TESSUTO
(XXXIII, p. 703)
Biologia. - Il termine t. è usato in istologia, anatomia microscopica e in genere in biologia per definire raggruppamenti di cellule che svolgono la stessa funzione. Il livello di conoscenza delle caratteristiche morfologiche dei t. e il modo di classificarli sulla base dello sviluppo embrionale e della funzione che svolgono non hanno subito modificazioni di rilievo negli ultimi decenni. Rimane pertanto attuale la classificazione dei t. in a) epiteli di rivestimento, ghiandolari e di assorbimento; b) connettivi ordinari o interstiziali; c) connettivi speciali quali osso, cartilagine, sangue, t. emopoietico e t. linfatico; d) muscolo scheletrico, cardiaco e liscio; e) t. nervoso. Progressi imponenti sono stati invece fatti nell'identificazione dei costituenti molecolari specifici dei diversi t. e nell'analisi delle variazioni che tali componenti subiscono durante il differenziamento dei t. nell'embrione, durante l'accrescimento, l'invecchiamento e la trasformazione patologica. Tali costituenti rappresentano importanti marcatori molecolari per le fasi di formazione, di mantenimento e di degenerazione di ciascun t., utilizzabili per studiare a livello sperimentale i meccanismi che regolano tutte le fasi della vita di un t., e come indicatori precoci di processi patologici. La biochimica delle macromolecole e degli acidi nucleici, l'immunologia sperimentale e la biologia cellulare hanno contribuito molto a fornire nuovi parametri per lo studio e la comprensione delle modalità con cui un t. conserva lo stato differenziato durante l'arco della vita dell'individuo e con cui i t. si rinnovano. Sono state infine individuate nuove tecniche molto sensibili di visualizzazione microscopica che hanno consentito un'accurata localizzazione e quantificazione molecolare.
Note tecniche. - Tecniche basate sull'uso dei radioisotopi (autoradiografia, v. nucleare, medicina, App. IV, ii, p. 614), delle molecole fluorescenti (microscopia a fluorescenza) e degli anticorpi (immunoistochimica) hanno avuto e stanno avendo una rilevanza particolare nel permettere l'identificazione e lo studio della funzione dei componenti specifici tessutali.
Tecniche radioisotopiche. Per quanto riguarda tali tecniche, l'applicazione elettiva dei radioisotopi fino ad alcuni anni addietro è stata quella della marcatura metabolica, che consiste nel somministrare in vivo (all'animale da esperimento) o in vitro (in colture d'organo o cellulari) gli elementi radioattivi o molecole più complesse che li contengano perché, una volta assunti dai t. vitali, vengano inseriti nei cicli metabolici e nelle molecole biologiche di cui il radioisotopo diviene tracciante di straordinaria efficacia. L'altra applicazione, che sta forse divenendo la prevalente, è l'uso di radioisotopi come traccianti di molecole capaci di legarsi a componenti cellulari specifici in esperimenti detti di binding in situ, quando si tratta di molecole proteiche, o ibridazione in situ, quando si tratta di acidi nucleici. Quest'applicazione segue all'identificazione di un sempre maggior numero di molecole con la caratteristica di riconoscere e legarsi specificamente e stabilmente ad altre (ormone con il recettore, una molecola di acido nucleico con una complementare), per cui in una sezione istologica si può localizzare un determinato componente molecolare (il ligante), utilizzando una molecola capace di riconoscerla e legarvisi (il ligando), resa previamente radioattiva con l'inserimento di un radioisotopo.
Microscopia a fluorescenza. In questo tipo di microscopia la molecola fluorescente svolge il ruolo di tracciante che il radioisotopo ha nell'autoradiografia. Questa tecnica sfrutta la proprietà fisica che alcune molecole dette fluorocromi hanno di assorbire energia luminosa di lunghezza d'onda nella regione dell'ultravioletto (luce di eccitazione) per ricederla sotto forma di luce a maggiore lunghezza d'onda nello spettro del visibile (luce di emissione). Luce di eccitazione e di emissione hanno lunghezza d'onda caratteristica per ciascun fluorocromo, e sono stati messi a punto microscopi detti a fluorescenza che possiedono un apparato d'illuminazione, in cui è possibile variare con precisione la lunghezza d'onda della luce incidente il campione, e un sistema ottico disegnato in modo tale da far arrivare al campione la luce di eccitazione e all'osservatore la sola luce di emissione dei fluorocromi presenti. I fluorocromi vengono usati per marcare sia reagenti molecolari che vengono utilizzati per evidenziare strutture e componenti dei t. su sezioni istologiche, sia componenti cellulari che vengono introdotti in cellule vive con micromanipolatori per studiarne la localizzazione in diverse fasi funzionali della vita della cellula.
