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TESSITURA

di Lucia Morpurgo - Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)
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TESSITURA (XXXIII, p. 674)

Lucia Morpurgo

Il telaio nell'antichità classica. - Gli avanzi di antichi telai sono appena riconoscibili, le rappresentazioni figurate scarse e schematiche, le testimonianze letterarie vaghe e apparentemente contrastanti. Perciò, per ricostruire la storia dell'uso del telaio (gr. ἱστός, lat. tela, tardo telarium) presso i Greci e i Romani, si è ricorso alle conoscenze del telaio egizio meglio documentato e di quello ancora in uso presso popoli primitivi.

L'origine del telaio si fonde con quella della stoffa tessuta, perfezionamento della stoffa intrecciata, o stuoia, per cui non occorre uno strumento apposito. Il perfezionamento consiste nel sostituire ad un'unica serie di fili incrociantisi alternativamente in due direzioni opposte, due serie di fili con direzioni costanti, incontrantisi ad angolo retto. Di qui la necessità di fissare i fili della trama tra cui devono passare quelli dell'ordito a una sbarra rigida, sostenuta da pali in origine conficcati nel terreno o mantenuti in posizione verticale da piedi. Il telaio fu certo conosciuto non solo dalle popolazioni mediterranee da cui sorsero le prime grandi civiltà del mondo antico, tra cui la micenea e la minoica, e dalle sopraggiunte stirpi arie, ma anche dal nucleo primitivo di tali stirpi, giacché la comune lingua indoeuropea aveva già radici distinte a significare tessuto e intreccio.

Gli antichi Greci e Romani dovettero presumibilmente avere telai di dimensioni assai varie, giacché probabilmente tutti, e certamente i Greci, non tessevano come oggi si usa, teli di larghezza uniforme e di lunghezza indefinita da poter tagliare e congiungere con cuciture secondo il bisogno, ma tessevano ogni oggetto di vestiario o di uso casalingo in un sol pezzo di dimensioni ben determinate. Infatti abbiamo rappresentazioni di telai grandissimi destinati a tessere tende o mantelli, e di piccolissimi per fazzoletti probabilmente destinati ad essere ravvolti intorno al capo. Lasciando in disparte questi telai maneggevoli che hanno l'aspetto dei moderni telaini da ricamo, e coi quali i fili dovevano farsi passare uno per uno con l'ago (fig. 1) prendiamo in esame i grandi telai. Quelli di cui restano rappresentazioni figurate, dal sec. V a. C. con la rappresentazione di Penelope sul noto schifo attico rinvenuto a Chiusi (fig. 2) al sec. III d. C. con la rappresentazione di una donna che ascolta Cristo docente nell'affresco di un ipogeo cristiano di Roma (fig. 3) e al sec. IV-V d. C. col telaio di Circe miniato nel codice vaticano di Virgilio, sono tutti telai verticali. In alcuni i fili della trama sono fissati a pesi (identificabili forse con le cosiddette fuseruole restituite da tombe e da stipi votive, non certo con le piramidette tronche, ormai convenzionalmente dette pesi da telaio) alternativamente più in alto e più in basso per facilitare la divisione delle varie serie di fili della trama tra cui doveva passare la spola, in altri i fili delle varie serie sono divisi da altrettanti regoli mobili (licci) che semplificano ancor più il lavoro. Gli antichi conobbero anche l'uso del pettine. Nelle rappresentazioni figurate, probabilmente per la scarsa evidenza che avrebbe avuto nel disegno, non abbiamo traccia di telaio orizzontale, ma dobbiamo ritenere che Greci e Romani lo abbiano conosciuto, sia per i loro rapporti con l'Egitto dove era usato, sia perché essi stessi, con la designazione di telaio verticale (ἱστὸς ὄρϑιος, tela pendula, tela stans), mostrano di conoscerne anche un altro. Ma l'innovazione importata dall'Egitto a cui allude la tradizione letteraria dovette essere non quella del telaio orizzontale, bensì di un congegno che rendesse possibile, sia nell'orizzontale sia nel verticale, di spostare il lavoro da destra a sinistra e da sinistra a destra ad ogni passaggio del filo dell'ordito tra i fili della trama. Ma nel mondo romano si conservò anche in età progredite la tradizione di usare il telaio verticale primitivo per la confezione della tunica recta che le giovinette indossavano per la cerimonia nuziale e i giovani per quella dell'assunzione della toga virile.

Bibl.: Du Cange, Glossarium mediae et infinae latinitatis, VIII, 2ª ed., 1887, c. 146; H. Blümner, Technologie und Terminologie d. Gewerbe u. Künste bei Griechen und Römern, I, 2ª ed., Lipsia 1912, pp. 135-170; G.H. Johl, Die Webstühle der Griechen und Römer, Diss., Kiel 1917; V. Chapot, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire d. Antiq. grecques et romaines, V, 1918, pp. 164-175 (Textrinum); A. Roscio, Lana e telai nell'Egitto greco-romano, in Atene e Roma, 1918, pp. 207-214; G. Bendinelli, in Not. degli scavi, 1920, p. 54, tav. IV; Art and Archaeology, XI, 1921, p. 169, fig. 1; R. Paribeni, Antichissime pitture cristiane a Roma, in Bollett. d'arte del Ministero della pubblica istruzione, 2ª serie, I (1921), p. 101 seg., fig. 4; J. Six, L'ouvrage de Pénélope, in Revue archéologique, 1922, i, pp. 318-323, tav. II; A. Götze, in Reallexikon der Vorgeschichte, XIII (1929), p. 267 segg. (Textiltechnik); C.H. Johl, ibid., XIV (1929), p. 2261 segg. (Webstuhl); A. Hug, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, ix, 1934, coll. 173-185, s. v. Tela.

Vedi anche
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