Testo unico sulla rappresentanza
Il contributo analizza il contenuto del Testo unico sulla Rappresentanza nella prospettiva di un possibile intervento legislativo sulla rappresentanza sindacale, ventilato dal governo. Tale testo è frutto di un accordo del 10.1.2014 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL e copre soltanto il settore industriale. Dopo aver focalizzato le novità dell’accordo, la struttura regolativa e i punti di criticità applicativa – derivanti dalla sua natura “volontaria” ed emergenti dalla prima prassi applicativa – il contributo intende “proiettare” il t.u. su un orizzonte di possibile recepimento legislativo; tale esercizio consente dimettere a fuoco e isolare, al di là delle grandi questioni teoriche e giuridiche (vincoli derivanti dall’art. 39 Cost., diverse concezioni – e ideologie – della democrazia e della rappresentanza sindacale), i reali punti problematici di un intervento eteronomo, in Italia, su rappresentanza, rappresentatività ed efficacia dei contratti collettivi.
Il Testo Unico sulla rappresentanza sindacale (di seguito t.u.) è il primo storico e organico tentativo delle grandi Confederazioni di darsi un apparato di regole ordinamentali mirato a trasformare le relazioni intersindacali da conflittuali, e distruttive, in razionalmente competitive se non cooperative.
Laddove non ha potuto la razionalità cooperativa, ha potuto “la paura del baratro”; vale a dire la prospettiva, resa concreta dalla stagione degli accordi separati1, di una implosione del sistema sindacale e di uno sbriciolamento del sistema contrattuale italiano, in larga misura basato sul principio del mutuo riconoscimento2. Lo scenario “distruttivo”, mai realistico come nel “terribile triennio” (2009-2011), era di una probabile caduta, repentina e inarrestabile, del peso rappresentativo e politico delle grandi Confederazioni (il rischio di avvicinarsi al modello francese, caratterizzato da sindacati deboli e divisi ideologicamente, incombeva pericolosamente). In tal senso il t.u. costituisce, sicuramente, un elemento in controtendenza rispetto alla crisi che l’universo sindacale, comunque, attraversa3.
Se simbolicamente il t.u. rappresenta la rinuncia, anche di medio periodo, a ogni progetto (utopia?) di unità sindacale organica4, esso segna, invero, sul piano dell’ordinamento intersindacale, l’approdo a un maturo progetto di governo del pluralismo intersindacale attraverso regole. L’ordinamento intersindacale si depura dai residui fattuali (i fatti normativi) ed entra a pieno titolo nel mondo più complesso,ma anche più certo e stabile, delle regole procedurali. Questo sul piano della strategia e della politica sindacale.
Sul piano giuridico ordinamentale, il t.u. rappresenta la presa d’atto di due acquisizioni, una politica e una teorica, che hanno stentato ad affermarsi, negli anni, tra i gruppi dirigenti dei sindacati italiani, ma anche nella dottrina giuslavoristica di supporto; acquisizioni che vengono ora formalmente riconosciute e sigillate da un accordo che ha come caratteristica saliente di essere basato su procedure condivise.
In primo luogo, la fine di quel che Massimo D’Antona aveva indicato come espressione saliente dell’opportunismo metodologico5: la sublimazione delle regole di governo del pluralismo, ma anche della democrazia e della rappresentatività sindacale in una prassi mutevole, storicamente instabile e discontinua.
La concezione giusta la quale, affinché l’ordinamento intersindacale funzioni, sia sufficiente una prassi politica autoreferenziale (il reciproco riconoscimento degli attori).
In secondo luogo, il t.u. suggella l’acquisizione teorica, di altrettanto notevole portata, secondo cui rappresentanza, rappresentatività ed efficacia (rectius, nell’ordinamento sindacale, esigibilità) degli accordi, costituiscono un processo circolare in cui tutti gli elementi si richiamano reciprocamente e l’uno si integra con l’altro6, costituendo, ad un tempo, causa ed effetto l’uno dell’altro.
