testi narrativi
Il testo narrativo è uno dei tipi fondamentali di testo riconosciuti dalle tipologie testuali (➔ testo, tipi di). Può essere definito come il risultato di un macroatto (➔ pragmatica) di narrazione, che consiste nel costruire il corrispondente linguistico di un evento (processo o azione) o di una serie di eventi tra loro collegati, la cui conoscenza si vuole trasmettere a un destinatario. Un esempio di testo narrativo è il seguente apologo di Italo Calvino:
(1) Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno d’un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. «Ho bisogno di altri cinque anni» disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto (Italo Calvino, Lezioni americane, Torino, Einaudi, 1988, p. 53)
Nella sua brevità, questo è un testo narrativo completo. In esso le proposizioni espresse dai singoli enunciati si riferiscono quasi interamente ad azioni, disposte secondo un ordine di progressione cronologica e accomunate dal fatto di condividere un certo numero di attanti: Chuang-Tzu, il re, il disegno.
Narrare è una delle attività fondamentali dell’uomo, centrale per l’elaborazione dell’esperienza e per la costruzione dell’identità tanto individuale che collettiva (Gülich 2000; Simone 2009). Generi testuali intrinsecamente narrativi sono la fiaba, la novella, il poema epico, il romanzo, l’articolo di cronaca, la memoria giudiziaria, l’aneddoto, il resoconto orale di un’esperienza vissuta, ecc. Brani di narrazione si possono inoltre trovare entro testi la cui funzione globale non è narrativa, ma argomentativa o espositiva: è appunto il caso di (1), originariamente inserito in un testo saggistico, globalmente di tipo espositivo-argomentativo.
L’es. (1) permette inoltre di illustrare alcune ulteriori caratteristiche dei testi narrativi. In primo luogo, non tutte le proposizioni incluse in (1) si riferiscono a eventi. L’enunciato con cui si apre il testo informa, ad es., di alcune caratteristiche di Chuang-Tzu, mentre quello con cui il testo si chiude fornisce informazioni sul disegno da lui realizzato: si tratta di due enunciati descrittivi. Il testo narrativo può cioè includere (e anzi tipicamente include) anche sequenze non narrative, di tipo descrittivo, esplicativo, argomentativo: tali sequenze, che nei testi più elaborati possono raggiungere anche una notevole estensione, sono tuttavia funzionalmente subordinate al resoconto di eventi, che costituisce lo specifico del testo narrativo (van Dijk 1976).
Ad es., in (1) il primo enunciato suggerisce una motivazione per la richiesta del re che dà l’avvio al racconto; l’ultimo permette invece di inferire il successo dell’insieme di azioni che costituiscono il comportamento di Chuang-Tzu. Questa dominanza funzionale dei resoconti di eventi costituisce il criterio che permette di riconoscere un testo narrativo anche laddove vi sia mescolanza di sequenze di tipo diverso.
Un caso diverso di proposizione inclusa in (1) e non propriamente riferibile a un evento è poi dato dall’inserto in discorso diretto «Ho bisogno di altri cinque anni»: un atto di richiesta a carico di Chuang-Tzu che viene direttamente riprodotto nel testo. Quando infatti un evento del mondo narrato coincide con una azione linguistica, questa può essere descritta al pari di altre azioni, attraverso l’uso di un verbo appropriato (così, ad es., in «Il re gli chiese il disegno d’un granchio»), oppure può essere appunto riprodotta, entrando nel testo per via di citazione (➔ discorso diretto): le azioni linguistiche sono le uniche che hanno la proprietà di poter essere direttamente riprodotte all’interno di un testo.
Con una coppia di termini desunti dalla Poetica di Aristotele, ci si riferisce alla prima modalità con il termine di «diegesi» e alla seconda con il termine di «mimesi». L’alternanza di diegesi e mimesi costituisce una delle caratteristiche strutturali del testo narrativo, tanto d’uso funzionale quanto letterario (Segre 1985: 264-265).
Il testo (1) esemplifica infine un altro tratto fondamentale del testo narrativo, che segna un discrimine rispetto ad altri tipi di testo, soprattutto a quello descrittivo (➔ testi descrittivi), ovvero la centralità del tempo come criterio di organizzazione del contenuto e principio strutturante del testo (➔ temporalità, espressione della). Questa temporalità inerente la narrazione si manifesta a due livelli.
