Testamento. La diseredazione
Cass., 25.5.2012, n. 8352, ha riconosciuto la validità della clausola testamentaria di diseredazione, con la quale il testatore manifesti la volontà di escludere dalla propria successione legittima alcuni dei successibili, in maniera, così, da restringerla ai non diseredati. Una tale clausola, ad avviso della Suprema Corte, è, infatti, espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali, comunque rientrante nel contenuto tipico dell’atto di ultima volontà: sicché, per diseredare, non è affatto necessario procedere ad una positiva attribuzione di bene, né occorre prova di un’implicita istituzione.
Quando Speranza si rivolge a Mastro Don Gesualdo, intenzionata com’è a parlare subito dell’eredità paterna da dividere, dice: «Siamo tre figliuoli. Ciascuno la sua parte … però se ci avete il testamento … non dico … allora tiratelo fuori e si vedrà…».
In quel «si vedrà» verghiano c’è tutto il senso dell’ancestrale rispetto che il testamento suscita nell’uomo quale “atto di volontà”, ovvero quale “atto di autonomia”, il cui unico limite è quello, esterno, posto dalla salvaguardia degli interessi successori dei cd. legittimari1. Una volontà, per di più, ultimativamente espressa, e quindi, se possibile, da conservare ad ogni costo.
Nella fattispecie decisa da Cass. 25.5.2012, n. 8352, era accaduto che la de cuius avesse disposto in vita con un testamento del seguente contenuto: «Io sottoscritta … scrivo le mie volontà sana di mente. Escluso da ogni mio avere i miei cugini … fu … - … fu …-… fu …. Nella tomba con i miei altrimenti compramene una». Uno degli esclusi aveva allora convenuto in giudizio gli eredi indicati per sentir dichiarare la nullità della clausola di diseredazione contenuta nel testamento. L’adito tribunale respingeva la domanda, mentre la Corte d’Appello riconosceva al diseredato il diritto alla devoluzione dell’eredità per la sua quota di legge. La Corte di cassazione, nella sentenza n. 8352/2012, ha così deciso di dissentire dai propri precedenti, rivenendovi un’insanabile contraddizione, lì dove, da un lato, si sosteneva l’invalidità di una clausola testamentaria meramente negativa, ove la stessa non risultasse accompagnata ad altre che contenesse disposizioni attributive, e, dall’altro, se ne riconosceva la validità, purché fosse da essa ricavabile, seppur in maniera indiretta ed implicita, un’inequivocabile volontà del testatore che, oltre a diseredare un determinato successibile, fosse volta ad assegnare le proprie sostanze ad un determinato altro. Le pronunce così disattese avevano ammesso la validità di una volontà di diseredazione soltanto ove in essa fosse ravvisabile o una disposizione principale attributiva, esplicitamente o implicitamente presupposta, della quale la volontà del testatore risultasse modalità esecutiva2, oppure un’implicita istituzione di tutti gli altri successibili non diseredati, da provarsi in concreto3. Osserva, però, ora la Corte come, se si riconosce al testatore di poter decidere di tutti i suoi beni, escludendo, in tutto o in parte, i successori legittimi, non si vede per quale ragione egli non possa, con un’espressa e apposita dichiarazione, limitarsi ad escludere un successibile ex lege mediante una disposizione negativa delle proprie sostanze beni. Ancor più nettamente, Cass. n. 8352/2012 chiarisce: «per diseredare non è quindi necessario procedere ad una positiva attribuzione di beni, né – sulla scorta dell’espediente che escludere è istituire – alla prova di un’implicita istituzione».
Ciò segna, in definitiva, l’abbandono di quella soluzione giurisprudenziale (approvata da parte della dottrina4, e da altri, però, ritenuta ibrida ed inappagante), per la quale la validità della disposizione di diseredazione passerebbe necessariamente per la ricostruzione di una siffatta volontà negativa come implicita istituzione dei successibili ex lege non esclusi: soluzione di comodo, ricondotta al teorema d’oltralpe “exclure est instituer” nella più compiuta elaborazione scientifica dell’istituto in esame5.
La diseredazione, ovvero la disposizione testamentaria negativa, non è mai stata disciplinata nel nostro ordinamento, diversamente da altri sistemi giuridici europei, che affiancano ai casi di indegnità, fattispecie di violazioni meno gravi dei doveri di solidarietà familiare, meritevoli di diseredazione per giusta causa6.
