TESEO (Θησεύς)
È insieme con Eracle l'eroe più glorioso e più popolare del mondo ellenico. Tale popolarità peraltro è un fatto relativamente recente e dovuto in massima parte al sempre più deciso predominio intellettuale e artistico dell'Attica, di cui T. viene a figurare come l'eroe più tipico e rappresentativo. Nove decimi delle figurazioni relative a T. appaiono in ambiente attico, e specialmente nella ceramografia attica. Ed è indubbiamente per effetto di queste premesse nazionalistiche che la figura di T. si arricchisce e si modella su quella di Eracle, specialmente nei suoi aspetti di distruttore di mostri e di briganti.
L'origine di T. d'altra parte non è puramente attica: autorevoli studiosi (come H. Herter) lo considerano rappresentante delle stirpi ioniche, mentre la tradizione della sua infanzia e prima giovinezza a Trezene lascia intravedere altre componenti nel mito. Più univoca, nonostante le apparenze, la genealogia dell'eroe, in quanto che il dinasta Egeo, come indica chiaramente il nome marino, non è che una ipostasi di Posidone, che è comunemente considerato il vero padre dell'eroe.
Ugualmente le più antiche figurazioni di T. non s'incontrano in Attica. Un vaso di Arkades (fig. 130) della metà del VII sec. a. C. ci offre la più antica immagine dell'eroe con Arianna nello schema consueto di una ierogamia o di un incontro di una coppia divina. E di questa figurazione è stata riconosciuta una dipendenza in un pinax tarantino, quest'ultimo databile sull'estremo scorcio del VII sec. a. C. in cui è introdotto il motivo del gomitolo nella mano di Arianna. Praticamente contemporaneo al vaso di Arkades è invece una laminetta d'oro argiva o corinzia, in cui il tema del Minotauro viene introdotto in forme vigorosamente riassunte e incisive. T. è al centro tra il mostro ch'egli trafigge con la spada e Arianna che gli presenta il simbolico premio, una corona: tre figure stanti e affiancate in cui il motivo della lotta sembra svilupparsi da quello della ierogamia, con la stessa staticità e lo stesso supremo bisogno di sintesi.
È del resto sempre l'avventura cretese, quella che conduce l'eroe in un mondo lontano e che senza dubbio simbolizza e riassume il contatto del paese attico con un'altra civiltà, che appare per prima nell'arte figurata. Dopo la lamina d'oro di Berlino di cui sopra, il chòros di giovani e fanciulle che appare su un pìthos a rilievo di Tinos, della seconda metà del VII sec. a. C., viene a costituire il necessario antecedente a una famosa scena del cratere di Kleitias (v.) in cui T. e i giovinetti destinati al Minotauro sbarcano dalla lunga nave in una gioiosa danza di ringraziamento, forse a Delo. La stessa intonazione di solenne, quasi rituale festività sembra evocata con il minimo di mezzi possibile nell'Arca di Kypselos. Pausania infatti (v, 19, i) descrive T. con una lyra e Arianna con una corona nelle mani. Questo particolare significato della lyra a glorificare l'azione compiuta si ritrova in un monumento della metà del VI sec. a. C., la nota coppa di Glaukythes a Monaco, in cui tra l'eroe che abbatte il Minotauro e la schiera di giovanetti, è introdotta una figura di Atena con la lyra nella mano abbassata, come per conseguarla a T. dopo la conclusione sicuramente vittoriosa del combattimento.
Un altro motivo che rivela T. inserito in pieno, nel mondo dell'epica, il ratto di Elena, appare in un notissimo arỳballos protocorinzio del Louvre (CA 617) in cui il ratto e la liberazione dell'eroina vengono riassunti in termini stranamente semplificati e come simbolici. Elena è una sorta di idolo colossale e immobile, le braccia levate alla maniera di una dea madre e come sospesa tra i due minuscoli attaccanti armati e i due difensori a cavallo, ovviamente i Dioscuri. La storia del ratto di Elena presuppone il patto di fedele amicizia con Piritoo e di conseguenza l'inserzione di T. in altre imprese comuni con questo eroe. T. impegnato nella lotta con i Centauri appare nel cratere di Kleitias accanto al suo fraterno amico, per quanto non si tratti in apparenza delle celebrazioni nuziali di quest'ultimo: mancano infatti le donne, e i Centauri sono armati di rami d'albero invece che degli arnesi del banchetto.
Il tema della discesa nell'Ade, presumibile soggetto di un èpos perduto, è documentato in una tra le più antiche e singolari tra le lamine bronzee di Olimpia: i due eroi sono rappresentati seduti, immobilizzati sugli inesorabili troni, mentre salutano con ingenuo entusiasmo la liberazione che si approssima per opera di Eracle (E. Kunze, Archaische Schildänder, 1950, tav. 7 c).