Il t.u. è definito tale perché incorpora tre testi antecedenti integrandoli, sistematizzandoli e, in qualche limitata misura, innovandoli: l’Accordo interconfederale del 28.6.2011, il Protocollo di intesa sulla rappresentanza del 31.5.2013 e l’Accordo interconfederale del 20.12.1993 su elezioni e funzionamento delle RSU; in tal senso, con riferimento ai t.u. normativi, esso appartiene al modello innovativo piuttosto che di mera compilazione.
Il t.u. si compone di quattro parti; in ciascuna di esse, le parti sociali, lungi dal limitarsi a recepire e cristallizzare quanto previsto dai tre accordi precedenti, hanno introdotto, oltre a una complessiva razionalizzazione della precedente disciplina in tema di contrattazione e rappresentanza, significativi elementi di novità sostanziale.
I) Con riferimento alla prima parte «Misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria», infatti, il t.u. – con la predisposizione di previsioni in materia di misurazione e certificazione della rappresentatività e con il rinvio a successivi regolamenti di attuazione per alcuni profili di dettaglio – “riempie di contenuti” i riferimenti ai requisiti di rappresentatività minima, o soglia, per l’accesso alle trattative per i rinnovi dei contratti collettivi nazionali di categoria formulati dall’Accordo interconfederale del 28.6.2011 e dal Protocollo del 31.5.2013.
La misurazione e la certificazione della rappresentanza (rectius, della rappresentatività sindacale) riguarda, in ragione dell’ambito di applicazione, solo i settori coperti: industria per le imprese rappresentate da Confindustria, con esclusione dunque di importanti settori privati quali il commercio, il credito, i servizi ed altri; ma anche di grandi imprese che hanno di recente optato, uscendo da Confindustria, per un contratto di primo livello, di ambito nazionale ma di impresa (per esempio Fiat), ovvero che da sempre hanno regolato i rapporti di lavoro con un contratto nazionale non di settore ma di corporation (per esempio, il contratto RAI, Rai Cinema, Rai Net, Rai Trade-S.p.a).
Già questo dato consente di rilevare che il t.u., pur coprendo un ambito settoriale ampio, tuttavia non ricomprende importanti settori produttivi ed imprese strategiche nel complessivo assetto delle relazioni industriali in Italia e ciò oggettivamente pone il problema della sua estensione attraverso accordi di ricezione, ovvero della sua generalizzazione attraverso la legge. Ciò per quanto riguarda l’ambito di applicazione del’accordo.
Per quanto riguarda la misurazione della rappresentatività, il meccanismo della rilevazione del numero di deleghe e di voti, che coinvolge INPS e CNEL mediante convenzioni, serve a determinare la rappresentatività cd. soglia o minima (5% di media dei due fattori di misurazione). Il criterio è corretto con riguardo alle situazioni in cui sono costituite RSA e non RSU, ovvero non sia presente alcuna forma di rappresentanza: in tal caso le deleghe sono contate due volte, una volta come deleghe per la media voti, e una seconda volta al posto dei voti, laddove, appunto, non si vota7.
La misurazione della rappresentatività produce tre effetti:
a) serve alla legittimazione a negoziare: chi raggiunge la soglia del 5% non può essere escluso dal tavolo negoziale8;
b) serve a identificare i sindacati a cui afferiscono le rappresentanze ex art. 19 st. lav., con attribuzione dei diritti di cui al titolo III; criterio corretto, in ossequio alla sentenza della Corte n. 231/2013, con l’aggiunta del requisito della partecipazione alla negoziazione attraverso la definizione della piattaforma e l’inserimento nella delegazione trattante9;
c) serve a determinare la maggioranza del 50%+1 per la sottoscrizione del contratto collettivo nazionale e per la misurazione delle maggioranze relative alla piattaforme di rinnovo.
II) Nella parte seconda «Regolamentazione delle rappresentanze in azienda», le clausole del t.u. provvedono a una razionalizzazione delle regole sulla rappresentanza sindacale in azienda – riprendendo abbastanza puntualmente, per la maggioranza dei profili, le clausole dell’Accordo Interconfederale 20.12.1993 e del Protocollo d’Intesa del 31.5.2013 – ed anche all’introduzione di una nuova sezione contenente regole generali sulle forme di rappresentanza in azienda.
