TETTO
Copertura di un edificio in quanto protezione superiore esterna dalle intemperie. Nelle forme più complesse il t. può comunemente essere inteso come autonomo elemento strutturale, equivalente a copertura, in cui possono idealmente scindersi una funzione rivolta prevalentemente verso l'esterno (spioventi) e una verso l'interno (soffitti o volte). Con implicazioni che coinvolgono l'intero organismo architettonico si può arrivare a distinte soluzioni per la chiusura dello spazio interno e per la protezione esterna, con varianti e relazioni di interdipendenza su cui possono influire condizionamenti geografici e tradizioni tecnologiche differenziate, anche in relazione alla disponibilità e alla lavorazione dei materiali.
Le coperture in generale implicano in tutti i tempi e anche nel Medioevo il più sensibile confronto tra diversi materiali edilizi, dal legno al cotto, alla pietra, ai metalli, e costituiscono un punto d'incontro particolarmente evidente tra tradizione tecnica e invenzione formale, come dimostrano elaborazioni di grande arditezza, quali sono numerose coperture in raffinata carpenteria o talune cupole e pinnacoli. Sotto questo profilo il t. assume un ruolo di primaria importanza per l'individuazione formale di una volumetria esterna e dello stesso organismo architettonico come unità identificabile. Per contro difficile e discontinua ne risulta la documentazione a causa della lacunosa conservazione di strutture particolarmente deperibili e più esposte di altre all'usura del tempo e alla distruzione negli incendi. La Tarda Antichità e i più antichi monumenti cristiani configurano tipologie la cui continuità per larga parte del Medioevo è evidente, semmai con innovazioni e ricorrenze che sono parte della storia architettonica. In particolare si mantiene il carattere prevalentemente funzionale del t. (e ciò a differenza del tempio antico), in relazione con la consolidata destinazione dell'interno al culto.Prevale negli edifici sacri, in cui si concentra il maggior numero delle testimonianze disponibili, il t. a spioventi: due spioventi per le aule uniche e a pianta centrale, e così per la navata centrale degli assetti basilicali, dove normalmente sono coperte a uno spiovente le navate laterali.Le c.d. capriate, o armature lignee, possono essere formate da una catena trasversale e da due puntoni obliqui (soluzione più semplice, ma diffusa nel Medioevo sull'esempio di S. Sabina a Roma; Deichmann, 1957, col. 532); l'inclinazione che ne viene agli spioventi ha varianti regionali e cronologiche in relazione con fattori climatici (Binding, 1991, p. 11), come supporto del manto esterno, normalmente di tegole (ma anche di assi, lastre di pietra, lamine di piombo) tramite la mediazione di terzere (o arcarecci), di travetti e di tavole.Le capriate si complicano, per luci particolarmente vaste, in un'armatura più complessa, con elementi di raccordo; altre possibili varianti riguardano l'appoggio ai muri perimetrali tramite mensole lignee o travi longitudinali a sbalzo (correnti). Anche qui, continuando la tradizione tardoantica, sono possibili arricchimenti e finiture decorative, specie degli elementi in legno, che possono essere intagliati o dipinti; inoltre può essere previsto un vero e proprio soffitto che chiude alla vista le incavallature lignee o i piani di posa del t., con un sistema a lacunari, come mostra un celebre e in parte recuperato esempio tardoantico, quello costantiniano della c.d. basilica di Treviri; o forse una più semplice mascheratura a cannucce e intonaco di ascendenza pure romana (Deichmann, 1982).Architettonicamente significativi possono essere gli appoggi perimetrali del t. quando coinvolgono l'installazione di gronde o la formazione di cornicioni, con il relativo apparato di mensole. Non mancano casi di corredo modanato del t. verso l'esterno sotto forma di attico, secondo la tradizione antica (per es. nel duomo di Modena, con l'inserimento delle