La più famosa e la più ripetuta tra le avventure di T. resta peraltro sempre la lotta con il Minotauro. Questo tema s'incontra in ogni ambiente artistico e in ogni momento, in Grecia e nel mondo ellenistico romano, e sempre in forme singolarmente costanti. Uno degli esempî più antichi s'incontra in uno skỳphos a figure nere forse beotico e databile nei primi decennî del VI sec. a. C. La stessa figurazione s'incontra nella ceramica corinzia (coppa di Bruxelles A 1374 e anfora del Louvre E 651), nelle lamine di bronzo argivo-corinzie, in una raffinata placca fittile di Gordion, nella ceramica calcidese ed etrusca, e in una serie infinita di vasi attici a figure nere e rosse, a partire dagli inizî del VI sec. alla metà del IV sec. a. C. A dare un'idea dell'estrema popolarità del soggetto basterà ricordare come, accanto a numerose edizioni di carattere quasi monumentale e talora di grande impegno- si ricordino tra l'altro le anfore del gruppo E e le coppe di Lydos- la scena s'incontra rapidamente riassunta nel fregio minore sulla spalla di tante hydriai a figure nere, come i più popolari motivi del repertorio, alla pari con la storia di Eracle e il leone di Nemea.
All'avvenimento viene conferito spesso un carattere spettacolare e quasi di cerimonia, a volte alla presenza dei giovinetti e delle fanciulle ateniesi, a volte dinanzi a Minosse e ad Arianna. Il Minotauro volto in fuga o abbattuto in ginocchio, è in generale trafitto dalla spada dell'eroe. Il motivo della lotta corpo a corpo è eccezionale in età arcaica, mentre più tardi viene a predominare, in conformità di quegli ideali atletici di cui T. è considerato il più perfetto esponente. Tra i più singolari e più antichi esempî dello schema di lotta è da ricordare il curioso simplegma che presenta i due avversari affiancati e come abbracciati in una hydrìa calcidese Louvre E 805. Come è stato detto, T. appare di regola in aspetto estremamente giovanile già intorno alla metà del VI sec. a. C.: in un momento artistico pertanto in cui anche eroi come Achille, e divinità fiorenti di giovinezza come Apollo ed Hermes, venivano comunemente figurati con la barba. Di conseguenza si ha l'impressione che la giovinezza sia un carattere primario per T., anche quando sembri essenziale distinguere tra la tenera adolescenza dei giovinetti ateniesi inviati come tributo al Minotauro e la maggiore statura e autorità del giovane principe. Se per Eracle è di regola la nudità eroica, T. appare generalmente vestito di corto chitone, spesso fissato da una pelle trasversa di fiera, come gli eroi della caccia calidonia a partire dal cratere di Kleitias. Le vesti delicate, i lunghi capelli fluenti, a volte raccolti sul dorso, a volte sollevati in un krobỳlos sulla nuca, confermano questa immagine di primaverile giovinezza e di raffinata eleganza. Qualità che sono esaltate nella foga, nello slancio, nella leggerezza con cui l'eroe si getta sul Minotauro abbattuto, come a suggerire la viva fiamma del movimento contrapposta alla solida massa lottante di Eracle, prono a soffocare in una lenta morsa inesorabile il viscido Tritone o il leone nemeo.
L'enorme favore di tali figurazioni, riprese in una continuità ininterrotta dall'età arcaica sino a tardi mosaici romani, può spiegare certe curiose cristallizzazioni negli schemi, e persino negli aspetti individuali dell'eroe. Così T. ci appare singolarmente immutato, con la lunga chioma raccolta a krobỳlos e la pelle di fiera trasvera a partire dalle immagini a figure nere di Lydos e della coppa di Glaukythes sino alle edizioni dell'arcaismo maturo di Epiktetos, del Pittore di Kleophrades e quelle di età severa del Pittore di Alkimachos. I primi tentativi di localizzazione del combattimento- in seguito l'elemento pittorico del Labirinto, a volte proiettato in piano, nello spettacolare intrico dei suoi andamenti spezzati, a volte come una porta che si apre su foschi penetrali- si hanno in alcuni singolari accenni a un edificio in uno skỳphos del Pittore di Teseo (Acropoli n. 1280).
Non mancano del resto nella massa di tali figurazioni curiose anomalie, eccezioni e contraddizioni anche nell'aspetto dell'eroe. La più spettacolare è rappresentata da un'anfora del Pittore Affettato nel museo di Taranto, in cui quel singolare decoratore rivela con assoluta chiarezza il suo supremo disinteresse per i fatti e le persone che egli introduce a coprire le pareti dei suoi vasi. In due figurazioni dello stesso soggetto su due pareti della stessa anfora T. è figurato una volta barbato, una volta imberbe: una volta trafigge con la spada il Minotauro, una volta assesta un fendente come con una clava. Allo stesso modo T. è figurato barbato, contro ogni tradizione, in uno stàmnos del Pittore di Syriskos, Acropoli n. 780. L'impresa del Minotauro era figurata anche sul Trono di Amicle (Paus., iii, 18, 16) per quanto, per evidenti ragioni politiche, non se ne incontrino tracce nel repertorio figurativo della ceramica laconica.