L’elemento di maggiore novità di questa parte riguarda la soppressione formale della clausola del terzo riservato (punto 2: composizione)10 – all’epoca molto criticata – che viene eliminata in ragione della logica “inclusiva e paritaria” che supporta il t.u. Altra innovazione riguarda l’inserimento di una norma di generico auspicio di una adeguata rappresentanza di genere nella composizione degli organismi di rappresentanza.
Il plurale della rubrica (rappresentanze in azienda) si giustifica perché il t.u. non si occupa soltanto della regolamentazione delle RSU (alle cui modalità di costituzione, elezione e funzionamento sono dedicate due corpose sezioni della parte seconda: la II e la III),ma anche di RSA e dei rapporti tra RSA e RSU. In talmodo si codifica il doppio canale (virtuale) di rappresentanza all’italiana:
a) la RSU, che rappresenta l’insieme dei lavoratori, in virtù della legittimazione elettorale derivante dalla competizione intersindacale;
b) la RSA, terminale in azienda del sindacato territoriale più che dei lavoratori, di diretta nomina sindacale e senza alcuna connessione con l’effettiva (in termini numerici) rappresentatività. Ma le due forme non possono convivere, onde la virtualità del doppio canale.
Il t.u. favorisce, infatti, la forma RSU soprattutto ribadendo il principio della rinuncia alla RSA nel caso di sua costituzione11. Ma molte disposizioni danno comunque per scontata la possibilità che, vuoi per resistenze al processo unitario in azienda, vuoi per specificità aziendali, locali o settoriali ovvero altro, si preferisca la RSA alla RSU. In altri termini, la RSU come forma comune e prototipica di rappresentanza aziendale è incentivata, ma non certamente imposta.
Considerate anche le ricadute regolative, in termini di maggiore complessità del doppio canale, con riguardo ai meccanismi di ripartizione dei diritti (permessi e indizione dell’assemblea retribuita), la scelta appare fin troppo timida. In tal senso si è persa una occasione per razionalizzare il sistema di rappresentanza in azienda, almeno sul versante sindacale.
III) La terza parte «Titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale » si occupa della sistematizzazione dei contenuti regolativi – che vengono quasi integralmente riproposti – dell’Accordo del 28.6.2011 e di quello del 31.5.2013 in ordine alle procedure di stipulazione e all’efficacia dei contratti collettivi (nazionali e aziendali).
Per efficacia della contrattazione collettiva si intende tecnicamente la legittimazione negoziale (v. supra) e l’efficacia soggettiva del contratto, ma nell’ottica tipica dell’ordinamento intersindacale e non ovviamente statuale: la legittimazione negoziale delle OO.SS. che superano una certa soglia di rappresentatività, per come regolata nella prima parte, si trasforma in un diritto delle stesse e in un correlativo obbligo datoriale. Tutto ciò, ovviamente, sul piano dei reciproci rapporti negoziali: la violazione della regola in questione darebbe luogo a un inadempimento contrattuale, sicuramente azionabile a tale titolo,ma non alla violazione di un diritto a base legale, rimediabile con gli strumenti che l’ordinamento statuale predispone per la violazione di legge. La stessa efficacia vincolante degli accordi va intesa come obbligazione associativa (responsabilità endoassociativa di natura disciplinare) e non va oltre il perimetro degli iscritti: non ha intrinseca e oggettiva portata vincolante (l’effetto erga omnes), non è, e non potrebbe mai essere, espressione di un potere pubblico coattivo attribuito dallo stato a soggetti privati.