c.d. metope).Questi dati elementari, intesi a dare un'idea del t. nelle sue varie parti, non sono facilmente controllabili e tanto meno storicizzabili per la maggior parte del Medioevo, dovendosi basare su una documentazione lacunosissima. In Francia non si è rintracciata, per es., alcuna struttura di t. originale anteriore all'avanzato sec. 12° (Lasteyrie, 1929). Ma le cose non stanno meglio in altre aree, mancando anche puntuali accertamenti circa la parte dei restauri e dei rifacimenti nei manufatti pervenuti. Un rarissimo riconoscimento va considerato quello di resti di armatura originale lignea in S. Maria foris portas a Castelseprio, dove il t. copriva anche l'emiciclo absidale (Chierici, 1948; Leveto-Jabr, 1987).Si possono tuttavia arguire situazioni e passaggi dalle murature di sostegno: è accertato che nell'architettura altomedievale dell'Italia settentrionale era possibile coprire di solai lignei larghezze sino a m 13 e oltre, ma che nel sec. 10° talune dovettero essere ridotte, per frazionamento dell'interno, a non più di m 5, come nel caso del S. Stefano di Verona (Verzone, 1942, pp. 173-174); altri esempi noti sono l'antico duomo di Vicenza e il frazionamento romanico della basilica ambrosiana di S. Simpliciano. Un recupero di possibilità tecniche tra i secc. 10° e 11° permise il ritorno a sistemi di maggiore larghezza (per es., S. Vincenzo in Prato a Milano, dove la copertura a capriate, pur rinnovata, dovrebbe rispecchiare l'antica, su una larghezza della navata mediana di m 10 ca.). Nei monumenti attribuibili in senso lato alla stessa area, già censiti sotto questo profilo (Porter, 1915-1917, I, pp. 142-143), non si conoscono t. conservati, ma si hanno significative testimonianze indirette per S. Maria Maggiore di Lomello, del 1025 ca. (Porter, 1915-1917, II, tavv. 107-108; IV, pp. 500-509; Peroni, 1969), dove è ricostruibile una struttura di incavallature che si arricchiva di un sistema perimetrale di mensole con puntelli e di correnti lungo l'appoggio sui muri del cleristorio, e ciò in relazione intenzionalmente ritmica e organica con archi trasversi traforati da bifore, la cui funzione è peraltro chiaramente di ridurre l'impiego delle capriate (forse anche in funzione antincendio), conseguendo effetti strutturali nuovi (l'attuale soffittatura piana è di restauro, non si sa su quali indizi basata).La stessa articolazione dei sostegni nella prima architettura romanica è strettamente legata, prima che all'applicazione delle volte, a quella degli orditi lignei d'appoggio delle coperture, come è ben documentato nella casistica delle pievi ravennati (con sostegni a sezione complessa, o 'rostrati').Un t. considerato originale del sec. 11° con inclinazione di 37-38° è conservato sul coro della chiesa dedicata a s. Pietro a Bertem, nel Brabante (mentre sulla navata resta quello del sec. 13°: Kubach, Verbeek, 1964, I, p. 91; Vorromanische Kirchenbauten, 1966, pp. 36-37). Si segnalano t. conservati nell'abbaziale di Mittelzell a Reichenau e in quella di Maulbronn nel Baden-Württemberg (Gruber, 1959). Per l'area germanica una documentata sintesi recente (Binding, 1991) consente di precisare una serie di identificazioni di t. affidabilmente datati tenendo conto anche del loro stato di conservazione. In questo senso un appoggio fondamentale è venuto dalla dendrocronologia, per cui alle poche date già note altre se ne sono aggiunte. Così per il St. Martin a Sindelfingen (Baden-Württemberg), del 1132, con un raro sistema di legamenti tra le catene e i puntoni, ma altre date di riferimento si sono ritrovate per le chiese della Reichenau (Niederzell, 1134; Mittelzell, St. Maria und Markus, 1235 ± 3), di Steinbach, presso Michelstadt in Assia (ca. 1160), Costanza (1223-1236), e così via. Naturalmente caso per caso va tenuto conto di possibilità di riuso dei materiali e di criteri diversi circa l'impiego di legno appena tagliato oppure stagionato. Esempi relativamente tardivi, ma utili per i