È ancora una volta la nota di giovanilità e di eleganza che permette di distinguere tra Eracle e T. negli schemi paralleli e a volte inseparabili della lotta con il toro. Si può aggiungere che oltre all'aspetto dell'eroe, la lunga chioma, e a volte le vesti molli e raffinate, è anche il modo della lotta che consente una ripartizione. Eracle in generale domina il toro e lo schianta con il peso della sua forza bruta, T. lo imprigiona con l'artificio del laccio. Queste figurazioni hanno inizio intorno alla metà del VI sec. a. C. - il più antico esempio potrebbe essere l'anfora della Bibliothèque Nationale n. 174 del Pittore di Würzburg 252- per svilupparsi nella seconda metà del V con l'introduzione di tenebrose influenze da parte di Medea, in conformità a nuove tradizioni dovute alla tragedia. Tra tutte le figurazioni la più vivida per senso drammatico e per novità d'impianto è senza dubbio quella che appare sulla coppa di Kleophrades nella Bibliothèque Nationale, che figura T. a terra che raffrena e blocca l'impeto del toro.
Isolata è la figurazione su un'anfora frammentaria di Exekias a Lund (J. D. Beazley, Development, tav. 27) che apparentemente ripete la scena con i Dioscuri dell'anfora del Vaticano e in cui l'anziano personaggio che corrisponde a Tindaro porta il nome di Teseo. Si tratterà quindi del congedo dei due giovani figli, Acamante e Damofonte in partenza per Troia.
Circa l'ultimo venticinquennio del VI sec. a. C. hanno inizio nella ceramica a figure nere più tarda le storie delle Amazzoni e principalmente del ratto di Antiope. Quest'ultimo episodio ha il carattere di un'impresa individuale, distinta dalla vera e propria spedizione militare contro il popolo delle Amazzoni: un agguato, un ratto con l'eroina vinta da amore al primo incontro, il carro e occasionalmente l'aiuto di Piritoo. In questo costante schema iconografico la storia s'incontra in due anfore a figure nere del Gruppo di Leagros (Monaco 1414 e Napoli, da Cuma, 128.333) e in infinite edizioni a figure rosse tra cui una superba coppa di Oltos nel British Museum (E 41) e la notissima anfora del Pittore di Eucharides Louvre G. 197. L'impresa di Antiope introduce di nuovo il motivo dell'amicizia di Piritoo e del singolare parallelismo delle imprese amorose dei due eroi. Essi ci appaiono praticamente identici già nelle edizioni più antiche del ratto di Elena, ad esempio nella lèkythos di Amasis nel museo di Atene n. 404 e nell'oinochòe dello stesso maestro, Berlino F 1731 (S. Papaspiridi Karouzou, The Amasis Painter, Oxford 1956, tav. 19): due eroi con lance e clamide che afferrano ciascuno il polso della donna. Più tardi l'accento è accuratamente spostato di volta in volta su quello dei due che è il vero protagonista della storia d'amore, quello dei due che è più direttamente impegnato. Questo è il caso di T. nel ratto di Antiope e nelle amazzonomachie, dove Piritoo è barbato e in posizione decisamente ausiliaria. Diverso è il caso nelle lotte con i Centauri, dove questo eroe apollineo e appassionato ha la precedenza anche sul maggiore compagno, perché è lui lo sposo di Ippodamia. Eccezionalmente T. è rappresentato barbato nella coppa di Oltos in Oxford che ripete il ratto di Antiope con minore felicità della coppa del British Museum (D. v. Bothmer, Amazons in Greek Art, Oxford 1957, tav. 68).
Parallelamente al ratto dell'Amazzone continua il motivo iconografico del ratto di Elena, ancora più semplice nello schema, senza apparecchiamenti militari e appena alle volte con la presenza di un carro. Tuttavia il T. che rapisce la principessa nella famosa anfora di Euthymides, Monaco 2309; è una delle immagini più felici e più sottilmente caratterizzate che esistano dell'eroe e un supremo esempio di radiosa eleganza giovanile.