(a) Gli eventi cui si riferisce la narrazione hanno necessariamente una durata temporale, e sono tra loro (tutti o in parte) in un rapporto di successione; il mondo narrato si modifica quindi con l’avanzare della narrazione. Nel testo (1), le successive predicazioni si riferiscono a eventi ciascuno dei quali introduce un cambiamento nel mondo narrato; tali predicazioni, inoltre, sono vere ciascuna in un tempo diverso, non simultaneamente come accade di norma nella descrizione.
(b) Il testo narrativo è composto di una sequenza di enunciati, la cui produzione e ricezione occupa a sua volta una durata temporale. Esiste dunque una fondamentale analogia tra il testo e la sequenza degli eventi da esso riferiti: entrambi condividono la proprietà di essere ordinati linearmente, ed entrambi sono temporalizzati. Le diverse combinazioni possibili tra le due temporalità, quella del mondo narrato e quella della narrazione, produce conseguenze importanti sulla struttura del testo narrativo (cfr. § 3). Inoltre, mentre in un testo descrittivo l’ordine con cui vengono introdotte le singole predicazioni non incide sulla ricostruzione dell’oggetto descritto, le due sequenze narrative seguenti (da Manzotti 2009):
(2)
a. Le lanciò uno sguardo. Aprì la porta
b. Aprì la porta. Le lanciò uno sguardo
corrispondono, in assenza di segnali espliciti di anteriorità o posteriorità, a situazioni diverse.
Come detto, la narrazione si riferisce a un insieme di eventi tra loro collegati. Tali eventi si svolgono in precise circostanze spazio-temporali e coinvolgono un certo numero di partecipanti, animati o inanimati, dotati di varie proprietà: al complesso di questi elementi cui fa riferimento il testo narrativo diamo il nome di «mondo narrato».
L’atto di narrare comporta quindi essenzialmente che vengano introdotti nel testo:
(a) gli eventi oggetto di narrazione;
(b) i partecipanti coinvolti in tali eventi (attanti);
(c) le circostanze temporali e situazionali di tali eventi.
Si prenda, ad es., il seguente brano di narrazione storica orale, tratta da un documentario televisivo:
(3) // era la fine dell’ottobre / millenovecentodiciassette / e Rommel / volle raggiungere Longarone / fulcro del sistema difensivo italiano // bisognava salire su un ponte // tra i suoi soldati e la città / c’era il Piave // una fragorosa esplosione / lo fece saltare // Rommel / ordinò allora / al plotone mitraglieri / di scendere lungo il fiume / a valle // a Longarone / c’erano diecimila Italiani / e Rommel aveva solo venticinque uomini // si dovette ritirare // seguirono altri combattimenti / che alla fine / lo videro vittorioso // un mese più tardi / fu insignito della decorazione / tanto desiderata // (Rommel, in C-ORAL-ROM. Integrated Reference Corpora for Spoken Romance Languages, a cura di E. Cresti & M. Moneglia, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins, 2005)
In (3), esprimono eventi gli enunciati «Rommel / volle raggiungere Longarone»; «una fragorosa esplosione / lo fece saltare»; «Rommel / ordinò allora / al plotone mitraglieri / di scendere lungo il fiume»; «si dovette ritirare», ecc. Gli attanti coinvolti possono essere introdotti insieme all’evento in cui sono coinvolti (ad es.: «Rommel / ordinò allora / al plotone mitraglieri / di scendere lungo il fiume»), oppure per mezzo di enunciati presentativi ad hoc (ad es.: «tra i suoi soldati e la città / c’era il Piave»); lo stesso vale per le circostanze temporali e situazionali degli eventi, come si può vedere dai due enunciati «un mese più tardi / fu insignito della decorazione», e «era la fine dell’ottobre / millenovecentodiciassette».
La sequenza di eventi narrati può essere reale, cioè appartenente al mondo di cui sia il parlante che il destinatario hanno esperienza (ad es., nella cronaca) oppure fittiva (ad es., nei generi letterari d’invenzione). Questa distinzione può avere anche ricadute di tipo strutturale: tra le più rilevanti, vi è il fatto che nelle narrazioni del secondo tipo la dimensione fittiva può coinvolgere il narratore stesso, che può assumere una identità autonoma rispetto a chi produce fisicamente il testo (autore). Ad es., nel romanzo L’isola di Arturo di Elsa Morante il narratore che racconta gli eventi in prima persona è un ragazzo, con una identità dunque espressamente distinta da quella dell’autrice.