D’altro canto, l’indegnità, operante nel diritto italiano, in forza dell’art. 463 c.c., rileva non come ipotesi di incapacità all’acquisto dell’eredità, ma come causa di esclusione dalla successione, quale sanzione civile discendente dalla qualificazione di un comportamento riprovevole addebitabile all’indegno. L’indegnità non delinea, così, uno status connaturato al soggetto biasimato, ma un giudizio che consegue all’accertamento del fatto contemplato dalla norma, volto ad impedire l’ottenimento di un vantaggio patrimoniale in danno del soggetto passivo di un illecito. Tale accertamento giudiziale della causa di indegnità culmina, perciò, in una sentenza costitutiva pronunciata su domanda dell’interessato, nell’esercizio di azione soggetta al termine di prescrizione ordinaria di cui all’art. 2946 c.c. A differenza della diseredazione, la quale, ove accettata, non può che discendere dall’intenzione del testatore, l’indegnità deriva direttamente dalla legge, anche perché alcune delle ipotesi legalmente contemplate dall’art. 463 c.c. risultano del tutto incompatibili col formarsi di un’apposita volontà testamentaria diseredativa. Avendo l’indegnità natura di pena, essa non trova fondamento nella presunta volontà del defunto, e, pertanto, non può che irrogarsi nei casi tassativi previsti dalla legge, negandosi al de cuius la facoltà di escludere taluno dalla successione per fatti diversi da quelli elencati nella norma citata7. La dimensione pubblicistica degli interessi preservati dalla sanzione di indegnità fa si che essa, sempre a differenza della diseredazione, operi pure in danno dei successori necessari. Altri ravvisano un ennesimo tratto distintivo tra diseredazione ed indegnità: mentre il meccanismo della rappresentazione, di cui agli artt. 467 ss. c.c., opera comunque in caso di indegnità, è controverso se i discendenti del diseredato possano subentrare nel luogo e nel grado del loro ascendente8.
L’ostracismo normativo alla diseredazione ha, in realtà, radice lontane, traendo il proprio criterio di legittimazione in concezioni di immeritevolezza etiche, prima che sociali9. In assenza di una vigente definizione legislativa della formula filius exheres sit, per diseredazione si intende comunemente la disposizione patrimoniale con cui il testatore esclude un erede dalla propria successione ex lege, ferma sempre l’intangibilità dei diritti dei legittimari10. A fronte, così, della preterizione, nella quale l’effetto mediato negativo dell’omessa chiamata all’eredità di un erede è correlato al requisito essenziale dell’esistenza di una disposizione testamentaria complessivamente attributiva dell’intero patrimonio del de cuius in favore di altri, la dimensione causale della clausola di diseredazione prescinde da una prevalente volontà istitutrice, dovendo assumere un rilievo assorbente, se non esclusivo, lo scopo di esclusione di un determinato successibile. Ancor diversa sarebbe la qualificazione della disposizione diseredativa di uno o alcuno dei potenziali chiamati in termini di istituzione implicita dei restanti soggetti non espressamente esonerati dalla successione. Non si ha, perciò, diseredazione in senso proprio quando il testatore pervenga all’esclusione dall’eredità di un soggetto attraverso disposizioni positive dei suoi beni11, né, tanto meno, allorché il de cuius allestisca una sostituzione ordinaria o plurima, consentita dagli artt. 688 e 699 c.c. per l’ipotesi in cui il primo chiamato non possa o non voglia accettare, poiché, anche in quest’ultima vicenda, la finalità di scongiurare l’attribuzione successoria a vantaggio della persona da evitare, viene perseguita servendosi di un meccanismo condizionante tra delazioni testamentarie istitutive. Del resto, soltanto il riconoscimento della liceità dell’espressa diseredazione assicura un’affidabile realizzazione allo scopo preclusivo della delazione intestata a beneficio di quel dato successibile, laddove la mancata realizzazione della delazione testamentaria in favore dei preferiti lascia comunque aperto tale malaugurato esito.