Negli ultimi decennî del VI sec. a. C. apparentemente sotto l'influsso di fonti poetiche per noi sconosciute, probabilmente la Theseis, appaiono nell'arte figurata le imprese contro i briganti del golfo e il viaggio in fondo al mare con la visita dell'eroe al padre Posidone e ad Anfitrite. Di particolare interesse gli schemi a sequenza, a ciclo relativi alle storie dei briganti del Golfo, attestati in una decina di coppe di altissima qualità tra cui le due di Kachrylion, British Museum E 36 e Firenze 91456, quella di Onesimos, Louvre G 104, di Douris, Londra E 48, del Pittore di Pentesilea a Ferrara. In queste figurazioni l'eroe ci appare impegnato in una serie di combattimenti travolgenti e rapidissimi: le imprese si succedono due o tre per lato in una sequenza ininterrotta e quasi cinematografica, con l'eroe che sembra trascorrere di vittoria in vittoria, abbattendo, schiantando, rovesciando gli avversari con l'irresistibile impulso del suo corpo giovane e mobilissimo. Inutile dire che il dialogo obbligato, e le severe cesure di questi combattimenti propongono alla mente con estrema chiarezza l'origine metopale di queste figurazioni. È infatti il momento in cui le imprese di T. vengono a far parte delle grandi decorazioni scultoree dei templi, dove rimarranno, tema costante ripreso e reimpiegato nei paesi più diversi. Nel frontone del tempio di Apollo Daphnephòros di Eretria l'eroe che rapisce in carro l'Amazzone sotto la benevola protezione di Atena compare al posto d'onore della figurazione. Questo monumento peraltro, la cui data viene fissata nell'ultimo decennio del VI sec. a. C., sembra sia stato distrutto quasi immediatamente dopo la sua erezione e di conseguenza non avrà potuto servire a lungo di fonte per altre opere d'arte. Più naturale e più attesa la sua presenza nel Tesoro degli Ateniesi a Delfi, dove appare affermato con sempre maggior chiarezza il suo parallelismo con Eracle. Le metope di Delfi infatti appaiono divise come un canto alternato tra i due eroi, concludendosi poi sul tema corale di un'amazzonomachia, in cui eventualmente Eracle e T. possono apparire affiancati, anche se possa trattarsi di differenti spedizioni. In questo monumento, dalla necessità di meglio caratterizzare i due eroi scaturisce sempre più chiara l'opposizione tra un Eracle barbato, tutto muscoli tesi e compatti e T. gentilissimo adolescente in vesti raffinate e lunga chioma calamistrata.
Tra le immagini plastiche dell'eroe, di una poesia ancora più alta è il gruppo frammentario dell'Acropoli n. 145 che conserva un torso di suprema eleganza e una mano nervosa che afferra alla gola un personaggio barbato, Sinis o Scirone.
Circa la fine del VI sec. a. C. vale a dire contemporaneamente alla grande voga del ciclo dei Briganti del Golfo, appare nella ceramica attica a figure rosse la storia del viaggio in fondo al mare, che celebra, tra l'altro, il pieno riconoscimento di T. come figlio di Posidone. Il monumentale tondo della coppa di Onesimos (Pittore di Panaitios, Louvre G. 104, v. vol. v, fig. 1135) ci presenta T. fanciullo o tenerissimo adolescente. Evidentemente si è inteso porre l'accento sulla sua qualità di figlio trionfalmente riconosciuto, esaltandone l'estrema giovinezza. È chiaro che si tratta di un giovane principe che entra solennemente nel suo regno e tutti accolgono con particolare premura il radioso adolescente. Eracle ha dovuto lottare duramente per sottomettere ai propri voleri il tortuoso e sfuggevolissimo Tritone. Ma per T. anche questo singolare mostro si rivela un servo e un pedagogo pieno di tenera benevolenza: lo trasporta nella reggia sottomarina sul suo dorso e ne sorregge i piedi nel labile elemento- si veda in particolare la splendida coppa del Pittore di Briseide (Bull. Metr. Mus., 1964, p. 62). Nel cratere a calice del Pittore di Syriskos nella Bibliothèque Nationale n. 418, T. inaugura quella peculiare acconciatura con doppia treccia sulla nuca e corti riccioli sulla fronte, che è così tipica del primo stile severo e che è possibile identificare con la theseìs, la foggia adottata da T. dopo che ebbe ad offrire ad Apollo una parte della sua chioma sulla fronte. Oltre che in Attica il viaggio di T. sul dorso del Tritone s'incontra, sempre in età severa, nel repertorio dei rilievi melici.
Isolata e incerta è la figurazione della lotta con Klitos, resa in un mero contesto atletico nello psyktèr di Euthymides nel museo di Torino. Ancor più oscuro è l'atteggiamento dell'eroe verso la madre Aithra nella coppa di Makron con il nome iscritto, dell'Ermitage, la mano alla spada a minacciare come per uno di quei comuni motivi novellistici di riconoscimento spettacolari sotto l'incubo di un evento tragico. Più spesso i due personaggi, T. e la madre, sono affrontati in comuni scene di commiato senza particolare carattere.
La figurazione dell'abbandono di Arianna, così popolare nella tradizione ellenistico-romana, non appare mai prima della fine dell'arcaismo: e anche allora non se ne hanno che scarsi esempî nella ceramica attica a figure rosse. È ben comprensibile che si volesse evitare un episodio che numerosi autori antichi giudicavano il meno difendibile nella vita di Teseo. Il documento più antico di questa storia è apparentemente la coppa del Pittore di Brygos nel museo di Tarquinia (R. C. 5291) in cui la scena dell'abbandono è narrata in maniera diretta e crudelmente fattuale con l'eroe giovinetto che raccoglie i sandali e si allontana cautamente, si direbbe, in punta di piedi dalla donna che giace immersa in un sonno greve. Più spesso un preciso intervento divino, la presenza di Atena, viene a giustificare e a conferire un suggello di fatalità irrevocabile all'evento. Così in una hydrìa del Pittore di Syleus a Copenaghen la dea si interpone a separare gli amanti, allontanando con il gesto T. che riguarda indietro, mentre Arianna si abbandona disfatta e senza resistenza nelle braccia accoglienti di Dioniso. Con ben altra suggestione poetica il dramma è evocato nella nota lékythos di Taranto prossima al Pittore di Pan. Tra elaborati riferimenti simbolici, la figurina di Nyx che passa alta nel cielo, un minuscolo Hypnos appollaiato sulla spalla di Arianna distesa in primo piano, Atena s'inchina sugli amanti a ridestare T. che sorge al richiamo.