particolari tecnici applicati in orditure minori, sono stati raccolti per la Normandia (Kosser, 1910).Massimi esempi di conservazione di soffitti dipinti sono quelli dell'abbaziale di St. Michael a Hildesheim, di St. Martin a Zillis, nel cantone svizzero dei Grigioni, e della cattedrale di Teruel in Aragona, capolavoro dell'arte mudéjar (Reyes Pacios Lozano, 1993). Tardoromaniche vengono designate le capriate conservate a La Gorge (dip. Gironde), e altre in Francia (Enlart, 1902). Tuttavia la fortuna dei t. di grande dimensione continuò praticamente ininterrotta anche se non documentata direttamente. Occorre citare almeno l'esempio del duomo di Pisa, iniziato da Buscheto, dove la copertura fu interamente rinnovata dopo l'incendio della fine del sec. 16°, ma forse conservando una caratteristica emergenza del monaco di ciascuna capriata al di sopra della linea di colmo, creando una specie di cresta esterna sull'intero profilo (Himmelheber, Kobler, 1987; Il duomo di Pisa, 1995, III, p. 68ss., fig. 77; II, fig. 1721ss.), e quelli del duomo di Modena, solo più tardi voltato (Peroni, 1984; Palazzi, 1988, tav. 52a), della cattedrale di Ferrara, iniziata nel 1135 ca. (documentata da disegni e incisioni anteriori alla ricostruzione settecentesca; Peroni, 1985), forse la massima dimostrazione di ininterrotta fortuna che tale sistema godette anche nell'architettura padana e subalpina, dove anzi alcune province preferirono tali soluzioni, come Como e Verona (Porter, 1915-1917).È più largamente diffusa la copertura a incavallature lignee in vista, in relazione con l'altrettanto tenace schema basilicale, nell'Italia centrale e meridionale. Alcuni notevoli edifici, a partire dalla Toscana (S. Miniato al Monte e i Ss. Apostoli a Firenze, con capriate trecentesche restaurate, ma con tracce delle primitive romaniche; Paatz, Paatz, 1952), conservano in forma più o meno rinnovata e restaurata coperture a capriate, arricchite da una vivace policromia. Spicca il duomo di Monreale, del sec. 12°, con capriate e soffitti largamente rifatti a partire dal sec. 16°, ma con elementi riconoscibili del primitivo aspetto (Krönig, 1965, p. 200ss.).La fortuna del t. in vista all'interno si mantenne con particolare evidenza in talune aree, in relazione con la disponibilità o la più diffusa lavorazione del legno, in versioni che arricchiscono decorativamente l'orditura o che cercano di trasferirvi una carenatura interna. È evidente del resto il rapporto con le possibilità di lavorazione del legno offerte dai cantieri navali (si veda il caso di Venezia, della Normandia, delle Isole Britanniche, e in generale delle zone rivierasche). Per l'area germanica vale la citata recente esplorazione (Binding, 1991).Come risulta da una vasta letteratura specifica, un impulso al successo delle semplici coperture a t. senza volte venne dato dall'architettura prima dei Cistercensi e poi degli Ordini mendicanti, in cui orientamenti programmatici mantengono anche per costruzioni di elevato prestigio e di grande rilevanza l'uso del t. in vista, assicurando così un legame di continuità con una pratica mai venuta meno nelle espressioni più modeste e periferiche dell'architettura sacra.Tra le maggiori costruzioni ove la copertura a t. senza volte (riservate peraltro alle cappelle e al coro) impegnò l'invenzione di un grande architetto come Arnolfo di Cambio si annovera Santa Croce a Firenze (Romanini, 1969), dove trecentesche sono anche le capriate aggiunte a edifici precedenti come quelle, citate sopra, di S. Miniato al Monte, dei Ss. Apostoli e inoltre della Badia San Salvatore a Settimo.Nella grande architettura gotica del Nord si dispone delle più accurate classificazioni per le orditure lignee dei t. a protezione di interni voltati, già attentamente analizzate da Viollet-le-Duc (Enlart, 1902; Lasteyrie, 1926; Binding, 1991). Si possono citare i t. di Notre-Dame di Parigi, della collegiata di Notre-Dame a Mantes, delle cattedrali di