Immunoistochimica. Questa tecnica si avvale dell'uso degli anticorpi. Si tratta di proteine (γ−globuline) sintetizzate dalle cellule del sistema immunitario dei vertebrati per proteggere l'organismo dalle infezioni, e hanno la peculiarità di essere prodotte in un numero virtualmente illimitato di forme che differiscono in una regione della proteina chiamata sito di legame specifico, capace di riconoscere selettivamente parti (epitopi) di altre molecole chiamate complessivamente antigeni. Una volta che sia stato ottenuto un particolare costituente molecolare con metodiche biochimiche, è possibile usarlo come antigene iniettandolo in un animale di diversa specie, generalmente coniglio e capra, il cui sistema immunitario produrrà anticorpi policlonali contro tutti gli epitopi della molecola (tutte quelle regioni che sono singolarmente riconosciute dal sistema immunitario). Nel siero dell'animale tali anticorpi risulteranno abbondanti e potranno essere purificati con relativa facilità; in alternativa, con procedure complesse che includono la coltura delle cellule del sistema immunitario dell'animale iniettato, è possibile ottenere anticorpi monoclonali (v. monoclonali, anticorpi, in questa Appendice) contro un singolo epitopo della molecola antigenica utilizzata. Gli anticorpi poli- o mono-clonali così ottenuti costituiscono nella metodica dell'immunoistochimica il ''i anticorpo'' che verrà usato come potente reagente capace di riconoscere e legarsi al corrispondente antigene in sezioni istologiche di tessuti. Per evidenziare in microscopia la posizione del i anticorpo si utilizza in genere un ii anticorpo che riconosce le γ−globuline della specie animale utilizzata per produrre il primo, associato o a un enzima che sviluppi una reazione colorata o a una molecola fluorescente. È proprio questa l'applicazione di elezione della microscopia a fluorescenza nota come immunofluorescenza.
Caratteristiche dei tessuti: stato differenziato. - Un'importante caratteristica dei t. è di mantenere lo stato differenziato durante tutta la vita dell'individuo. Esistono momenti, durante lo sviluppo embrionale, in cui le cellule subiscono la determinazione, che consiste nell'acquisire la capacità di esprimere un determinato gruppo di informazioni geniche tipiche di un tessuto. Tale processo è graduale e procede per tappe sempre più specifiche: nell'embrione di poche cellule alcuni elementi subiscono la determinazione a dare luogo all'embrione vero e proprio, altri elementi a dare origine agli annessi embrionali necessari per i rapporti nutrizionali con la madre; le cellule embrionali subiscono quindi la determinazione a formare il foglietto ectodermico, mesodermico, o entodermico; nell'ambito di ciascun foglietto verranno determinate le cellule dei vari t. come, nel caso del mesoderma, i connettivi di sostegno, il sangue, i vasi, o i muscoli; infine verranno determinate le cellule delle singole popolazioni cellulari quali le cellule cartilaginee e ossee, i globuli bianchi del sangue e i globuli rossi. Tali cellule determinate, denominate via via cellule staminali totipotenti, pluripotenti e unipotenti, avranno preclusa la possibilità di acquisire caratteristiche tipiche di altri t., e daranno luogo per divisione a cellule che gradualmente esprimeranno in modo completo le informazioni geniche specifiche del t. divenendo perciò differenziate.