In base a quanto detto, il narratore è dunque libero di muoversi essenzialmente a quattro livelli:
(a) maggiore o minore «distanza» (Genette 1972) dal mondo narrato;
(b) selezione degli eventi coi relativi attanti, e delle circostanze temporali e situazionali da verbalizzare;
(c) ordine della loro introduzione nel testo;
(d) struttura linguistica degli enunciati.
Dalle scelte compiute a ciascuno di questi livelli dipende l’assetto finale del testo, che comprende quindi un ventaglio molto ampio di possibili realizzazioni.
Le caratteristiche strutturali dei testi narrativi sono state studiate nell’ambito degli studi sulla narrazione letteraria detti narratologici (per una sintesi cfr. Segre 1985). I concetti della narratologia hanno però una validità generale che va oltre il testo letterario, nella misura in cui si legano a costanti strutturali della narrazione tout court. Alcuni di questi concetti descrittivi saranno presi in considerazione di seguito, riprendendo nell’ordine i punti elencati al termine del paragrafo precedente.
Innanzitutto, una serie di eventi può essere verbalizzata in modo più o meno compendiario: è possibile, ad es., riferirsi alla sequenza degli eventi politici verificatisi in Germania nel biennio 1933-1934 attraverso il semplice enunciato «Hitler prese il potere», oppure attraverso una dettagliata trattazione storica. Genette (1972) definisce con una metafora ottica «distanza» questo parametro di regolazione dell’informazione testuale.
In secondo luogo, il narratore può omettere i riferimenti a uno o più elementi di una sequenza di eventi, creando un vuoto avvertibile nella ricezione del testo. Si veda, ad es., (4):
(4) – No! non ne va in volta femmina buona nell’ora fra vespero e nona! – singhiozzava Nanni, ricacciando la faccia contro l’erba secca del fossato, in fondo in fondo, colle unghie nei capelli. – Andatevene! andatevene! non ci venite più nell’aia!
Ella se ne andava infatti, la Lupa, riannodando le trecce superbe, guardando fisso dinanzi ai suoi passi nelle stoppie calde, cogli occhi neri come il carbone (Giovanni Verga, La lupa, in Id., Opere, a cura di L. Russo, Milano - Napoli, Ricciardi, 1955, p. 126)
Nel passaggio tra i due capoversi cade una unità narrativa fondamentale per il racconto (il rapporto amoroso tra i due personaggi): la caduta non è immediatamente evidente, ma il lettore è chiamato ad accorgersene e a ricostruire l’unità elisa per inferenza, a partire da vari segnali tra cui soprattutto la semantica di riannodare. Lo stesso meccanismo si trova applicato, al di fuori di ogni intenzione letteraria, in (3), dove tra gli enunciati «Rommel ordinò al plotone mitraglieri di scendere lungo il fiume» e «si dovette ritirare» cadono una serie di eventi, tra cui almeno l’esecuzione dell’ordine da parte del plotone e un combattimento più o meno prolungato tra italiani e tedeschi: eventi che l’ascoltatore è costretto a integrare nel contenuto testuale perché sia garantita la pertinenza del secondo enunciato. Si parla in questo caso di ‘ellissi’ narrativa, che come illustrano i due esempi appena discussi è un procedimento aperto a sottili sfruttamenti letterari, ma che appartiene di per sé alla normalità della narrazione: l’atto di narrare comporta, infatti, sempre una selezione rispetto alla continuità degli eventi e alla complessità del mondo narrato (van Dijk 1976: 326 seg.).
Le scelte del narratore quanto a distanza ed ellissi determinano anche un’altra grandezza comunemente usata negli studi sul testo narrativo e definita velocità da Genette (1972). Nella definizione di Genette la velocità è data da un rapporto tra il «tempo della storia», ossia il tempo degli avvenimenti nel mondo narrato, e il «tempo del racconto», ossia il tempo effettivo di lettura o comunque di esecuzione della sequenza narrativa all’interno del testo (cfr. § 1).
Un racconto come (1), che compendia in poche righe avvenimenti che nel mondo narrato si distendono su dieci anni è dunque in questo senso molto veloce (Genette parla di «sommario»); al contrario, un resoconto in cui un evento di breve durata è verbalizzato in modo molto analitico occupando un’ampia porzione di testo costituisce un racconto molto lento; al limite, negli inserti descrittivi, tipicamente atemporali, la velocità del racconto è nulla (Genette parla di «pausa»). Un rapporto 1:1 si ha nelle parti mimetiche del testo, ossia negli inserti di discorso diretto, dove il tempo impiegato per la lettura del testo coincide effettivamente con quello dell’enunciazione nel mondo narrato (Genette parla di «scena»).