IV) Nella parte quarta «Disposizioni relative alle clausole ed alle procedure di raffreddamento ed alle clausole sulle conseguenze degli inadempimenti» si approfondiscono – rispetto a quanto regolato già nella terza parte del Protocollo del 31.5.2013 – i temi dell’effettività e dell’esigibilità dei contratti collettivi sottoscritti secondo le regole intersindacali unitarie, con un rinvio alla contrattazione collettiva di categoria in ordine alla definizione concreta delle clausole di raffreddamento e delle conseguenze sanzionatorie per comportamenti che impediscano la esigibilità delle intese contrattuali, ma anche con la previsione, in via esemplificativa, delle sanzioni che potranno essere introdotte dai CCNL. Alcune delle disposizioni più innovative del t.u., ad ogni modo, sono contenute nell’ultima sezione Clausole transitorie e finali; con questa parte dell’accordo, infatti, si introducono regole volte a garantire l’esigibilità dei contratti nazionali, con la previsione – nelle more della definizione, ad opera dei CCNL, di regole di dettaglio inmateria sanzionatoria – della sottoposizione di «eventuali comportamenti non conformi agli accordi» ad «una procedura arbitrale da svolgersi a livello confederale».
Pur occupandosi di rappresentatività sindacale, secondo lo schema della rappresentatività misurata (non induttiva o politico istituzionale), il t.u. reca il titolo «sulla rappresentanza» e non, come ci si poteva anche aspettare, «sulla rappresentatività sindacale».
Non si tratta di insipienza tecnica o del risultato del filtraggio semantico degli stessi concetti attraverso apparati ordinamentali diversi (l’ordinamento intersindacale e l’ordinamento statuale). Probabilmente si tratta di una scelta avveduta perché ambiziosa. Il t.u. prefigura, infatti, un modulo di rappresentanza tecnica basato sulla rappresentatività misurata (mix di deleghe e dati elettorali, mutuando il modello del pubblico impiego), onde si regola la rappresentanza attraverso la misurazione della capacità rappresentativa degli agenti negoziali.
Semanticamente, rispetto allo stile di accordi di altre stagioni sindacali, la prosa del t.u. non lascia spazio alcuno all’enfasi dei fini valoriali, dei macro obiettivi, delle politiche palingenetiche; ma è secca, positivamente arida e sufficientemente chiara, nella organizzazione linguistica di dispositivi tecnico- procedurali a volte oggettivamente complessi. Se un modello storico/comparato dovesse essere richiamato, la mente corre ai TUC’s Bridlington principles dei sindacati inglesi predisposti anch’essi al governo dell’inter-union competition12.
Il t.u. ha pretesa di essere un sistema di regole inclusivo, una sorta di “offerta al pubblico” per tutte le organizzazioni che non l’hanno sottoscritto ma intendono aderirvi, pertanto un sistema “aperto” e non “chiuso”. Come tale apertura sia stata realizzata è già stato oggetto di critiche13.
In estrema sintesi i requisiti di ammissibilità al sistema sono di tipo oggettivo e di tipo condizionale. Per ammissibilità al sistema si intende, innanzitutto, possibilità di partecipare al procedimento di elezione delle RSU, i cui risultati costituiscono una delle due “gambe” di misurazione della rappresentatività e, dunque, di possibile conquista sul campo della legittimazione negoziale (diritto a negoziare);ma l’ammissione al sistema e al procedimento elettorale costituisce anche la porta di accesso diretta ai diritti ex titolo III st. lav. (se si partecipa alle elezioni delle RSU e si ottiene almeno un seggio, non occorre dimostrare la partecipazione alle trattative perché la RSU è organo per definizione trattante).
I requisiti oggettivi sono:
a) possedere lo status di organizzazione sindacale di categoria che, pur non avendo sottoscritto il t.u., sia sottoscrittrice di un CCNL applicato all’unità produttiva nella quale si tengono le elezioni;
b) in mancanza del precedente requisito, essere in possesso di una “soggettività giuridica minima” (associazioni sindacali costituite con atto costitutivo e statuto).
A tale ultimo requisito si aggiungono però altri criteri “condizionali”, in particolare:
i) l’accettazione espressa, formale e integrale (senza riserve?) dei contenuti del t.u. e degli accordi precedenti in esso confluiti;
ii) la presentazione di liste con necessario corredo di firme (5% dei lavoratori aventi diritto nelle aziende con oltre 60 dipendenti, con almeno tre firme nelle aziende di dimensioni comprese tra 16 e 59 dipendenti).