Durante l'accrescimento dell'organismo, limitato in genere alla fase embrionale e alle prime fasi della vita, e solo eccezionalmente esteso a tutta la vita dell'individuo, come in alcuni pesci, le cellule staminali si dividono rapidamente per generare cellule differenziate. In un organismo a sviluppo completo vi sono due possibilità: una prima è che le cellule staminali scompaiano, come in quei t. che non hanno un ciclo di rinnovamento (t. nervoso) o che si rinnovano molto lentamente per duplicazione delle cellule differenziate (fegato); una seconda è che siano conservate mantenendo la capacità di dividersi del tutto eccezionalmente come nel caso del muscolo scheletrico, o con un ritmo costante e rapido come nel caso del t. emopoietico e dell'epitelio seminifero caratterizzati da continua formazione, e degli epiteli di rivestimento e dell'osso caratterizzati da continuo rinnovamento. La capacità di tali cellule di conservare in successive divisioni il corredo di informazioni tipico del t. viene riferita come memoria cellulare, basata non su modificazioni fisiche del corredo genetico, che al contrario conserva le informazioni necessarie all'intero individuo (come è ben dimostrato dalla possibilità di ottenere un embrione normale da un nucleo di una cellula differenziata di rana inserito in un ovocito denucleato), bensì basata su un complesso di fattori intrinseci e su un opportuno ambiente extracellulare.
Fattori intrinseci sono da considerare: a) i componenti molecolari, che rendono le cellule capaci d'interagire con particolari componenti dell'ambiente circostante, quali i recettori di membrana e citoplasmatici per ormoni, i recettori per fattori di crescita, i recettori per metaboliti regolativi, e i canali transmembrana che controllano il passaggio di ioni; b) i sistemi di trasduzione del segnale, cioè quei complessi molecolari che traducono segnali extracellulari in risposte cellulari; c) proteine nucleari che regolano con grande selettività l'espressione genica del DNA.
Fattori estrinseci sono da considerare, oltre a quelli già citati (ormoni, fattori di crescita, metaboliti regolativi e ioni), i rapporti con altri individui cellulari del t. o di t. contigui quali vasi sanguigni, sangue, t. connettivi e terminazioni nervose, e infine con le matrici extracellulari in genere. In alcuni casi questi fattori esogeni sembrano avere essenzialmente un significato modulatorio dell'attività cellulare, come nel caso delle cellule pigmentate della retina che, se poste in coltura in vitro in condizioni sfavorevoli, perdono la capacità di sintetizzare il pigmento, per riacquistarla quando le condizioni colturali vengano corrette. In altri casi tali fattori esogeni sembrano essere più determinanti, come nel caso dei condrociti, che per conservare le proprie caratteristiche necessitano il contatto con la sostanza extracellulare da essi stessi prodotta, mentre le perdono se posti a contatto dei prodotti dei fibroblasti, nel qual caso acquistano addirittura caratteristiche morfo-funzionali di questi ultimi; analogamente i 40-50 elementi cellulari componenti le gemme gustative linguali, che perdono completamente le caratteristiche specifiche quando viene interrotto il rapporto diretto con la terminazione nervosa, per riacquistarle quando venga ripristinata l'innervazione sensitiva.
Rinnovamento dei tessuti. - Tessuti costituiti da cellule perenni. Nei t. di questo tipo, che non si dividono per tutta la durata della vita dell'individuo, si assiste a un continuo rinnovamento delle componenti molecolari e degli organelli delle cellule costituenti. È il caso delle cellule muscolari cardiache, che presentano una continua sintesi di RNA e di proteine, facilmente dimostrabile autoradiograficamente, per il rinnovo (turnover) dei costituenti dell'apparato contrattile, o per aumentare la dimensione cellulare quando sottoposte a iperlavoro. È ancora il caso delle cellule nervose, in cui il processo di rinnovamento delle componenti è particolarmente complesso essendo il neurone caratterizzato da un corpo (pirenoforo) in cui sono localizzati il nucleo e le strutture sede delle attività biosintetiche, e da prolungamenti di lunghezza anche superiore al metro (assone e dendriti) privi di tali strutture.