Se, dunque, la preterizione si sostanzia in un’omessa chiamata testamentaria all’eredità, la quale, ove in danno di un legittimario, seppur non nulla, né annullabile, resta esposta all’azione di riduzione di cui all’art. 554 c.c. (ovvero a quella di cui al secondo comma dell’art 735 c.c., ove il testatore abbia operato una divisione attribuendo al legittimario una quota inferiore a quella spettantegli), l’autonomia causale della clausola di diseredazione deve poggiare sull’irrilevanza del contenuto dispositivo delle sostanze ereditarie e sull’essenzialità, invece, della voluntas excludendi12.
Perché possa accordarsi rilevanza giuridica alla diseredazione occorre stabilire se al testatore sia consentito di disporre delle proprie sostanze non soltanto determinandone positivamente la destinazione, ma anche rifiutando la destinazione che esse avrebbero in favore di uno o più soggetti individuati ex lege, ovvero se il testamento possa fungere altresì da strumento modificativo della successione legale13, con l’unico limite dell’intangibilità delle quote di legittima14.
L’interpretazione giurisprudenziale finalmente ripudiata, come già ricordato, subordinava la validità della disposizione negativa di diseredazione al riscontro nella medesima scheda testamentaria di un’implicita volontà attributiva dell’eredità in favore di tutti gli altri successibili o anche soltanto di alcuni soggetti, sotto forma di istituzione di erede o di legato. Tale interpretazione, nella sostanza, concretava un artificioso procedimento elenctico: chi intendesse negare una determinata devoluzione ereditaria, era costretto ad affermarne un’altra, non potendosi “non volere” se non, allo stesso tempo, “volendo”, quasi come conferma del tentativo filosofico di derivare il principio di non contraddizione dal principio di doppia negazione.
Agevolmente superate le resistenze di coloro che desumevano la nullità dell’atto di ultima volontà esclusivamente diseredativo, argomentando dalla tassatività dei casi di indegnità, o dalla presunta essenziale liberalità che dovrebbe sorreggere ogni istituzione testamentaria15, resta, piuttosto, da verificare dapprima se una disposizione volta solo ad impedire la successione legale di alcuni soggetti possa utilmente sovvertire la regola dell’automatica delazione per legge in ipotesi di mancante o incompleta vocazione testamentaria, ai sensi dell’art. 457, co. 2, c.c. Il riconoscimento della rilevanza della clausola di diseredazione non può, tuttavia, esaurirsi nell’affermazione di un rapporto di prevalenza della successione testamentaria su quella legittima, o viceversa, ovvero nell’attribuzione di una valenza dispositiva, piuttosto che suppletiva, alla disciplina che regola la delazione legale16. È intuibile come il fenomeno successorio componga, in una difficile sintesi, interessi convergenti e contrapposti, che attengono all’autonomia negoziale ed alla proprietà, alla destinazione sociale delle sostanze del defunto, e, ancora, all’interesse familiare spettante ai congiunti superstiti17.
Il testamento è, per definizione pure legislativa (ad esempio, art. 50, co. 1, art. 620, co. 3, art. 703, co. 1, art. 795, co. 1, art. 965, co. 1, art. 1869, c.c., art. 725, co. 1, c.p.c.), «atto di ultima volontà», sicché decisiva per indagarne il contenuto e gli effetti è unicamente l’intenzione del de cuius18. Tale consacrazione della volontà del testatore merita protezione giuridica, indipendentemente dalla direzione soggettiva dell’atto, quale insostituibile strumento di autoregolamentazione di interessi; sicché, il testamento non rinviene la sua causa tipica nell’attribuzione del patrimonio ereditario, quanto nella disposizione dello stesso, essendo l’una immancabile effetto dell’altra. Né può convincentemente sostenersi che la volontà del testatore sia davvero decisiva unicamente nello stabilire chi siano i chiamati ed in quale misura lo siano, limitando, in pratica, l’ambito dell’autonomia negoziale ereditaria alla designazione di soggetti, senza alcuna incidenza sulla sorte dei rapporti