Le vie di accesso al sistema di rappresentanza negoziale interconfederale e, attraverso questo viatico, al sistema dei diritti promozionali, sono pertanto abbastanza ampie, ma al contempo corredate da filtri “razionalizzatori” (non può dirsi che il sistema sia predisposto a una vera e propria “concentrazione” della rappresentanza).
Poiché il sistema, nel suo complesso, fa perno sul principio di maggioranza, declinato in varie regole e su soglie minime di accesso, appare evidente che i sindacati polvere (forti nella declamazione oppositoria, ma deboli nei numeri), ovvero sindacati ad ambito ristretto di rappresentanza (di ristretti gruppi professionali), potrebbero trovare difficoltà di inclusione. Per questi sindacati e per quelli che, comunque, rifiutino per principio di sottoporsi alle regole confederali (i sindacati che puntano tutto sulla libertà e non sono disposti ad autolimitarla in funzione di regole di democrazia procedurale) rimangono intatte le risorse del principio di libertà sindacale per come declinata contenutisticamente nei significati impliciti dell’art. 39, co. 1, Cost. e dell’art. 14 st. lav.14.
3.1 Prime applicazioni giurisprudenziali
Sotto il profilo della dialettica inclusività/esclusività, il t.u. è stato già oggetto di interessanti pronunce giurisprudenziali, allo stato, per quel che consta, inedite. Si fa riferimento a due ordinanze ex art. 700 c.p.c., conseguenti a decreti di sospensione inaudita altera parte delle procedure di elezione di RSU, a seguito di richieste avanzate da sindacati non firmatari del t.u. ed esclusi dalla partecipazione alle elezioni delle RSU.
Nel caso sottoposto al Tribunale di Ivrea15, la Confederazione dei Cobas aveva condizionato l’accettazione integrale delle regole del t.u. alla riserva giusta la quale «la presente adesione non costituisce rinuncia al diritto di agire in giudizio, avanti l’autorità giudiziaria ordinaria, per far accertare eventuali vizi di nullità, per contrarietà a norme di legge o di rango Costituzionali, delle disposizioni e previsioni contenute nell’Accordo Interconfederale». Tale riserva espressa, contenuta nell’atto di adesione, aveva determinato la Commissione elettorale (interconfederale) a escludere il sindacato istante. “Non puoi aderire ad un sistema e, al contempo, riservarti di contestarlo giudizialmente”, questa sostanzialmente la difesa dei confederali.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto ammissibile l’istanza di inclusione al sistema confederale avanzata dal sindacato di base ed ha avuto buon gioco nell’affermare il valore di mera clausola di stile della riserva oggetto di controversia16, come tale, insuscettibile di inficiare la piena adesione del sindacato autonomo al t.u. (ciò dal momento che eventuali ipotesi di nullità per contrasto con norme imperative o di rango costituzionale sarebbero comunque rilevabili dal giudice d’ufficio).
Di diverso tenore la decisione del Tribunale di Torino17, nella quale si è, invece, affermata la legittimità dell’esclusione del Coordinamento Provinciale dell’USB lavoro privato da parte della Commissione elettorale. In questo caso, il sindacato ricorrente aveva avanzato la pretesa di partecipare alle elezioni delle RSU, pur in mancanza di una formale adesione al t.u. del 2014 e della sottoscrizione del contratto collettivo di categoria applicato all’azienda in questione ed in virtù di una pretesa applicabilità, anche alla USB ricorrente, del CCNL non sottoscritto, oltre che del possesso requisiti sostanziali per la partecipazione alle elezioni delle RSU (5% delle firme ecc.)18.
Con la pronuncia di rigetto, i giudici di Torino mostrano di concepire, anche se con motivazioni ellittiche, il t.u. come un accordo che segna, dal punto di vista formale almeno, una piena discontinuità con i precedenti protocolli sulle RSU.