In terzo luogo il narratore è chiamato a scegliere un ordine con cui introdurre nel testo gli eventi del mondo narrato. La soluzione non marcata in questo senso è quella di rispecchiare nell’ordine lineare del testo l’ordine cronologico degli eventi nel mondo narrato, rispettando l’omologia descritta al § 1: è questa la soluzione più comune nella narrazione spontanea. È però anche possibile modificare tale ordine lineare, introducendo nel testo delle «anacronie» (Genette 1972). I due esempi seguenti di cronaca giornalistica mostrano rispettivamente un caso di posticipazione (analessi) e di anticipazione (prolessi) di un evento rispetto all’ordine in cui si verifica nel mondo narrato:
(5) Una signora torinese è rimasta ustionata dallo scoppio del suo cellulare. Era al mare, sulla sdraio, aveva appena inviato una foto per mms e stava appoggiando il cellulare sul tavolino quando la batteria dell’apparecchio è scoppiata. I vicini hanno pensato a un petardo. La donna è rimasta intontita per circa un’ora dallo scoppio e ha riportato ustioni alla mano, al seno sinistro e all’addome. Ora rischia cicatrici al corpo e al seno. La batteria, made in China, era stata comprata in un negozio di Torino. Il procuratore Raffaele Guariniello ha aperto un’inchiesta («Corriere della sera» 28 giugno 2009)
(6) Chiuso il primo set con un solo break a proprio favore, Federer ha ribattuto colpo su colpo con il servizio (alla fine vincerà la battaglia degli ace, 23 a 16), fino al tie break, nel quale ha avuto un primo minibreak, annullato prima di chiudere 7-5. Più farraginoso per l’elvetico il terzo set, nel quale ha dovuto salvare le uniche due palle break sul 4-4, prima di un nuovo 6 pari (http://www.repubblica.it, 29 giugno 2009)
Infine, al narratore può porsi il problema di dover narrare eventi simultanei. È chiamato in questo caso a isolare dalla simultaneità del mondo narrato serie distinte di eventi e a narrare separatamente ciascuna di esse, accompagnandole con un sistema di riferimenti che permetta di ricostruire le relazioni temporali sussistenti nel mondo narrato. Questo tipo di operazione, imposta dalla natura lineare del testo, può raggiungere nella narrativa letteraria livelli altissimi di virtuosismo, riscontrabili ad es. in generi testuali come il romanzo e il poema cavalleresco (Praloran 2002).
La sequenza lineare degli eventi narrati, con le eventuali anacronie e il montaggio successivo delle sequenze narrative riferite a eventi simultanei, prende il nome di intreccio. L’oggetto teorico che si ottiene sciogliendo l’intreccio, ossia riordinando gli eventi in ordine logico-cronologico ed eliminando gli eventi non determinanti è detto fabula (Segre 1985: 269).
Gli eventi a cui si riferisce il testo narrativo possono essere azioni o processi: nel primo caso sono prodotti da un individuo (agente) che apporta intenzionalmente dei cambiamenti nel mondo in vista di uno scopo; nel secondo si verificano indipendentemente dalle intenzioni e dalla responsabilità di un agente. Il testo dell’es. (1), come si è visto, riguarda una sequenza di azioni, mentre il testo in (5) si riferisce a un processo non governato da intenzionalità.
Caratteristica comune delle azioni e dei processi è quella di coinvolgere un certo numero di partecipanti, animati o inanimati. Nei testi narrativi assumono particolare rilevanza i partecipanti animati, più in particolare umani o comunque antropomorfi: nei testi fittivi, soprattutto letterari, i partecipanti animati prendono il nome di personaggi, e protagonista o eroe è l’agente delle azioni principali che hanno luogo nel mondo narrato.