Saint-Gervais-Saint-Protais a Soissons, di Notre-Dame ad Amiens, di Saint-Etienne a Meaux, di Saint-Ouen di Rouen, e altre. Tra gli esempi meglio conservati il t. della cattedrale di Saint-Etienne a Bourges. Vere e proprie fasi di svolgimento sono state riconosciute attraverso i secc. 13° e 14° negli schemi e nelle particolarità tecniche (Enlart, 1902; Lasteyrie, 1926; Binding, 1991). Ma anche più notevoli sono gli esempi con t. il cui interno è lasciato in vista, con lavorazioni di eccezionale virtuosismo, anche se non mancano di foderatura carenata. Gli esempi più noti e illustrati sono quelli dell'area inglese e scandinava. Tra i più antichi si segnalano il t. del transetto sud della cattedrale di Winchester, dedicata alla Trinità e ai ss. Pietro e Paolo, ancora del periodo normanno; tra i più avanzati e complessi la Westminster Hall di Londra. Una casistica tipologica ricca e fittissima continua ben oltre i limiti convenzionali assegnati all'età medievale (Bond, 1906; Smith, 1958).Nell'area italiana non mancano coperture in vista che seguono la tradizione, adeguandosi tuttavia ad architetture di elevato livello inventivo, come nel duomo di Orvieto, oppure al di sopra di edifici voltati (ben documentata ora l'orditura del t. sopra le navate di S. Maria del Fiore; Rocchi, 1988). Di particolare interesse è la compresenza di parti voltate e di capriate in vista in uno stesso organismo architettonico, come nelle chiese cistercensi e degli Ordini mendicanti, e in qualche altro caso ove il sistema voltato finisce per soppiantare le capriate, come nella cattedrale di Arezzo (Armandi, 1994). Eccezionale la sostituzione di gran parte dell'orditura del t. sovrapposta alle volte nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi con arconi in muratura, messi in vista dai crolli del terremoto del 1997.La documentazione di t. con complesse orditure lignee riguarda, specie in Francia, Germania, Inghilterra e Spagna, anche grandi strutture monastiche, palazzi, ospedali, particolarmente per grandi sale, vani comunitari (dormitori, refettori) e di servizio (stalle e grange; v.). Anche qui va ricordato che la tradizione, anche se non documentata direttamente, risale al più remoto Medioevo, come si ricava da ritrovamenti archeologici (Zippelius, 1953) o dalle interpretazioni dell'eccezionale documento del piano di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl, 1092; Horn, Born, 1979; Hecht, 1983).Lo sviluppo autonomo di questa branca dell'architettura, specie nel Nord, elaborò valori strutturali specifici, ai quali si è voluto attribuire un singolare ruolo di stimolo sullo stesso sviluppo, caratteristico dell'età medievale, dell'articolazione delle coperture e degli interni come sistemi di campate (Strzygowski, 1928; Horn, 1958).Negli edifici civili non mancano, anche se sono meno numerose, testimonianze di soluzioni per il t. in linea con la casistica esposta. Vanno segnalate almeno le applicazioni nei grandi edifici pubblici, specie per sale di grande dimensione. Un ruolo singolare compete ai broletti e in genere agli edifici delle comunità municipali per la necessità di procurare coperture di singolare ampiezza, a cui le grandi orditure lignee potevano offrire una realizzazione relativamente più rapida e meno costosa. Tuttavia sono quasi inesistenti i casi di integrale conservazione, trattandosi di rifacimenti dopo incendi e manomissioni. Si possono ricordare esempi di eccezionale importanza come la sala del palazzo dei Conti (od. Palais de Justice) a Poitiers e il palazzo della Ragione di Padova (Dellwing, 1969-1970). Infine si collegano con il t. emergenze esterne, quali principalmente le torri campanarie ma anche camini e torrette o garitte di colmo.