e delle attribuzioni. Va perciò condiviso il giudizio di validità della clausola di diseredazione, espresso da Cass. n. 8352/2012, in quanto basato sull’assunto che essa manifesti una volontà destitutiva del testatore, ammessa dall’art. 587, co. 1, c.c., e rientrante nel contenuto tipico dell’atto di ultima volontà. Mediante la diseredazione, il testatore predispone un certo regolamento dei suoi rapporti patrimoniali per quando avrà cessato di vivere, manifestando un’intenzione contraria alla devoluzione in favore di una determinata persona, e così beneficiando, sia pur soltanto di fatto, i restanti eredi non esclusi19. Anche, cioè, la disposizione meramente diseredativa concreta un atto di esercizio dell’autonomia negoziale in ragione dell’evento morte, ovvero una fonte di selezione e di individuazione dei destinatari della vocazione ereditaria. In tal senso, non risulta decisivo nemmeno interrogarsi se la diseredazione consista in una disposizione innominata, o atipica, o, piuttosto, non tipizzata, senza, peraltro, in alcun modo giustificarsi l’esigenza di una sua soggezione ad un giudizio non soltanto di liceità, o, più in generale, di illeceità, quanto di meritevolezza di tutela degli interessi che, con essa, il de cuius intenda perseguire e soddisfare20. La tipicità dello schema strutturale del testamento non può implicare la necessaria conformità ad un modello legale dei regolamenti di interessi in concreto realizzabili per suo tramite. Perciò, la clausola di diseredazione partecipa della causa caratterizzante il negozio testamentario, che è quella di manifestare la volontà del suo autore di dare un certo assetto ai propri beni, destinati ad altri per effetto della sua morte: in questa prospettiva, la diseredazione è “funzionalmente tipica” e può validamente derogare alla disciplina della successione legale.
Il «disporre», di cui all’art. 587 c.c., si predica in molteplici modi. Chi disereda, comunque indirizza, indica, regolamenta, determina, sceglie, e, quindi, dispone, volendo una sistemazione dei propri interessi dopo la sua morte. Perché volere che qualche cosa non sia, inevitabilmente, per il medesimo principio di non contraddizione, equivale a disporre che qualche cosa sia, proprio come il non-essere è possibile solo in relazione all’essere.
1 Cfr. Bigliazzi Geri, L., Il testamento, in Tratt. Rescigno, vol. IV, t. II, Milano 1976, 100 ss.
2 Cass. 20.6.1967 n. 1458, in Foro it., 1968, I, 574.
3 Cass. 23.11.1982, n. 6339, in Foro it., 1983, I, 1652; Cass. 18.6. 1994, n. 5895, in Giur. it., 1995, I, c. 1564.
4 Santoro Passarelli, F., Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, 200; Torrente, A., Diseredazione, c) diritto vigente, in Enc. dir., XIII, 1964, Milano, 102.
5 Ci si riferisce, ovviamente, all’opera di Bin, M., La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino 1966, 16, volume appena tornato d’attualità grazie alla ristampa anastatica pubblicata a Napoli nel 2011.
6 Cfr. Comporti, M., Riflessioni in tema di autonomia testamentaria, tutela dei legittimari, indegnità a succedere e diseredazione, in Familia, 2003, 27; Moscati, E., Questioni vecchie e nuove in tema di capacità a succedere e di indegnità, in Familia, 2006, 42; Porrello, V., La clausola di diseredazione, in Dir. famiglia, 2008, 980 ss.
7 Ferri, L., Successioni in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1964, 163.
8 Ad avviso di Cass. 14.12.1996, n. 11195, in Giust. civ. Mass., 1996, 1748, e di Cass. 23.11.1982, n. 6339, in Foro it., 1983, I,1652, in verità, la diseredazione, avendo effetti nei soli confronti del soggetto cui è indirizzata, al pari, appunto, dell’indegnità a succedere, non escluderebbe l’operatività della rappresentazione a favore dei discendenti del diseredato.
9 Barreca, A., Ancora sulla diseredazione, in Giur. mer., 2005, 274 ss., ricorda la celebre lata sententia secondo cui «c’è un’istanza di pietà cristiana che si ribella all’istituto della diseredazione» (Jemolo, C., Gli occhiali del giurista. La diseredazione, in Riv. dir. civ., 1965, II, 504).