L’analisi di testi narrativi tanto spontanei che elaborati, tanto funzionali che letterari mostra che la selezione e l’organizzazione degli eventi narrati non sono aperte a un ventaglio inesauribile di possibilità, come ci si potrebbe aspettare, ma tendono a rispettare delle regolarità. Queste regolarità dipendono essenzialmente dai vincoli pragmatici cui è soggetta la narrazione in quanto forma di comunicazione (Adam 20052); esse indicano a ogni modo che esiste una competenza narrativa, un ‘saper fare’ che governa il macroatto di narrare e che si riflette nel prodotto di tale atto, ossia nel testo narrativo e nelle sue strutture. Tali regolarità possono essere reperite almeno a due livelli:
(a) a livello del sistema dei partecipanti agli eventi e della struttura degli eventi stessi oggetto di narrazione;
(b) a livello dei possibili raggruppamenti tra eventi narrati e relative circostanze accessorie, con le conseguenti scansioni in sequenze del testo narrativo.
Modelli di formalizzazione sono stati proposti per entrambi questi punti. Per il primo, si può citare lo studio pionieristico di Propp (1928), che a partire da un corpus di 100 fiabe ricava un repertorio di 31 tipi di azioni (detti funzioni) che si presentano variamente combinate nei testi. Altri modelli, con la pretesa di essere universali, ossia applicabili a ogni tipo di narrazione incluse quelle spontanee, sono stati proposti successivamente da Greimas (1966), Brémond (1973), van Dijk (1976).
A proposito del secondo punto, ovvero la possibilità di analizzare il testo in macrosequenze, si possono citare i modelli di Labov & Waletzky (1967; basato su un corpus di narrazioni spontanee raccolte nel corso di interviste), Brémond (1973), van Dijk (1976), Adam (20052). Quest’ultimo, ad es., prevede un’articolazione dei testi narrativi in cinque macrosequenze: situazione iniziale, complicazione, azione, risoluzione, situazione finale. Applicandola all’es. (1), si possono riconoscere le seguenti parti: il primo enunciato descrittivo (situazione iniziale); il secondo enunciato, con la richiesta del re (complicazione); la parte centrale, con le richieste di Chuang-Tzu e il rinvio della data di scadenza (azione); l’ultimo enunciato, con l’esecuzione del disegno (risoluzione); l’apposizione descrittiva che chiude il testo, in cui è qualificato il disegno (situazione finale).
Si può osservare, d’altra parte, che questo stesso modello sarebbe più difficilmente applicabile a (5), che pure è un esempio di testo narrativo completo. In generale, l’individuazione delle sequenze non poggia su regole generalizzabili, e soprattutto nei casi di testi complessi può risultare opinabile.
Pur nella varietà delle loro possibili manifestazioni, i testi narrativi si caratterizzano per il ricorrere di alcune strutture linguistiche basilari, soprattutto legate alla centralità che nella narrazione ha l’espressione del tempo (cfr. § 1).
In primo luogo va segnalato il frequente ricorso a indicatori espliciti di temporalità, soprattutto ➔ connettivi e complementi circostanziali di tempo. Questi marcatori servono:
(a) a fissare la relazione tra gli eventi in termini di anteriorità, posteriorità, contemporaneità (si tratta soprattutto di connettivi come più tardi, poi, in precedenza, nel frattempo);
(b) ad ancorare gli eventi al tempo interno al testo (con indicazioni circostanziali come dopo cinque anni, allo scadere dei cinque anni, un mese più tardi);
(c) ad ancorare gli eventi al tempo calendariale (ancora con indicazioni circostanziali del tipo il diciassette ottobre 2008).
Le ultime due funzioni possono anche essere assolte da ➔ deittici riferibili al momento dell’enunciazione, reale o fittivo (due anni fa, ieri pomeriggio). È comunque l’insieme di queste indicazioni a permettere di ricostruire, in combinazione con le conoscenze enciclopediche, il tempo del mondo narrato o «tempo della storia» (cfr. § 3).
Centrale per la strutturazione dei testi narrativi è poi la gestione dei tempi verbali (➔ tempi semplici; ➔ tempi composti). In generale, la narrazione tende a riguardare eventi già avvenuti, e dunque il tempo normale della narrazione è il passato. Sono tipicamente al passato anche le narrazioni di eventi fittivi privi di un ancoraggio temporale realistico (le fiabe, i miti) o espressamente collocati in un momento successivo a quello della produzione del testo (la fantascienza). Più precisamente, gli studi sui tempi verbali in prospettiva testuale (Benveniste 1966; Weinrich 1964) hanno mostrato che il paradigma temporale dell’italiano come quello di altre lingue affini è articolato in due sistemi distinti e complementari: del primo fanno parte il passato remoto, l’imperfetto, il trapassato prossimo e i condizionali; del secondo fanno parte il presente, il passato prossimo e il futuro.