A parte va considerato il rapporto del t. con una copertura a volte. Sembrerebbe a prima vista ipotizzarsi una necessaria separazione tra i due elementi, come appare dall'architettura gotica e dalla prevalente casistica medievale. Nella cattedrale gotica le volte sono di solito costruite al riparo del t., che viene eseguito per primo (Fitchen, 1966). Tuttavia nelle aree meridionali e mediterranee non ci si attiene necessariamente a questa successione dei lavori. Così non è, per es., nelle cattedrali di Saint-Jean a Perpignano e di Burgos (ma in area iberica la cattedrale di Gerona copre con una armatura lignea distinta volte di eccezionale ampiezza), e neppure in quella che può considerarsi tra le meglio documentate architetture tardogotiche in tale ambito, il duomo di Milano, dove per l'appunto manca completamente un sistema di capriate lignee, essendo gli spioventi della navata maggiore regolati da un sistema di volte supplementari (che provocano per la loro dimensione una proiezione 'in falso' di un grandioso finestrato, il cui scopo è esclusivamente di conferire forma alla volumetria esterna). Né mancano casi (S. Bevignate di Perugia e, nei pressi, l'abbaziale di Montelabate) dove l'aderenza del t. alla volta si consegue su grandi crociere senza apparente intermediazione di capriate. Si tratta dello sviluppo di una tecnica costruttiva che in Lombardia presenta una continuità pressoché ininterrotta, e che risale alla pratica diffusa fin dall'età romana di posare il t. direttamente sulle reni delle volte.Tale tecnica, direttamente ereditata dall'architettura tardoantica (Deichmann, 1957), comporta l'invenzione di accorgimenti, per compensare con intercapedini i dislivelli troppo rilevanti che si possono formare tra l'estradosso della volta e il t., il che nei casi più semplici può essere conseguito grazie a un semplice riempimento, al massimo alleggerito attraverso la posa in opera di vasi di terracotta (S. Aquilino a Milano); ben più tardi esempi di una tecnica simile si sono rinvenuti nella cattedrale di Barcellona e sulla volta del coro del S. Domenico di Prato. Diversamente si richiede l'apprestamento di strutture apposite. In tal caso la definizione stessa di t. può essere revocata in dubbio, trattandosi in definitiva di un rivestimento solidale con la volta. Del resto non si possono sottovalutare le testimonianze che dichiarano essere l'adozione delle volte motivata dal timore degli incendi. Dal punto di vista non solo costruttivo ma anche formale ne discendono conseguenze per un aspetto nevralgico della compagine architettonica, quello della relazione tra esterno e interno del manufatto architettonico, essendo evidente che nel caso dell'aderenza del t. si consegue la massima leggibilità volumetrica dell'edificio quale in realtà esso si svolge come 'spazio interno', mentre l'ipotesi opposta comporta, all'esterno, intanto una considerevole sopraelevazione e poi quasi un'immagine artificiosamente separata, non di rado ulteriormente elaborata (attraverso guglie e pinnacoli per es.), anche se per altro verso ne possano essere messi in vista elementi funzionali, come contrafforti e archi rampanti.Esiste anche una diversa casistica, quasi di assimilazione della volta nel t., in quanto la volta stessa viene eseguita in legno in organico connubio con il t., andando al di là delle forme a carena. Un caso a parte di imitazione di volte costolonate con materiale ligneo, impressionante per le dimensioni, si trova nei Ss. Giovanni e Paolo (S. Zanipolo) a Venezia.Uno schema che illustri il differente effetto di una volta a botte in legno organicamente connessa agli spioventi, e poi in muratura con profilo aderente del t., oppure con interposto sistema a capriate, può dare un'idea dell'effetto ben differenziato tra i diversi sistemi.L'intero processo si può seguire in moltissimi edifici sacri, considerando il rivestimento degli emicicli absidali i quali sono coperti all'interno, nella stragrande maggioranza, da una calotta all'incirca corrispondente a un quarto di superficie sferica; all'esterno il normale passaggio a una superficie all'incirca conica può essere conseguito con continuità di spessore, a seconda delle