3.2 “L’ultimo miglio”: dalle regole sindacali alla legge
I casi prima indicati dimostrano come sia fondata l’acquisizione teorica, presente nella elaborazione giugnana e sviluppata compiutamente da Gaetano Vardaro19, per cui anche un ordinamento intersindacale maturo e sviluppato in regole procedurali condivise, non si sottrae alla “responsabilità da contatto” con l’ordinamento statuale: nessun ordinamento volontario pone al riparo se stesso, dall’ibridazione, per via giudiziale, con l’ordinamento statuale20. Le ragioni che suggeriscono di oltrepassare il Rubicone della regolazione meramente volontaria e di dirigersi verso il mondo ignoto (ma non barbarico) della legge sindacale nel settore privato, sono state snocciolate altrove21.
In dottrina è ancora ampio il fronte di coloro che con argomenti vari – non contendibili con sufficienza – si oppongono a tale prospettiva22; tale posizione è, notoriamente, per altro, quella di ampi settori dei sindacati confederali (soprattutto Cisl), della stessa Confindustria (molto fredda per le possibili implicazioni sulla misurazione della rappresentatività datoriale) e di alcuni settori delle forze politiche parlamentari.
La posizione interventista ha ricevuto qualche incerto endorsement, invece, in ambienti governativi, soprattutto vicini al premier Matteo Renzi.
Col tralasciare le grandi questioni di principio, pro o contra l’intervento legislativo, in questa sede si segnalano soltanto le ragioni per cui il t.u. è tecnicamente a volte insufficiente, a volte inadeguato a risolvere, sul piano tecnico, molte delle questioni che la regolazione volontaria pretenderebbe di definire.
Di seguito:
a) Solo la legge e non gli accordi volontari, per quanto estesi (appunto perché tali e, dunque, di ambito comunque circoscritto agli aderenti), può risolvere il pernicioso problema dell’ambito di misurazione della rappresentatività sindacale allo scopo della rappresentanza: è un problema che confina,ma che non si dissolve in quello dell’unità contrattuale; la soluzione dell’ambito di misurazione, per essere generalizzata in maniera compatibile con peculiarità settoriali e produttive e per non incappare in profili di incostituzionalità, necessita di un intervento normativo ad alto tasso di sofisticazione tecnica23.
b) Solo la legge e non l’accordo volontario può risolvere la questione dell’efficacia soggettiva erga omnes degli accordi aziendali e degli accordi aziendali in deroga sulla base del principio di rappresentanza maggioritaria.
c) Solo la legge e non l’accordo volontario può risolvere il problema di dare certezza alla natura genuinamente rappresentativa dell’agente negoziale (in virtù della generalizzazione del criterio della rappresentatività maggioritaria perché misurata) a cui la legge devolve poteri di deroga o di integrazione dei precetti normativi.
d) Solo la legge e non l’accordo volontario può risolvere i problemi di coesistenza tra RSU e RSA con riguardo a potenziali e distruttivi (della stabilità delle prassi aziendali) conflitti su permessi e diritti di indizione di assemblee retribuite.
e) Solo la legge e non l’accordo volontario può consolidare il modello di rappresentanza tramite RSU e regolarne, con certezza e stabilità, le prassi di istituzione, funzionamento interno e convivenza con le RSA, evitando, per altro, che dal sistema si possa semplicemente uscire con la frase di circostanza “ci avevamo provato, arrivederci e grazie”; solo la legge, cioè, può evitare comportamenti politicamente opportunistici con riguardo a quel bene/principio (incastonato nella carta costituzionale) che è la democrazia sindacale.
f) Solo la legge e non l’accordo sindacale può conferire certezza al capitolo del t.u. sulla esigibilità degli accordi che rischia di rimanere scritto sulla battigia della responsabilità contrattuale ed endoassociativa.
g) Solo una legge che faccia riferimento al dato certo della rappresentatività soglia al 5% è in grado di dare seguito al flebile e sfiduciato monito della Corte costituzionale sull’art. 19 st. lav. ed eliminare le perduranti incertezze24 che ancora si registrano in ambito giurisprudenziale anche dopo la sentenza n. 231/201325.
h) Solo la legge e non l’accordo sindacale può dare certezza, quanto a tempistica, agli stessi contenuti del t.u., superando le vischiosità anche burocratiche (incertezze in sede INPS sulla possibilità di fornire in dati in ragione dei vincoli di privacy) che l’accordo sta incontrando e che rischia di farlo naufragare su scogli imprevisti.