Il primo sistema sarebbe specificamente destinato alla narrazione (Weinrich parla di tempi «narrativi», Benveniste di tempi «della storia»); il secondo sarebbe invece destinato all’uso della lingua per interagire e modificare le opinioni dell’interparlante (Weinrich parla di tempi «commentativi», Benveniste di tempi «del discorso»; ➔ temporalità, espressione della).
I tempi narrativi dominano infatti nei nostri esempi (1), (2), (3), (4), dove il passaggio ai tempi commentativi coincide con la comparsa degli inserti mimetici (i discorsi diretti), o con eventuali commenti del narratore. Tuttavia, va puntualizzato che l’ambito d’uso dei tempi narrativi nel senso di Weinrich non copre in modo esaustivo l’ambito della narrazione: non tutti i testi narrativi usano (in prevalenza) tempi narrativi. Nelle narrazioni spontanee, soprattutto orali, così come nella cronaca (cfr. gli esempi 5-6) prevalgono al contrario le narrazioni al passato prossimo, che è un tempo commentativo; e sono inoltre possibili narrazioni al presente, come in (7):
(7) Il signor Palomar cammina lungo una spiaggia solitaria. Incontra rari bagnanti. Una giovane donna è distesa sull’arena prendendo il sole a seno nudo. Palomar, uomo discreto, volge lo sguardo all’orizzonte marino (Italo Calvino, Palomar, Torino, Einaudi, 1983, p. 11)
o tipicamente nella barzelletta (➔ barzellette); e si possono anche avere, in casi particolari quali, ad es., le profezie, narrazioni al futuro. All’interno dei testi narrativi, dunque, sono ammessi sia tempi cosiddetti commentativi sia tempi cosiddetti narrativi: la scelta tra i due sistemi dipenderà essenzialmente dalla funzione complessiva del macroatto di narrare.
Un’altra opposizione che concorre a definire la strutturazione dei tempi verbali all’interno del testo è quella che oppone lo sfondo al primo piano della narrazione (Weinrich 1964 parla in questo caso di «rilievo narrativo»). Questa opposizione determina, ad es., la distribuzione in (8) dei tempi verbali all’imperfetto e al passato remoto:
(8) Altri passavano su carretti, o a cavallo; altri ancora, in motocicletta, a stormi, ebbri di velocità, con fragore infernale. Passavano autocarri Dodge di fabbricazione americana, gremiti di uomini fin sul cofano e sui parafanghi; alcuni trascinavano un rimorchio altrettanto gremito. Vedemmo uno di questi rimorchi viaggiare su tre ruote: al posto della quarta era stato assicurato alla meglio un pino, in posizione obliqua, in modo che una estremità appoggiasse sul suolo strisciandovi. A mano a mano che questa si consumava per l’attrito, il tronco veniva spinto più in basso, così da mantenere il veicolo in equilibrio. Quasi davanti alla Casa Rossa, una delle tre gomme superstiti si afflosciò; gli occupanti, una ventina, scesero, ribaltarono il rimorchio fuori di strada, e si cacciarono a loro volta sull’autocarro già zeppo, che ripartì in un nugolo di polvere mentre tutti gridavano «Hurrà» (Primo Levi, La tregua, Torino, Einaudi, 1963, pp. 187 segg.)
Per le sue proprietà aspettuali, l’➔imperfetto si presta in (8) a rappresentare gli eventi nel loro svolgersi o nel loro indefinito iterarsi, oppure a esprimere proprietà permanenti dei referenti coinvolti nella narrazione: per questo l’imperfetto è il tempo delle descrizioni e degli eventi in parte o in tutto sovrapposti che formano il contesto degli eventi principali su cui specificamente verte la narrazione. Questi ultimi sono invece resi al ➔ passato remoto, ovvero un tempo che per le sue proprietà aspettuali si presta a presentare gli eventi singolarmente e in successione, delimitandone esattamente i contorni.
L’opposizione tra sfondo e primo piano tende a interessare particolarmente alcune zone sensibili del testo narrativo, come l’inizio e la fine (Weinrich 1964); essa esiste anche nel sistema dei tempi commentativi (imperfetto - passato prossimo), mentre si neutralizza nelle narrazioni al presente e al futuro.
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