Usando precursori radioattivi o molecole fluorescenti è stato evidenziato un flusso di prodotti che a partire dal pirenoforo raggiungono le estremità dei prolungamenti (flusso assonico). Un tipo di trasporto è detto rapido, caratterizzato da una velocità massima di 40 cm al giorno, e riguarda il trasferimento di macromolecole o microvescicole: tale trasferimento avviene lungo neurotubuli e neurofilamenti, strutture filamentose presenti nei prolungamenti cellulari, grazie a proteine di trasporto che, agganciate in forma stabile al prodotto da trasportare, si spostano con interazioni reversibili che richiedono l'energia dell'ATP lungo i neurofilamenti utilizzati come supporto. Vi è poi un trasporto lento di pochi millimetri al giorno, che è espressione della velocità di rinnovamento dei neurofilamenti stessi cui vengono aggiunti nuovi costituenti a livello del pirenoforo, e vengono asportati all'estremità dei prolungamenti cellulari dopo aver quindi percorso l'intera lunghezza del filamento. Con questi meccanismi il pirenoforo è in grado di provvedere anche alla rigenerazione dei prolungamenti quando vengano danneggiati o recisi, a patto che le estremità recise del nervo vengano collegate in modo che il prolungamento in crescita possa seguire il tracciato del nervo.
Sostituzione degli elementi cellulari. Nei t. che si rinnovano per sostituzione degli elementi cellulari costituenti, perché questo meccanismo non porti a variazioni anche grossolane della dimensione del t., è necessario che vi sia un perfetto equilibrio tra generazione di nuovi elementi e morte cellulare (si tratta qui di morte cellulare programmata, detta apoptosi, non legata a fattori patologici; v. oltre), mantenuto dall'azione di sostanze mitogeniche o antimitogeniche (che inducono o inibiscono la divisione cellulare), e di sostanze apoptotiche o antiapoptotiche (che inducono o inibiscono la morte cellulare).
Vi sono tessuti che non presentano cellule staminali, in cui sono le cellule differenziate stesse a conservare la capacità di dividersi per tutta la durata della vita dell'individuo. È il caso del fegato e dell'endotelio dei vasi sanguigni. È stato dimostrato con metodi autoradiografici che le cellule epatiche differenziate si dividono molto lentamente in condizioni normali, a tal punto che si è ritenuto a lungo che entrassero in mitosi solo in caso di perdita di tessuto. Il ritmo mitotico risulta proporzionale alla perdita di t. fino a raggiungere un massimo dopo asportazione di un terzo della massa tessutale. È stato recentemente identificato un fattore di crescita epatocitario (Hepatocyte Growth Factor) presumibilmente coinvolto nel controllo dell'attività proliferativa epatocitaria, che induce divisione e movimento cellulare interagendo con un recettore presente sulla membrana cellulare. Anche nel caso dei vasi sanguigni le cellule endoteliali vanno incontro a lenta sostituzione per divisione di elementi differenziati, e sono altresì in grado di formare ex novo capillari sanguigni (angiogenesi) nelle ferite in via di guarigione. I nuovi capillari si formano per gemmazione dai capillari preesistenti: le nuove cellule prodotte per mitosi si addensano formando strutture cilindriche circondate dalla membrana basale nella direzione della regione da vascolarizzare, vanno quindi incontro a vescicolazioni e si forma il lume in cui comincia a fluire il sangue. L'angiogenesi è ben visibile nella cornea sottoposta all'azione di agenti irritativi grazie alla trasparenza della struttura in questione, e attualmente viene studiata nei tumori solidi, che presentano un'attiva angiogenesi in quanto necessitano di una ricca vascolarizzazione per accrescersi e in cui è stata descritta la produzione di uno specifico fattore di crescita, il Tumor Angiogenesis Factor, che stimola la neoformazione di capillari sanguigni.
Nel caso di t. in cui siano conservate cellule staminali, sono queste a dividersi, mentre le cellule differenziate perdono tale capacità. Il processo avviene in modo tale da non depauperare la riserva di cellule staminali, che forniranno nuovi elementi differenziati per tutta la vita dell'individuo. Delle due cellule derivanti dalla divisione mitotica, una conserva le caratteristiche di cellula staminale determinata, l'altra va incontro alla graduale espressione di tutte le caratteristiche differenziate. Esempi tipici di questa modalità di rinnovamento sono dati dagli epiteli di rivestimento dove è stato possibile studiare con precisione il ciclo di rinnovamento dell'epitelio marcando con timidina radioattiva il DNA delle cellule staminali e seguendo autoradiograficamente il destino dei prodotti della divisione in tempi successivi.