10 Si sostiene che una clausola di diseredazione in danno dei legittimari possa al più indurre a riconoscere loro l’esclusiva quota riservata per legge, dirigendo così a favore di altri soggetti la disponibile: Bonilini, G., Nozioni di diritto ereditario, Torino, 1993, 99. È peraltro noto come sia da più parti auspicata una riforma della successione necessaria, in maniera da scalfire la rigidità della tutela dei legittimari prevista dal nostro ordinamento, arrivandosi ad evidenziare l’opportunità di una generale facoltà di diseredazione del riservatario che abbia violato i doveri di solidarietà familiare nei confronti del de cuius: cfr. indicativamente Comporti, M., Riflessioni in tema di autonomia testamentaria, tutela dei legittimari, indegnità a succedere e diseredazione, cit., 27 ss. Una tendenza ad incidere, seppur modestamente, sull’intangibilità dei diritti del legittimario rivelano già le riformulazioni degli artt. 561 e 563 c.c., operate nel 2005, nonché l’introduzione nel 2006 della disciplina del patto di famiglia, di cui agli artt. 768 quater e ss. c.c.
11 Cass. 5.04.1975, n. 1217, in Giur. it., 1975, I, 1, 1796. In dottrina, Ferri, L., Se debba riconoscersi efficacia ad una volontà testamentaria di diseredazione, in Foro pad., 1955, I, 48; Azzariti, G., Diseredazione ed esclusione di eredi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, 1197; Corona, M., La c.d. diseredazione: riflessioni sulla disposizione testamentaria d’esclusione, in Riv. not., 1992, 505 ss.; Corsini, F., Appunti sulla diseredazione, in Riv. not., 1996, 1093 ss.; Ungari Trasatti, C., Rassegna di dottrina e giurisprudenza in tema di diseredazione, in Riv. not., 2003, 1312.
12 Mentre, invero, è pacifica l’incompatibilità tra l’efficacia della clausola di diseredazione e la posizione garantita dei legittimari, restringendosi la prima al solo novero dei successibili ex lege, è tuttora dibattuto il giudizio di nullità, ex artt. 457, co. 3, e 1418, co. 1, c.c., o ex art. 549 c.c., o di mera riducibilità della disposizione lesiva del riservatario escluso, soluzione, quest’ultima, che appare certamente più convincente, pur in difetto di una disposizione di carattere attributivo, normalmente tipica dell’azione di riduzione: cfr. Bigliazzi Geri, L., A proposito di diseredazione, in Corr. giur., 1994, 1503; Miriello, F., In margine alla clausola di diseredazione; la tematica della c.d. volontà meramente negativa, in Riv. not., 1981, 746; Mengoni, L., Successioni per causa di morte. Successione necessaria, in Tratt. Cicu-Messineo- Mengoni, Milano, 2000, 94; Bin, M., La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, cit., 258.
13 Cfr. De Cupis, A., Successione testamentaria, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 1378.
14 Altro limite sovraordinato alla stessa facoltà di diseredazione è, peraltro, rappresentato dalla devoluzione allo Stato in veste di successore legittimo, ai sensi dell’art 586 c.c., vicenda che delinea un acquisto ipso iure nell’adempimento di dovere d’interesse generale: si veda Pfinster, G., La clausola di diseredazione, in Riv. not., 2000, 4, 913 ss.
15 Si veda Trabucchi, A., L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, in Riv. dir. civ., 1970, I, 39.
16 In argomento, già De Cupis, A., Il principio di conservazione nell’interpretazione dei testamenti, in Dir. giur., 1947, 81 ss. Secondo L. Ferri, Successioni in generale, cit., 70, peraltro, se il testatore rinunzi a dare una direzione alla delazione, egli non può impedire che questa sia data dalla legge, non dovendosi assicurare alcuna efficacia ad una volontà testamentaria con cui semplicemente si escluda l’applicazione delle norme sulle successioni legittime o si pretenda di modificarne il contenuto.
17 Per un recente approfondimento sulla funzione e sui limiti della cosiddetta “autonomia ereditaria”, Natale, A., In tema di autonomia privata nel diritto ereditario, in Fam. Pers. e succ., 2011, 645 ss.
18 Così Stolfi, G., Il negozio giuridico è un atto di volontà, in Giur. it., 1948, IV, 41 ss.
19 Bigliazzi Geri, L., Il testamento, cit., 276.
20 Si veda in proposito Bin, M., La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, cit., in particolare 190 e 214.