Teseo
Eroe mitico, figlio di Egeo, re di Atene, e di Etra, figlia di Pitteo, re di Trezene. Egeo, dopo il concepimento di T., abbandonò la donna e, prima di ripartire per l’Attica, seppellì sotto un enorme masso un sandalo e una spada: se il nascituro fosse stato capace di recuperare gli oggetti del padre avrebbe dimostrato la sua discendenza reale. Divenuto adulto e informato dalla madre della sua identità, T. spostò il masso e recuperò ciò che Egeo aveva nascosto; quindi si mise in viaggio alla volta di Atene per reclamare i suoi diritti al trono. Durante il percorso affrontò e uccise diverse creature mostruose e demoniache e, giunto finalmente in Attica, prima di essere riconosciuto da Egeo dovette sfuggire alle macchinazioni della moglie di questi, Medea, che vedeva in lui un rivale per i propri figli. Riconciliatosi con il padre, T. decise di partire insieme ai giovani ateniesi destinati a essere inviati come tributo a Creta, dove sarebbero stati divorati dal Minotauro; con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse re di Creta, riuscì a uccidere il Minotauro e a condurre in salvo i suoi compagni. Durante il viaggio di ritorno dimenticò di far cambiare da nere in bianche le vele della sua nave come promesso a Egeo, e questi, scorgendo la nave con le vele nere e interpretandolo come il segno del fallimento dell’impresa e della morte del figlio, si gettò nel mare che da lui prese il nome. Ereditato il regno, T. riunì gli abitanti dell’Attica in una sola città e in un solo popolo, istituì nuove magistrature e diede a tutti i cittadini uguali diritti, mostrando per primo tendenze democratiche.
Ricordato nella letteratura classica per lo più come l’uccisore del Minotauro, T. divenne ad Atene il protagonista di un vero e proprio ‘mito politico’, costruito in parte sul modello di quello di Eracle, semidio di origine dorica. Attribuendogli il cosiddetto sinecismo dell’Attica, gli Ateniesi ne fecero il simbolo della città, fino a promuoverne con Cimone la traslazione delle ossa da Sciro. Il mito di T. come eroe fondatore è al centro della Vita dedicata all’eroe da Plutarco, che in coppia con quella di Romolo apre la raccolta delle Vite parallele. Le affinità fra i due personaggi sono individuate dallo storico sin dal secondo capitolo della Vita di Teseo (§§ 1-3):
Mi sembra dunque che Teseo avesse molti punti di contatto con Romolo; entrambi, infatti, erano figli illegittimi e di oscuri natali, ma si credette che fossero nati da divinità; entrambi guerrieri [...] avevano intelligenza unita a forza. Delle città più famose, l’uno fondò Roma, l’altro realizzò il sinecismo di Atene; entrambi fecero ricorso al rapimento di donne; entrambi non sfuggirono a disgrazie domestiche e all’invidia familiare, e si dice anche che entrambi, verso la fine della vita, ebbero contrasti con i loro concittadini, se nelle tradizioni dall’apparenza meno poetica c’è qualcosa che serve a trovare la verità (Le vite di Teseo e Romolo, a cura di C. Ampolo, M. Manfredini, 1988, p. 11).
M. cita T. nel cap. vi del Principe, De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur; l’eroe mitico viene collocato accanto a Mosè, Ciro e Romolo come esempio di principe asceso al potere non per fortuna, ma per virtù. A questi grandi uomini la fortuna offrì solo l’occasione per far mostra della loro virtù:
E essaminando le azioni e vita loro non si vede che quelli avessino altro da la fortuna che la occasione, la quale dette loro materia a potere introdurvi drento quella forma che parse loro: e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano (vi 10).
L’occasione offerta a T. dalla fortuna fu la situazione dell’Attica: «Non poteva Teseo dimostrare la sua virtù se non trovava gli ateniesi dispersi» (vi 14). In questa affermazione di M. vi è una chiara eco del testo plutarcheo (xxiv 1):
Dopo la morte di Egeo, avendo in mente di compiere un’impresa grande e meravigliosa, Teseo riunì tutti gli abitanti dell’Attica in una sola città, e li rese un popolo unico di un’unica città, essi che fino ad allora erano stati divisi e difficili da ricondurre al bene comune di tutti, e che talvolta litigavano tra loro e si facevano guerra (Le vite di Teseo e Romolo, cit., p. 53).
Il sinecismo dell’Attica come il maggior merito di T. torna in Discorsi I i 6, dove M. mette a confronto Atene e Venezia, entrambe nate dalla riunione sotto le stesse leggi di cittadini prima dispersi. Sulla scorta di Plutarco, M. non esplicita alcun dubbio circa la storicità dell’eroe, attribuendogli un valore esemplare che trae la sua forza dalla fama della città di cui egli sarebbe stato il fondatore e sovrano.
Bibliografia: Plutarco, Le vite di Teseo e Romolo, a cura di C. Ampolo, M. Manfredini, Milano 1988; B. Bäbler, Theseus, in Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike, 12° vol., t. 1, Tam-Vel, hrsg. H. Cancik, Stuttgart 2002, ad vocem.