Sono queste alcune delle ragioni che alcuni giuristi di “buona volontà” senza vincoli di appartenenza e di ideologia, ma solo di amicizia, provenienti da esperienze culturali diverse (il gruppo “Frecciarossa”) si sono dati per presentare una proposta di legge, se non ecumenica, attenta a tutte le obiezioni e ai diversi versanti da cui esse provengono26.
1 Il riferimento – oltre che agli ampiamente noti contratti separati, senza la partecipazione della Fiom-Cgil, stipulati nel Gruppo Fiat – è agli accordi sulle “regole del gioco” conclusi a partire dal 2009 senza la partecipazione della Cgil (Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22.1.2009; Accordo interconfederale del 15.4.2009 per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali e, più di recente, l’accordo contenente Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia del 16.11.2012).
2 Di recente, sull’argomento, cfr. Carinci,F., Il lungo cammino per Santiago della rappresentatività sindacale (dal titolo III dello Statuto dei lavoratori al Testo Unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014), inGiorn. dir. lav. rel. ind. 2014, n. 2; Maio,V.,Struttura ed articolazione della contrattazione collettiva, Padova, 2013; Caruso, B.-Alaimo, A., Diritto sindacale, Bologna, 2012.
3 Caruso, B., “Costituzionalizzare” il sindacato. I sindacati italiani alla ricerca di regole: tra crisi di legittimità e ipertrofia pubblicista (in corso di pubblicazione su Lav. dir.).
4 Per una puntuale ricostruzione storica del processo di unità sindacale, che si ferma prima della crisi del 2009, si v. Pessi, A.,Unità sindacale e autonomia collettiva,Torino, 2007.
5 D’Antona, M., L’anomalia post positivista del diritto del lavoro e la questione del metodo, in Riv. crit. dir. priv., 1990, 213, ora in Opere, in Caruso, B.-Sciarra, S., a cura di, I, Scritti sul metodo, Milano, 2000.
6 V. Caruso, B., Rappresentanza sindacale e consenso, Milano, 1992; D’Antona,M., Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 665.
7 «Il CNEL provvederà a sommare ai voti conseguiti da ciascuna organizzazione sindacale di categoria, il numero degli iscritti risultanti nelle unità produttive con più di 15 dipendenti ove siano presenti r.s.a. ovvero non sia presente alcuna forma di rappresentanza sindacale».
8 «Sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le Federazioni delle Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo e dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo del 31 maggio 2013, che abbiano, nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, una rappresentatività non inferiore al 5%».
9 Si legge, infatti, nella parte terza del t.u. che «ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 19 e ss. della legge 20 maggio 1970, n. 300, si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo, e che abbiano partecipato alla negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del Ccnl».
10 Ciò, sebbene il principio dell’abolizione del terzo riservato fosse stato già enunciato (ma non regolato, come è avvenuto con il .u.) nel protocollo del 2013.
11 Cfr. la clausola di salvaguardia ribadita nella Parte seconda (Regolamentazione delle rappresentanze in azienda), sezione prima del TU, secondo la quale «in ogni singola unità produttiva con più di quindici dipendenti dovrà essere adottata una sola forma di rappresentanza».
12 Elgar, J. Simpson, R., The TUC’s Bridlington principles and interunion competition, in CEPDP, Discussion paper (London School of Economics and Political Science. Centre for Economic Performance), 1993, n. 160.