Con ogni probabilità una nuova popolarità dovette venire a questa storia in seguito all'esecuzione di un grande ciclo pittorico, probabilmente nel terzo venticinquennio del V sec. nel tempio di Dioniso in Atene. E in questo caso l'abbandono di T. doveva apparire necessario e pienamente giustificato dall'apoteosi finale delle nozze con il dio.
Una notevole innovazione negli schemi iconografici e anche nell'aspetto stesso di T. è stata indicata entro il secondo venticinquennio del V sec. a. C., in Attica, per effetto della nuova ondata di popolarità dell'eroe di cui si favoleggiava un intervento nella battaglia di Maratona, e più tardi per la traslazione della sua tomba da Skyros ad Atene ad opera di Cimone. I grandi cicli pittorici di Polignoto e di Mikon nel Theseion e nella Stoà Poikile prendono a soggetto l'eroe così negli aspetti consueti delle antiche imprese come in schemi del tutto nuovi. T. appariva in grandi battaglie con i Centauri e con le Amazzoni, in fondo al mare e accanto a Piritoo nell'Ade: e in più in una famosa figurazione della battaglia di Maratona l'eroe era figurato emergente dal suolo a portar soccorso ai suoi concittadini (Paus., i, 15, 3).
Estremamente incerta è peraltro la valutazione di quanto sia stato trasmesso di queste figurazioni nelle grandi amazzonQmachie in voga nei vasi dipinti intorno alla metà del V sec. a. C. Assai raramente T. appare designato con il nome, come ad esempio nel superbo cratere a calice del Pittore di Achille di Spina. Più spesso è il particolare rilievo, la posizione centrale e isolata di un giovane guerriero, a rivelarne il nome quale ad esempio quello che si affianca poderoso e pacato alla regina delle Amazzoni nel cratere a volute del Pittore dei Niobidi da Ruvo nel museo di Napoli. Allo stesso modo per via di induzione è possibile identificare T. nel guerriero più generosamente impegnato nell'attacco contro un'amazzone abbattuta in ginocchio, in uno schema che ricorda il rapporto Achille-Pentesilea senza implicazioni passionali. Questo s'incontra tanto in mature opere attiche, quali il dèinos del gruppo di Polygnotos nel British Museum 99.7-21.5, o nelle lèkythoi del Pittore di Eretria, New York 31.11.13, o di Aison nel museo di Napoli RC 239, quanto in ambiente italico, come nella lekàne del Pittore della Danzatrice dell'Ermitage.
T. e Piritoo nell'Ade erano stati già riconosciuti dal Six e da altri studiosi nella misteriosa figurazione di eroi in riposo del cratere a calice del Pittore dei Niobidi Louvre G. 341. Recentemente E. Simon riprende e modifica l'interpretazione riconoscendo T. risorgente nella grande figura distesa in primo piano, due lance alla mano. La stessa studiosa identifica T. e gli Epigoni in qualità di supplici nell'altrettanto problematico cratere a volute di Spina del Pittore di Bologna 279.
Sull'ultimo scorcio dell'età severa il più notevole mutamento che subisce la figura di T. consiste nella nuova foggia di vestire e in una maggiore maturità di aspetto. È singolare che uno dei primi monumenti in cui queste nuove caratteristiche si rivelano sia l'oinochòe di Yale, che ha dato il nome a un notevole ceramografo (v. yale oinochoe, pittore di) e che rappresenta T. di fronte a Posidone che gli stringe la mano, con implicito il motivo del riconoscimento della qualità di figlio nell'eroe. Tuttavia T. non è più un tenero adolescente in vesti delicate, ma adulto, e con il tipico costume del cacciatore o dell'eroe errante che lascia la casa paterna, il petaso, la clamide, le due aste. Così lo incontriamo mentre prende congedo da Atena nello skỳphos del Pittore Lewis del museo di Vienna dove compaiòno probabilmente anche i due figli bambini Staphylos e Oinopion. Così ci appare alla fine di tutti i suoi viaggi, nell'Ade, prigioniero insieme con Piritoo in un tondo di coppa del Pittore di Telephos nel museo di Boston. E in questo aspetto ritorna in tutta una serie di avventure amorose, da solo o con un compagno, che sarà naturalmente Piritoo.