proporzioni e dei materiali impiegati, ma anche implicare, nei contesti più complessi, un'articolazione con fornici in profondità (absidi milanesi, secc. 10°-11°; Arslan, 1954) o con nicchie - per es. nell'abbazia di S. Caprasio ad Aulla (prov. Massa-Carrara) e in S. Maria di Fagna in Italia, in Saint-Pierre a Xhignesse in Belgio - che rappresentano in forma anche decorativamente modulata il principio delle intercapedini tra volte e tetto.Analogie e svolgimenti particolari si ravvisano in coperture salienti come le cupole e i tiburi, nei quali culmina evidentemente l'intento di prestare dignità formale alla volumetria esterna degli edifici. Qui si ha anche il caso limite di identità tra volta e t., con implicazioni formali eccezionali, nel monolito che chiude il mausoleo di Teodorico a Ravenna. Ma le intercapedini tra volte e t. sono state sempre ben note alle trattazioni più avvertite (Choisy, 1899) e specialmente per quanto riguarda la fase romanica nell'area lombarda (Dartein, 1865-1882; Porter, 1915-1917), dove risultano spesso soppiantate, per rimediare a guasti e a difficoltà di manutenzione, da applicazioni a posteriori di sovrapposte capriate lignee, che hanno provocato l'alterazione della volumetria esterna degli edifici. Tuttavia documentazioni più o meno dirette si hanno per edifici come il S. Savino di Piacenza (Porter, 1915-1917, III, pp. 260-277) e il S. Michele di Pavia (Peroni, 1969), dove è altresì conservato il piano di posa del sistema ottagonale piramidale del tiburio, con una rara combinazione di nicchie a fornice e un'intercapedine supplementare ottenuta con centine 'a perdere'. Applicazioni grandiose dello stesso principio, sulla linea che portò alla soluzione per le volte maggiori del duomo di Milano, sono quelle che si sono realizzate nei due grandi battisteri di Firenze e di Cremona (Peroni, 1969; per il battistero di Firenze: Santa Maria del Fiore, 1996), a cui può aggiungersi il battistero di Pisa (Cadei, 1971). La tappa ulteriore di un t. applicato distintamente si ritrova nel battistero di Parma (Lomartire, 1995).Un t. aderente eccezionalmente ben conservato, con l'originario manto di coppi anche se ora rioccultato, è quello del battistero di Novara (primo sec. 11°, con classico sistema di alleggerimento tramite fornici di coronamento), ove l'appoggio alla volta era rivelato dall'andamento leggermente ondulato del profilo esterno (Chierici, 1967).Resta da accertare se sulle volte a crociera con sviluppo cupoliforme delle più grandi basiliche romaniche e gotiche una simile aderenza non provocasse un'emergenza anche esterna di esse, e le rendesse, nell'aspetto del t., simili alle chiese con cupole su ogni singola campata, come è nel caso della cattedrale di Perpignano. Sono attestate soluzioni di t. solidale senza manto di coppi, per es. nel Santo Sepolcro di Barletta (Ambrosi, 1976); anche nel battistero di Cremona si conserva un profilo esterno a tenda piramidale di gradini laterizi (Peroni, 1969).Il sistema del t. solidale con la volta non era tuttavia generalizzato neppure nell'architettura romanica. Si sono segnalate in proposito le coperture della chiesa monastica cluniacense di San Salvatore a Capo di Ponte in Valcamonica, di cui si è accertata l'originarietà (primo sec. 12°), munite sin dall'inizio di un t. (distinto dalle volte) su armature lignee (Panazza, 1942; Autenrieth, 1981).In Lombardia appare da diversi indizi che le prime fabbriche cistercensi adottino già il sistema a capriate contestualmente all'uso di volte a crociera costolonate, che discendevano dalla tradizione lombarda.In effetti i manuali di archeologia francesi (Brutails, 1900) segnalano anche un tipo di capriata a catena rientrante (ferme à entrait retroussé) applicata su volte a botte, egualmente di origine tardoantica, laddove sulle volte a botte del S. Michele di Pavia è testimoniato l'uso di voltine supplementari longitudinali per la posa del t., in tutto simili a quelle ritrovate