse limiti perfino l'espansione produttiva, qualora non si provveda tempestivamente a un'utilizzazione e a una ricostituzione adeguate.
La politica ambientale mira appunto a preservare, mantenere e ricostituire gli equilibri del mondo fisico e umano, soggetti alle alterazioni e alle distorsioni della produzione e del mercato. Poiché il t. è l'insieme inscindibile delle presistenze naturali e degli eventi storici, si può concludere che essa sia la versione acuita della politica territoriale, che ne manifesta l'intrinseca qualità e validità sociale.
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