A livello cutaneo le cellule staminali sono localizzate alla base dell'epidermide, a contatto con la membrana basale; la divisione porta a una cellula staminale che rimane in sede per dividersi nuovamente dopo circa 24 ore, e a una seconda che viene spinta verso gli strati più superficiali dalle successive generazioni cellulari per essere esfoliata dopo 2÷4 settimane, a seconda dello spessore dell'epidermide. Durante lo spostamento verso la superficie progredisce il differenziamento caratterizzato dall'accumulo, nel citoplasma della cellula, di proteine specifiche, le cheratine; la cellula va quindi incontro a morte andando a formare squame di cheratina che esfoliano gradualmente alla superficie. La frequenza d'immissione di nuove generazioni è di norma in equilibrio con l'esfoliazione, e sarebbe regolata dalle cellule epidermiche differenziate che producono fattori, definiti genericamente caloni, con effetto antimitotico sulle cellule staminali. È interessante notare che in caso di perdita di epidermide per abrasioni o ustioni, venendo a mancare la produzione di questi fattori, si assiste a un'accelerazione del ritmo di divisione delle cellule staminali per ripristinare rapidamente lo spessore. A livello degli epiteli monostratificati che rivestono i visceri, le cellule staminali sono interposte fra le cellule differenziate e, con cicli mitotici come quelli descritti per la cute, danno origine a nuovi elementi differenziati che migrano lateralmente a sostituire gli elementi degenerati. Il processo ha caratteristiche tipiche nei tratti intestinali che presentano cripte e villi: le cellule staminali risultano qui localizzate sul fondo delle cripte e, una volta marcate come descritto per la cute, è possibile seguirne la graduale migrazione verso l'apice dei villi mentre via via acquistano caratteri differenziati definiti, fino al distacco all'apice del villo. Situazione particolare è quella della muscolatura scheletrica: questo t. è costituito da elementi multinucleati allungati, risultanti dalla fusione dei mioblasti mononucleati e capaci di divisione mitotica. Tra le fibrocellule e la loro membrana basale sono presenti cellule staminali quiescenti che, solo in situazioni particolari di danno del t. muscolare, si dividono per dare mioblasti e quindi fibrocellule. Il meccanismo che regola l'ingresso in mitosi e la differenziazione terminale di queste cellule staminali quiescenti è oggetto d'intenso studio soprattutto in riferimento alla possibilità d'intervenire in quelle patologie degenerative del t. muscolare scheletrico note come miodistrofie.
Apoptosi. Nell'esaminare i meccanismi utilizzati per garantire il rinnovamento, l'integrità e la dimensione dei t. non si può ignorare l'apoptosi (dal greco ἀποπτῶϚιψ, caduta), termine utilizzato dai primi anni Settanta per definire la morte cellulare programmata. È ormai generalmente accettato che tale processo rappresenta un importante meccanismo omeostatico che mantiene il corretto numero di cellule nell'organismo, bilanciando la produzione cellulare; esso è nettamente distinto dalla necrosi cellulare che consegue all'azione distruttiva di agenti esterni (fisici, chimici, e sostanze tossiche), ed è caratterizzato dall'addensarsi in masse discrete della cromatina nucleare, dalla frammentazione della cromatina con formazione di frammenti di DNA di lunghezza tipica, dalla condensazione del citoplasma, dalla formazione di vescicole sulla superficie cellulare integra, che si distaccano come corpi apoptotici contenenti organelli citoplasmatici.