All'eroe infatti, oltre alle più note avventure con Arianna, Elena, le Amazzoni Antiope e Ippolita, vengono ricollegate altre figure femminili peraltro non molto note come Perigoune, Iope, Alope, Anaxò, Periboia. Da questi dati emerge un preciso carattere di eccezionale conquistatore e persecutore di donne, e di qui l'induzione che l'eroe anonimo in petaso e due aste che insegne una figura femminile in tutta una serie di vasi attici della metà del V sec. a. C sia Teseo. L'ipotesi sarebbe confermata secondo J. D. Beazley da una figurazione su una hydrìa dell'Ermitage, in cui peraltro la donna fuggente è indicata come una Nereide e il nome iscritto T. era stato da altri inteso come uno scambio per Peleo. J. D. Beazley invece propone una situazione parallela per T., una sconosciuta avventura con una ninfa del mare, e da questo deduce un nuovo e popolarissimo motivo iconografico per l'eroe. L'intuizione è in realtà assai convincente in quanto è naturalissimo che, in un momento in cui gli inseguimenti d'amore dominano decisamente il repertorio figurativo della ceramografia attica, una parte di primo piano venisse riservata al più grande, al più gentile e al più attraente tra gli eroi della stirpe.
In T. gli ideali eroici dell'età severa dovevano trovare l'espressione più completa e armoniosa. E in effetti è in questo momento che statue di T. sono ricordate più numerose e spettacolari. La tradizione ci parla di una statua opera di Fidia, inclusa nel donario di Maratona a Delfi (Paus., x, io, i); di numerose statue anonime dell'Acropoli, tra cui T. con il Minotauro, T. che solleva la roccia a recuperare gli gnorìsmata, T. in lotta con il Toro di Maratona (Paus., I, 27, 8-10). Quest'ultimo non è sicuro che sia da identificare con un gruppo bronzeo dello stesso soggetto menzionato in un epigramma dell'Antologia Palatina (2.656). Una replica della statua di Delfi è stata indicata nello Ares di Villa Adriana: mentre del gruppo con il Minotauro esistono edizioni con notevoli varianti di impronta mironiana in Atene e nel Museo delle Terme (Einzelaufn., 704; E. Paribeni, Il Museo delle Terme, Sculture greche, n. 33). Nello stesso tempo nella statua del così detto Auriga dei Conservatori si è pensato di riconoscere un T. impegnato in una delle sue imprese, in atto di sollevare la roccia secondo lo schema di certe monete attiche, di un tripode marmoreo di Istanbul e di altre opere minori, oppure lottante contro il Toro di Maratona. E dato che il gruppo con il Minotauro ci è giunto in condizioni estremamente frammentarie e considerevole incertezza sussiste per lo Ares di Villa Adriana, la statua dei Conservatori rimane nella sua fiera giovinezza il documento più completo e illuminante per la concezione di T. in età severa.
Se queste immagini statuarie sembrano doversi fissare nei due decennî immediatamente anteriori alla metà del V sec. a. C. non esistono dati per la statua ricordata da Pausania presso il tempio di Ares in Atene (i, 8, 4). La stessa incertezza permane per una statua di T. in Messene, di cui lo stesso periegeta rileva l'aspetto "egittizzante": qualità che sarà necessario spiegare in modo diverso che come dovuta ad alto arcaismo (Paus., iv, 32, 1).
Nel campo delle decorazioni templari si può ricordare che T. figura al posto d'onore accanto a Piritoo nella monumentale Centauromachia del frontone occidentale di Olimpia: della figura dell'eroe che vibrava la doppia ascia a due mani rimangono scarsi frammenti, che è possibile completare idealmente con l'aiuto di un cratere a calice dello stesso argomento nel museo di Vienna. In Attica la presenza di T. è attestata nelle semidistrutte metope del Sunio, mentre domina incontrastata nelle metope dell'Hephaisteion che appunto era stato ritenuto un tempo un Theseion. La presenza di T. è anche da ritenere sicura nello scudo della Parthènos e nelle metope del Partenone, per quanto l'eroe non sia stato isolato. Fuori dell'Attica T. è stato riconosciuto in uno dei protagonisti della Centauromachia del fregio di Figalia, nel fregio di Giölbaschi Trysa e persino nel Mausoleo di Alicarnasso, dove figurava opposto a Skiron. Nel frontone del tempio di Atena Alèa a Tegea, appariva invece insieme con Piritoo, incongruamente inseriti nella caccia calidonia.
L'ultima età severa ci ha tramandato immagini estremamente vivide e fortemente caratterizzate di T. e del suo amico Piritoo. Nella monumentale coppa del Pittore di Pentesilea con figurazioni del ciclo, recentemente ritrovata a Spina, i due eroi appaiono giovani, trionfanti e incoronati, l'uno a cavallo, l'altro accanto a piedi. Per il rapporto tra il maggiore eroe e il minore si può ricordare il gruppo di Achille e Patroclo offerto dai Tessali a Delfi, in cui i due eroi erano così inegualmente trattati (Paus., x, 13, 5). Nell'interno della coppa del Pittore di Telephos a Boston (98.931) C. Dugas ha riconosciuto l'immagine più intensa e straziante dei due amici condannati nell'Ade. Non è peraltro agevole decidere chi dei due sia Teseo. Secondo la più ovvia prima lettura T. dovrebbe essere il personaggio stante, più libero e pronto a partire: d'altra parte la maggior giovinezza dell'eroe seduto e persino la più aperta sconsolata manifestazione di dolore, farebbero di quest'ultimo un T. più toccante e generoso.
