TESI
Termine rispondente al gr. ϑεσις "posizione", "cosa che vien posta". La parola greca si riferisce originariamente a una situazione di dialogo tra due o più persone, in cui l'una "pone i, "mette avanti", un'asserzione per difenderla contro le "antitesi", cioè le "controproposizioni", che possono essere avanzate dagli altri (onde poi anche il senso di "tesi" come "tema" o "dissertazione" da sostenere in una discussione accademica, o universitaria). Il motivo semantico della "tesi" è quindi analogo per certo aspetto a quello del "problema", cioè della "cosa che si getta innanzi", al pari della prima palla di un giuoco: e si contrappone da un lato all'"antitesi", e dall'altro all'"ipotesi", cioè letteralmente alla "supposizione", a "ciò che si pone al di sotto", come presunto sostegno, di una "tesi" che su di essa si fonda. Inizialmente non connesso col binomio della "tesi" e dell'"antitesi" è invece il concetto della "sintesi" (v.) che, per es., in Aristotele (per opera precipua del quale quei due primi termini acquistano cittadinanza stabile nel linguaggio della filosofia) è "sintesi di noemi" o comunque di altri elementi, ma non mai sintesi di tesi e d'antitesi. Solo quando, più tardi (e principalmente in Kant), il binomio della tesi e dell'antitesi si presenta nell'aspetto dell'"antinomia", sorge il problema del superamento di quest'ultima mercé la sintesi dialettica della tesi e dell'antitesi. La "tesi" diventa così la forma tipica del pensiero "che si pone", per poi contrapporsi e superarsi: donde il motivo della "teticità", del "porsi", come funzione caratteristica dello spirito, che per opera del Fichte e del Hegel influisce a lungo sull'idealismo posteriore, pur non essendo che sopravvivenza di un tema semantico rispondente a un'assai più antica e diversa situazione mentale.