sulle volte delle navate laterali. L'elaborazione della copertura esterna valica, negli esempi più complessi, la connotazione distintiva del t. come elemento puramente funzionale e lo annulla in taluni vertici formali, che però meglio si comprendono attraverso l'intero ideale processo formativo. Nelle cupole del S. Marco di Venezia la calotta esterna venne fortemente sopralzata già nelle versioni originarie per ragioni di volumetria esterna (Forlati, 1965; Fiocco, 1966; Peroni, 1997); altrettanto fu nelle coperture di S. Antonio a Padova (Salvatori, 1981; Peroni, 1997). Per la stessa cupola di S. Maria del Fiore, che si decise nella forma assolutamente inedita creata da Brunelleschi perché fuori apparisse "più libera e gonfiante" (Saalman, 1980, p. 71), si ammette del resto - anche se non deve andare oltre questo limitato aspetto - una base d'ispirazione dal battistero di S. Giovanni.Per quanto sia scarsa la documentazione, non c'è motivo di ritenere che gli accorgimenti tecnici richiesti dalla più o meno solidale combinazione del t. con le volte non siano stati praticati anche in ragguardevoli architetture civili e fortificatorie. Chiare tracce si conservano sul loggiato interno, lato est, del castello Visconteo di Pavia, dove volte supplementari simili a quelle praticate al di sopra delle volte romaniche e gotiche lombarde erano state impiegate per vincere i dislivelli tra le volte interne del piano terreno e i solai soprastanti.
Per quanto riguarda i materiali, la lavorazione del legno nel t. sfugge per la sua intrinseca vastità a un'unica trattazione. Si considerano qui i materiali che costituiscono il manto esterno del t. e che, sempre al seguito dell'eredità antica, continuano nell'uso delle tegole in terracotta, in diverse forme e combinazioni, dello stesso legno, di metalli come il piombo e forse il rame (non invece il bronzo, attestato in casi eccezionali nell'Antichità). Ci sono testimonianze scritte e documentarie già per l'Alto Medioevo, tra cui emerge il Memoratorium de mercedibus commacinorum (MGH. LL, IV, 1868, pp. 1-90; Monneret de Villard, 1919), dove risulta che si usano sia tegole sia scandole (scindolae), per le quali viene stabilito un prezzo nella proporzione di una a venticinque (quindici o trenta secondo altre versioni).Esistono tegole con impresso il bollo del committente secondo l'uso antico: così sono testimoniati bolli del vescovo Crispino II a Pavia (521-541), del re Liutprando (712-744) in S. Simpliciano a Milano. L'uso di grandi tegole di tipo romano con coppi semicilindrici è largamente testimoniato nei secc. 10° e 11° (oltre l'esempio di Novara, gli abbondanti reperti di S. Maria Maggiore di Lomello). Si è rinvenuto anche un singolare tipo con coppo semicilindrico incorporato con la tegola e con attacco sfalsato per una funzionale sovrapposizione nel S. Calocero di Civate (Bognetti, 1956). D'altra parte nel sec. 13° il S. Ambrogio di Milano risulta ricoperto di lamine di piombo, data la notizia di furti del prezioso rivestimento nel corso del secolo (Biscaro, 1905). Ma vi erano coperture in pietra e mattone di diversa fattura. In lastre di pietra risultano rivestiti (o essere stati rivestiti) i t. del duomo di Milano, della cattedrale di Aosta, della basilica di S. Giulio a Orta San Giulio, come di molti centri vicini alle cave di pietra (che fornirono la materia di rivestimento a numerose absidi e t. delle zone montane).Nei t. dell'architettura gotica si segnala del resto la continuità dell'uso delle tegole o delle pietre scistose (ardesia), come pure ancora delle lamine di piombo (Lasteyrie, 1926), con ornati, specie sulla linea di colmo, che potevano consistere in lamine di piombo intagliate o in elementi modellati in terracotta (Viollet-le-Duc, 1861), come nella cattedrale di Saint-Etienne a Sens.Una sintesi storico-critica del ruolo del t. nell'architettura medievale non pare proponibile al di fuori di un coordinamento delle sue molteplici soluzioni entro la tematica più allargata della copertura nel suo insieme e dell'intero organismo architettonico. Lo stato attuale delle ricerche pare mostrare l'opportunità di una più sistematica raccolta di dati archeologici. La destinazione eminentemente funzionale del t. sembra svincolarlo da rigide classifiche di tipo morfologico secondo ambiti cronologici, stilistici o topografici; ma in realtà, per converso, forme ricorrenti e tuttavia diverse appaiono, se comprese entro il contesto, fattori non secondari di qualità e di invenzione architettonica.