La sequenza degli eventi che caratterizzano l'apoptosi è determinata da eventi molecolari a catena, attualmente oggetto di attiva indagine, che conducono all'attivazione di enzimi proteolitici specifici. L'apoptosi è innescata dai più vari segnali esogeni quali ormoni e fattori di crescita, e da segnali endogeni quali l'accumulo di mutazioni nel genoma. Altrettanto importanti sono i segnali di blocco dell'apoptosi, altrimenti, trattandosi di un processo cellulare autonomo, potrebbe attuarsi anche in sedi o momenti non opportuni. Per esemplificare l'importanza fisiologica dell'apoptosi ci si può riferire alla ghiandola mammaria, agli epiteli di rivestimento e all'invecchiamento dei tessuti. Durante l'allattamento la ghiandola mammaria presenta un notevole aumento di volume per aumento del numero delle cellule secernenti indotto da specifici ormoni, non accompagnato da parallelo aumento dell'apoptosi, cui invece si assiste durante la regressione ghiandolare che accompagna la fine dell'allattamento. L'azione degli ormoni all'inizio dell'allattamento viene quindi interpretata in questo caso come mitogenica e antiapoptotica; con il cessare di tale azione prevale l'apoptosi per ricondurre il t. alle dimensioni originarie. Negli epiteli di rivestimento è stato osservato che le cellule costituenti vanno incontro ad apoptosi se perdono il contatto con la membrana basale cui aderiscono. Si è parlato a questo riguardo di apoptosi ancoraggio-dipendente, ed è stato suggerito che vi sia un segnale antiapoptotico presente nella membrana basale, rappresentato da molecole della matrice cui si lega la cellula con proteine della membrana plasmatica note come integrine. Questo meccanismo opererebbe nel normale meccanismo maturativo dell'epidermide, dove le cellule rimaste a contatto della membrana basale continuano a proliferare, mentre quelle che affrontano il processo differenziativo negli strati più superficiali vanno irreversibilmente incontro ad apoptosi. È stato osservato − è interessante ricordarlo − che le cellule basali dell'epidermide, cellule staminali, contengono un alto livello di un prodotto genico (bcl-2) di cui non è noto il meccanismo di azione ma è dimostrata la funzione antiapoptotica, mentre le cellule degli strati superiori non ne contengono. Anche nel caso delle cellule degli epiteli monostratificati dell'apparato digerente e di quelle degli endoteli vasali si è dimostrato che, se staccate dalla membrana basale, vanno incontro ad apoptosi. Il significato biologico di tale fenomeno potrebbe essere quello d'impedire una nuova ed eventualmente errata dislocazione dell'elemento cellulare che ha accidentalmente perduto il contatto con la membrana basale. L'apoptosi è particolarmente importante per evitare l'invecchiamento dei tessuti. Infatti essa interviene nell'eliminazione di quei nuovi elementi cellulari che siano stati prodotti con scarsa ''fedeltà fenotipica'' rispetto alle caratteristiche morfo-funzionali del t. a causa di mutazioni sopravvenute. In assenza di efficace apoptosi si assiste all'aumento degli elementi mutati con conseguente scadimento funzionale del t. se tale mutazione comporta solo un'alterata efficacia funzionale (il caso delle malattie cardiovascolari, ictus cerebrali, deficit immunitari), o comparsa di trasformazioni maligne se tali mutazioni sono tumorigeniche. Vedi tav. f.t.
Bibl.: A.B. Cairnie, P.K. Lala, D.J. Osmond, Stem cells of renewing cell populations, New York 1976; N.K. Wessells, Tissue interactions and development, Menlo Park (California) 1977; L. Weiss, Histology: cell and tissue biology, New York 19835; W. Gevers, Protein metabolism in the heart, in Journal of Molecular and Cellular Cardiology, 16 (1984), pp. 3-32; F.M. Watt, Selective migration of terminally differentiating cells from the basal layer of cultured human epidermis, in Journal of Cell Biology, 98 (1984), pp. 16-21; N.A. Wright, M.R. Alison, Biology of epithelial cell populations, 3 voll., Oxford 1984; N. Fausto, New perspectives on liver regeneration, in Hepatology, 6 (1986), pp. 326-27; D.W. Fawcett, A textbook of histology, Filadelfia 198611; J.A. Madri, B.M. Pratt, Endothelial cell-matrix interactions: In Vitro model of angiogenesis, in Journal of Histochemistry and Cytochemistry, 34 (1986), pp. 85-91; P.R. Wheater, H.G. Burkitt, V.G. Daniels, Functional histology, Edimburgo 19872; E. Gohda e altri, Purification and partial characterization of hepatocyte growth factor from plasma of a patient with fulminant hepatic failure, in Journal of Clinical Investigation, 81 (1988), pp. 414-19; T.G. Williams, C.A. Smith, Molecular regulation of apoptosis: genetic controls on cell death, in Cell, 74 (1993), pp. 77-79; B. Alberts, D. Bray, J. Lewis, M. Raff, K. Roberts, J.D. Watson, Molecular biology of the cell, New York 1994.