Figurazioni di altro livello monumentale di T. e Piritoo sono state indicate con qualche incertezza nei rilievi del piccolo tempio dell'Ilisso. Mentre nel notissimo rilievo Torlonia a tre figure il dramma è evocato con perspicua eloquenza e con ben maggiore senso di poesia. Nulla è più lontano dalla chiusa violenza, dall'eco dei singhiozzi disperati del tondo del Pittore di Telephos: Piritoo siede al centro tra Eracle il liberatore e T. pronto a partire. E il dramma si assomma nell'intenso sguardo di affettuosa mestizia con cui l'adolescente T. prende congedo dall'amico, con quella stessa riserva e profonda disciplina spirituale che s'incontrano nelle stele funerarie.
Sull'estremo scorcio del V sec. a. C. una kotỳle dell'Ermitage (C. R. 1869, tav. 4, 2) presenta T. ed Eracle come due giovani, imberbi e dai lunghi capelli incoronati, simili nell'aspetto come due fratelli. Non si tratta certo della liberazione dall'Oltretomba, perché T. è stante ed Eracle seduto: e inoltre il clima spirituale è troppo disteso e festivo. E dato che troppo forzata sembra l'ipotesi comunemente ripetuta di una iniziazione, è da ritenere si tratti di un momento indeterminato di fraternizzazione, non diversamente da quanto succede nel cratere a campana del Pittore del Deinos in cui T. è accostato ad Atteone, Castore e Tideo come in una pausa dalla caccia, apparentemente al di fuori di ogni preciso contesto narrativo (Millin, Peintures de Vases Antiques, tav. ii).
Uno dei fatti più significativi, seppure d'ordine esteriore, per la graduale assimilazione di T. ad Eracle, può vedersi nell'adozione della clava a sostituzione della bipenne verso la seconda metà e la fine del V sec. a. C. In questo modo, con la clava appoggiata alla spalla era l'immagine statuaria da cui deriva l'erma di T. Ludovisi. La clava sembra distinguere T. in alcune figurazioni della caccia calidonia, come nella coppa del Pittore di Kodros Berlino, n. 2538, in cui peraltro anche Meleagro si serve della stessa arma. Che poi la dava sia divenuta arma distintiva dell'eroe può vedersi nel fatto che il più noto e autorevole rilievo votivo che ci sia giunto, quello dedicato da Sosippos nel Louvre, ove la presumibile immagine di culto di T. sta appoggiata alla clava, il pìlos sul capo e la clamide sul braccio.
Nel corso del IV sec. a. C. sono ricordate altre notevolissime creazioni statuarie e pittoriche aventi a soggetto Teseo. Tali una statua del famoso ritrattista Silanion (Plut., Thes., 4) un dipinto di Euphranor (Paus., i, 3,3) portato poi a Roma nel Campidoglio, e un altro ancora più famoso e lodato di Parrasio (Plut., Thes., 4).
Tra le immagini statuarie tradizionalmente assegnate a T. è da ricordare la statua di guerriero Ince Blundell dal terso corpo giovanile, identificabile ancora una volta per la clava a cui si appoggia. Mentre una creazione ancora più vivida e piena di tensione è quella di T. giovinetto che contempla la spada appena scoperta sotto la roccia, come è possibile intravedere da una serie di gemme incise. Statue dell'eroe dovevano del resto esser frequentissime non soltanto nei santuarî, ma nei ginnasi e nelle palestre di cui è ricordato protettore alla pari di Eracle e di Hermes.
Immagini di T. durante il IV sec. ricorrono con notevole frequenza anche in ambienti non attici, innanzi tutto quelli della ceramografia italiota. Di conseguenza ci accade di incontrare l'eroe trattato con assai minor rispetto di quanto avviene in patria. L'abbandono di Arianna è ripetutamente rappresentato senza risparmiare l'eroe, che vediamo sorpreso in fuga mentre ascende la passerella della nave o che addirittura si dilegua nel fondo come un cattivo sogno dinanzi alla gloriosa rivelazione del risveglio, il trionfale amore di Dioniso. Allo stesso modo T. e Piritoo ci appaiono nell'Ade non già come ospiti di riguardo seppure in un tragico abbandono, ma attualmente torturati, legati e gettati a terra dalle Erinni, avvampati dalle faci di Ecate. Inspiegabile altrimenti che come un effetto della curiosa fratellanza tra eroi che conduce all'inserzione nella caccia calidonia, la figurazione di T. e Peleo seduti a terra e velati dinanzi al talamo in cui Meleagro agonizza in un noto cratere a volute tarantino di Napoli (Arch. Zeit., 1867, 46).