Le citazioni dei testi possono aiutare a comprendere qualche particolarità e, in senso lato, l'interesse per il tetto. Insieme con cenni alle costruzioni in legno, compare in un foglio assegnato al tardo sec. 9° il disegno di una capriata di complessa fattura (Sélestat, Bibl. Humaniste, 104, c. 69r; Bischoff, 1971), che già anticipa i disegni del taccuino di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093), dove si illustrano significativamente tre orditi per capriate (Hahnloser, 19722, tav. 34), una rientrante per piccola cappella voltata, una a sagoma rientrante ricurva (molto diffusa nell'area inglese) e infine una per lo spiovente di navata laterale. Le più note descrizioni di grandi edifici non mancano di accennare espressamente ai t.: Leone Marsicano (m. nel 1115) per la fabbrica desideriana di Montecassino cita le tegole e i soffitti; Suger, abate di Saint-Denis (m. nel 1151) si diffonde sul miracoloso ritrovamento di travi di lunghezza eccezionale. Le raccolte di testi (Schlosser, 1892; LehmannBrockhaus, 1960) confermano pienamente i dati archeologici, anzi sottolineano la preziosità degli ornati e dei rivestimenti dei tetti. Il culmine del t. è citato come parte significativa dell'edificio nella Vita Adalberonis episcopi Mettensis, degli inizi del sec. 11° (MGH. SS, IV, 1841, p. 661). In altri casi è espressamente sottolineata l'utilità di sostituire t. con volte per ovviare agli incendi.Tale atteggiamento sembra prefigurare il tenace orientamento della storiografia artistica moderna a favore delle volte, sul cui sviluppo e sulla cui diffusione sembra volersi fondare una linea evolutiva propria dell'architettura medievale, il cui culmine sarebbe rappresentato dalla cattedrale gotica voltata, secondo un quasi necessario progressivo superamento della struttura romanica. Notevole eccezione può considerarsi Semper (1860) per i presupposti della sua teoria, che gli consente di assegnare al t. un posto importante nella sua tettonica.Alcune moderne tendenze alla rivalutazione dei materiali naturali, quale il legno, ed esigenze di conservazione più oculata della componente lignea dell'architettura concorrono egualmente a un'attenzione sulle peculiarità del t. nell'architettura medievale.L'iconografia architettonica fornisce singolarmente, pur nelle sue approssimazioni, qualche traccia dell'aspetto dei t. nelle architetture medievali, nelle sagome degli edifici, ma non di rado aggiungendo notazioni minute su singoli particolari, quali la forma delle tegole e l'orditura delle capriate (Binding, 1991).Infine la collazione dell'allegoresi del t. nelle religioni antiche e in quella cristiana può concorrere a giustificare l'attribuzione al t. di una fisionomia significante. Da Rabano Mauro (784 ca.-856) a Ugo di San Vittore (1096 ca.-1141), a Guglielmo Durando, vescovo di Mende (1285-1296), il t. della chiesa viene allegorizzato sulla base della Sacra Scrittura, con sviluppi artificiosi (Hermann, 1957). Si può accennare al ripetersi di siffatte speculazioni, come nel Mitrale di Sicardo, vescovo di Cremona (1185-1215), dove le trabes e le tegulae sono interpretate simbolicamente (rispettivamente come i predicatori contro le eresie e i soldati della Chiesa; PL, CCXIII, col. 22), in realtà riecheggiando la Gemma animae di Onorio Augustodunense (1080 ca.-1137 ca.; PL CLXXII, col. 586).
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