13 Rilievi critici in Barbieri, M., Note critiche sul Testo Unico sulla rappresentanza sindacale, in Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, Zoppoli, A.-Zoppoli, L.-Delfino,M., a cura di, Napoli, 2014, 211. Si v. pure Viscomi, A., L’adesione successiva alla disciplina pattizia. Brevi note sul Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014, in Dir. lav. merc., 2014, n. 1, 43 ss.
14 Si rinvia a Caruso, B.-Alaimo, A., Diritto sindacale (cit.).
15 Trib. Ivrea, 28.4.2014.
16 Ritiene, infatti, il giudice piemontese che l’adesione “con riserva” al t.u. «non sia tale da inficiare l’adesione della parte ricorrente agli Accordi, risolvendosi, di contro in una clausola dimero stile». L’altro argomento evocato dal giudice dimerito, in accoglimento della tesi dei ricorrenti, troverebbe il suo fondamento nel criterio ermeneutico di conservazione degli atti giuridici ex art. 1367 c.c., in forza del quale la Commissione elettorale «avrebbe dovuto dare prevalenza alla manifestazione» della volontà di adesione agli accordi piuttosto che alla clausola di riserva, inidonea ad «inficiare la volontà di adesione espressamente manifestata».
17 Trib. Torino, 16 .7.2014.
18 La parte ricorrente riteneva sufficienti i requisiti in discorso, anche in ragione del richiamo effettuato dal CCNL applicato nel luogo di lavoro all’accordo interconfederale del 20.12.1993 sulle elezioni delle RSU, al quale l’USB aveva, a suo tempo, aderito.
19 Vardaro, G., Contratti collettivi e rapporto individuale di lavoro, Milano, 1985.
20 Caruso, B., Rappresentanza sindacale e consenso, cit..
21 Si rinvia a Caruso, B., Per un intervento eteronomo sulla rappresentanza sindacale: se non ora quando!, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT –206/2014.
22 Pessi, R., La democrazia sindacale tra legge ed autonomia collettiva, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2014, n. 2, 309 ss.; Pessi, R., La funzione dell’art. 39 della Costituzione, in Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, cit., 501; Treu, T., Autoregolazione e legge nel sistema di relazioni industriali, in Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, cit., 539; Tiraboschi,M., La legge sindacale: le ragioni del no, in Carinci, F., a cura di, Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentanza sindacale a Corte Cost. n. 231/2013, in Adapt Labour Studies, 2014, n. 20.
23 Si v. gli interventi diMarazza,M.,Dalla “autoregolamentazione” alla “legge sindacale”? La questione dell’ambito di misurazione della rappresentatività sindacale, inArgomenti dir. lav., 2014, n. 3, 608 ss.; Del Punta, R., Note sparse sul Testo Unico sulla rappresentanza, inGiorn. dir. lav. rel. ind., 2014, n. 3, 673
ss.; Scarpelli, F., Il Testo Unico sulla rappresentanza tra relazioni industriali e diritto, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2014, n. 3, 687 ss.); nei quali si possono trovare argomenti a supporto della proposta di intervento legislativo inmateria di rappresentanza sindacale formulata dal gruppo Frecciarossa (e sulla quale si v.
infra). Il fermento dottrinale, in vista di un possibile intervento eteronomo in materia sindacale è sempre maggiore, come dimostra anche la proposta avanzata dal gruppo di studiosi gravitante attorno alla rivista Dir. lav. merc. cfr. Proposta di legge sindacale della rivistaDiritti LavoriMercati eGuida alla lettura
della proposta di legge, in Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, cit., 539, 557.
24 In argomento, Caruso, B., La Corte costituzionale tra Don Abbondio e II passero solitario: il sistema di rappresentanza sindacale dopo la sent. n. 231/13, in Riv. it. dir. lav., 2013, n. 4, 901 ss.
25 Cfr. Trib. Roma, 23.9.2014.
26 Si rinvia alla proposta formulata dal gruppo di lavoro – auto-denominatosi Frecciarossa – e alla sintesi delle linee guida per un intervento legislativo, in corso di elaborazione da parte del gruppo Frecciarossa, rinvenibile in Caruso, B., Per un intervento eteronomo sulla rappresentanza sindacale (cit.).