Decisamente ellenistico per il fervore drammatico e lo slancio serrato, il gruppo di T. e il Minotauro che ci è pervenuto in due bronzi di carattere decorativo da Pergamo e da Lixus in Marocco (Fasti Arch., v, 4526, fig. 113). Il corpo di T. appare impostato obliquamente e come sospeso sopra il mostro abbattuto e schiacciato senz'armi, per solo effetto della sua abilità atletica. Più tipiche per lo spirito della classicità matura, che sembra preferire stati d'animo raccolti e meditativi all'azione, sono le figurazioni più quiete e raccolte del momento che segue alla lotta. Non tanto la vittoria quanto il lieve stordimento, la distensione ancora confusa che segue a un combattimento mortale sembra di intendere in una serie di figurazioni che presentano T. dinanzi alla porta del Labirinto, di cui il corpo del Minotauro abbattutto e scorciato suggerisce drammaticamente le oscure profondità. A volte come in alcune gemme l'eroe appare quasi di dorso: in due famosi dipinti del museo di Napoli T. è completamente frontale nella luce del trionfo, mentre i fanciulli liberati gli si accalcano intorno e gli baciano le mani. Come è noto il T. barocco ed ellenizzante dal poderoso corpo armoniosamente scandito della Basilica di Ercolano (Napoli n. 9049) è stato (Bianchi Bandinelli) opposto al T. italico, disorganizzato ed inarmonico, tutto urti e notazioni realistiche, da Pompei (n. 9043).
Un vero e proprio ciclo delle imprese di T. appare nella serie delle terrecotte Campana. A volte l'eroe compare in aspetti curiosamente arcaizzanti, ad esempio nel cosiddetto "Clavigero", più spesso nelle consuete figurazioni di lotta contro i mostri e i briganti del Golfo. Troppo frammentarî sono gli esemplari relativi alla storia del Minotauro; contro i briganti l'eroe lotta con la clava avventando colpi, la clamide spiegata al vento. Figurazioni di cui non abbiamo documentazione anteriore sono quelle del tentato avvelenamento da parte del padre Egeo, drammatica opposizione tra la stanchezza del giovane eroe che esce dal ciclo dei suoi combattimenti e dei suoi pellegrinaggi e la subdola blandizie del padre. Meno sicura l'assegnazione a T. della figurazione grandiosa e statica di una scena nuziale. Alla stessa corrente ellenistica può attribuirsi un grandioso rilievo marmoreo dal Palatino, i cui frammenti sono dispersi tra il British Museum e il Museo delle Terme, con l'uccisione del Minotauro contro uno sfondo vagamente paesistico, il bloccaggio delle pareti del Labirinto (Schreiber, Hellenistische Reliefbilder, tav. xxvi).
L'ultima immagine di T. che ricorre nell'arte figurata romana è quella del vecchio re che interviene a condannare e a maledire il figlio nei sarcofagi con la storia di Fedra. Conclusione invero triste per il luminoso e gentilissimo eroe, relegato in secondo piano di fronte alla giovanile purezza di Ippolito e al tormento passionale di Fedra, ansioso e sospettoso, scolorito nelle vesti convenzionali di una sorta di re-filosofo barbato. Singolare anche il parallelismo con l'altra figurazione, anch'essa nota solo in età romana, del cieco attentato da parte del padre Egeo, come a sottolineare le condanne affrettate e insipienti dei vecchi contro i figli.
Bibl.: Stendingin, in Roscher, V, 1916-24, c. 678 ss., s. v. Theseus; H. v. Rohden-H. Winnefeld, Architektonische römische Tonreliefs, Berlino 1911, p. 91 ss.; H. Herter, in Rheinisches Museum, 1936, LXXXV, p. 177 ss.; 1939, p. 222 ss.; R. Bianchi Bandinelli, in Critica d'Arte, VI, 1942, pp. 17, 19 (= Storicità dell'arte classica2, Firenze 1950); C. Dugas, in Rev. Et. Gr., LVI, 1943, p. i ss.; K. Schefold, Museum Helveticum, III, 1946, p. 65; 74; E. Kunze, Archaische Schildbänder, Berlino 1950, p. 127 ss.; E. Paribeni, in Bull. Com., LXXIV, 1951-52, p. 13 ss.; J. D. Beazley-Caskey, Attic Vasepainting in the Museum of Fine Arts, Boston 1955, II, p. 16; G. Hafner, Gesch. d. Griech. Kunst, Zurigo 1961, p. 148 ss.; E. Berger, in Röm. Mitt., LXV, 1958, p. 6 ss.; M. Hausman, Hellenistische Reliefbecher, Stoccarda 1959; N. Alfieri, in Riv. Ist. Arch. St. dell'Arte, N. S., VIII, 1959, p. 104 ss.; C. Dugas-E. Flacelière, Thésée. Images et récits, Parigi 1958; p. 6 ss.; M. Hausmann, Hellenistische Reliefbecher, Stoccarda 1959; N. Alfieri, in Riv. Ist. Arch. St. dell'Arte, N. S., VIII, 1959, p. 104 ss.; C. Dugas-E. Flacelière, Thésée. Images et récits, Parigi 1958; C. Picard, in Rev. Arch., 1960, I, p. 108 ss.; F. Brommer, Vasenlisten2, Marburg 1960, p. 159 ss.; E. Berger, in Ciba-Blätter, luglio-ag. 1962; E. Simon, in Am. Journ. Arch., LXVII, 1963, p. 43 ss.; id., in Antike Kunst, VI, 1963, p. 12 ss.; J. D. Beazley, Red-fig.2, 1963, p. 1562.