Avery, Tex (propr. Frederick Bean)
Regista statunitense del cinema d'animazione, nato a Taylor (Texas) il 26 febbraio 1908 e morto a Burbank (California) il 26 agosto 1980. Tra la metà degli anni Trenta e l'inizio degli anni Cinquanta fu l'inventore di un nuovo linguaggio, simile a quello disneyano nel segno grafico illustrativo, ma radicalmente diverso nei contenuti. Basato sull'estremizzazione delle situazioni drammatiche, sulla rottura della concatenazione logica, sul superamento dei limiti di verosimiglianza, sul sesso e sulla violenza come motori primi del comportamento, questo stile fece di lui l'ispiratore e il maestro di molti dei migliori animatori della sua epoca. Pressoché dimenticato dal pubblico e dalla critica per vent'anni, a partire dagli anni Settanta A. è stato rivalutato da numerosi studi storici e rassegne retrospettive, che hanno visto in lui l'anti-Disney per eccellenza, il simbolo stesso di un cinema d'animazione di massa molto diverso da quello che ha finito con il prevalere.
Entrato come animatore alla Universal nel 1930, collaborò a diverse serie, ma il controllo dei produttori era troppo stretto perché le sue capacità potessero manifestarsi. Le cose cambiarono quando nel 1935 passò alla Warner Bros., dove fu promosso regista e messo a capo di una squadra di giovani talenti anticonformisti, i più brillanti dei quali furono Chuck Jones, Bob Clampett (1915-1984) e Bob Cannon (1901-1964): si formò così quella che fu in seguito chiamata 'la scuola di Tex Avery'. Pur mantenendo le caratteristiche di un prodotto di largo consumo, i film di A. per la Warner (e ancor più quelli successivi per la Metro Goldwin Mayer) rappresentarono il tentativo di rompere il monopolio commerciale della Disney, usando uno stile che ne imitava la precisione delle linee e dei colori, per quanto profondamente innovativo nella struttura narrativa. Caratterizzava questo stile la continua e velocissima iterazione delle gag, la deformazione fino all'inverosimile delle dimensioni e dell'aspetto dei protagonisti, l'assurdità della trama, l'uso parossistico della violenza, quasi in un consapevole ritorno alle comiche e ai cartoni animati dei primi tempi del muto. Anche i personaggi creati da A. erano lontani da quelli della Disney: l'incapace maialino balbuziente Porky (1935), l'isterico papero Daffy (1937), e soprattutto il surreale coniglio Bugs (1938) rovesciavano dall'interno le convenzioni tradizionalmente stabilite tra spettatore e regista, rivolgendosi direttamente al pubblico e commentando con esso la vicenda. I dirigenti della Warner, non osando spingersi troppo avanti, tentarono a questo punto di limitare l'inventiva di A., che ruppe quindi il contratto e nel 1941 si fece assumere dalla MGM. Il suo grado di libertà aumentò notevolmente, e iniziò la fase più creativa della sua carriera, in cui riuscì a portare fin quasi alle estreme conseguenze la logica rivoluzionaria dei suoi primi lavori. Con lo scatenato lupo Wolfy (1942), il tristissimo cagnetto Droopy (1943), il distruttivo scoiattolo Squirrel (1944) introdusse, in maniera estremamente esplicita, il sesso come molla dell'azione (il che comportò tagli e censure); lo schema della favola tradizionale venne ribaltato, fino a trasformarsi in una chiara e sarcastica parodia. Poiché era la gag il fulcro della vicenda, il ruolo dei personaggi fissi tese a perdere importanza, e molti di loro furono abbandonati dopo pochi anni (Squirrel, caso unico in questo genere cinematografico, nel 1946 verrà addirittura fatto morire sullo schermo). Dei suoi centotrenta cortometraggi sono rimasti celebri soprattutto quelli della serie del lupo Wolfy, ammaliato dalla sensuale ballerina dai capelli rossi Red, e quello che è generalmente ritenuto il suo capolavoro, King size canary (1947), nel quale, in un folle inseguimento intorno al globo, un gatto e un canarino si ingrandiscono progressivamente fino a raggiungere dimensioni pari a quelle della Terra.
Il pubblico appariva però sempre più restìo a seguire A. su questa strada; all'inizio degli anni Cinquanta la MGM cominciò a ridurre il bilancio del reparto animazione, e i disegnatori più validi, costretti a semplificare il tratto e poi a eliminare gli sfondi, si licenziarono uno alla volta. Nel 1955 anche lui, scoraggiato, abbandonò il settore per dedicarsi prevalentemente all'attività pubblicitaria. Due anni dopo il reparto fu chiuso: il tentativo di fare concorrenza alla Disney era fallito.
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What's up, Tex? Il cinema di Tex Avery, a cura di M. Fadda, F. Liberti, Torino 1998.