teschio
Due occorrenze nell'Inferno, all'inizio e alla fine dell'episodio di Ugolino: non altrimenti Tidëo si rose / le tempie a Menalippo... / che quei faceva il teschio e l'altre cose (XXXII 132), e riprese 'l teschio misero co' denti (XXXIII 77). Il termine definisce evidentemente la parte ossea del cranio, in contrapposizione con l'altre cose, che sono il cervello, la carne e i capelli (con i quali egli ‛ forbisce ' la bocca, XXXIII 2).
Analogamente, alla fine del suo discorso, Ugolino si volge di nuovo, direttamente, al teschio, contro cui si sentono subito lavorare i denti, che furo a l'osso, come d'un can, forti (v. 78).
Mentre nel primo caso il t. è visto come cosa, oggetto inanimato, simbolo pietrificato della fame di vendetta del conte, nel secondo l'aggiunta dell'aggettivo misero rivela che " la ferocia con la quale Ugolino riaddenta il cranio, desta in Dante un attimo di compassione per quel teschio passivo, ma non insensibile a così atroce tormento " (Chimenz); " in tutto quest'episodio l'arcivescovo Ruggeri non è che un teschio: eppure quel teschio è vivo non meno di qualunque altro personaggio del poema... Forse nessuno ha badato al silenzio di questo teschio che... non perde mai la sua capacità di soffrire e di tacere " (Momigliano). Per il riferimento a Stazio, cfr. Theb. VIII 732 ss.