Vedi THAMUGADI dell'anno: 1966 - 1997
THAMUGADI
Città romana della Numidia. Fondata nel 100 d. C. come colonia militare da Traiano (colonia Marciana Traiana Thamugadi), sorse ex novo in una zona dove, seppure esisteva prima un qualche centro indigeno, come il nome, certamente libico, può far supporre, nessuna continuità tuttavia vi fu tra esso e la città romana. Si è anche avanzata l'ipotesi che qui fosse stato, prima di essere fissato a Lambesi, l'accampamento della terza legione Augusta, accampamento del quale la città avrebbe ereditato l'impianto.
La città ebbe, comunque, pianta regolarmente quadrangolare, di circa 355 m di lato: il decumano corrispondeva al tratto interno della via militare corrente sotto le pendici settentrionali del mons Aurasius da Theveste a Lambesi; il cardine metteva capo alla porta, da cui usciva la via che andava a Cirta, capoluogo della Numidia; solo in parte tuttavia il quadrilatero urbano si uniformò alla rete stradale della regione, pur naturalmente, ricollegandosi con essa; la deviazione più sensibile è quella del decumano. Ognuno dei quadrati risultanti dall'incrocio delle due strade principali avrebbe dovuto essere diviso in trentasei insulae di circa 20 m di lato: tuttavia nel fatto le insulae furono o diversamente delimitate o raggruppate in modo da consentire la costruzione di edifici e di complessi più ampî, come ad esempio il Foro. Questo si apriva all'incrocio del cardine e del decumano: però al di là di esso il cardine non proseguiva fino al limite meridionale della città: da questa parte, infatti, non si è trovata traccia di porta se non in corrispondenza di uno dei cardini minori. La città fu all'origine cinta di mura, come dovevano richiedere la scarsa sicurezza della regione all'intorno e la stessa funzione che alla colonia era affidata; oltre alle due porte principali dei lati di oriente e di occidente e a quella di settentrione, due porte minori erano su questo ultimo lato e altre due con ogni probabilità su quello di mezzogiorno. Ben presto però la cinta dovette andare in disuso, e l'edilizia urbana uscire al di là di essa soprattutto verso S e verso O: case signorili, alcuni dei maggiori edifici termali, e il Capitolium, sorsero fuori del reticolato primitivo, abbandonandone anche decisamente l'orientamento: per uniformarsi invece a quello della rete stradale preesistente: lo stesso decumano, uscendo dalla porta occidentale, costituita dall'arco onorario di Traiano, continuò non in rettifilo, ma piegando verso N fino ad una seconda porta, che fu detta di Lambesi: tanto questa, come quella corrispondente dal lato di levante, sono del tempo di Marco Aurelio. Fuori della città sorsero più tardi, il monastero e la fortezza bizantina, occupando tuttavia pure essi aree già prima abitate.
La città non fu un centro di singolare ricchezza edilizia: costruita interamente in pietra, fece scarsissimo uso di marmo, fin nella decorazione architettonica: l'unico elemento di decoro nelle case e negli edifici pubblici fu costituito dai mosaici, profusi ovunque, con singolare varietà di motivi, prevalentemente geometrici e vegetali: non mancano tuttavia quelli figurati, che ripetono soggetti mitologici piuttosto comuni.
Delle porte del quadrilatero primitivo la più importante èra quella ad O, da cui usciva la via per Lambesi, dove era l'accampamento stabile della III legione Augusta, e dove risiedeva il comandante delle truppe, che era allo stesso tempo il governatore della provincia. La porta era costituita da un arco a tre fornici, il centrale più largo e più alto; al di sopra dei fornici laterali stanno delle nicchie incorniciate da colonnine e sormontate da timpani curvilinei; quattro colonne in avancorpo decorano ognuna delle fronti; così largo movimento di linee e di chiaroscuri, proprio del cosiddetto barocco romano, sembra non accordarsi con i dati dell'epigrafe che, commemorando la fondazione della colonia, ci dà il nome dell'imperatore Traiano, con la titolatura corrispondente all'anno della fondazione, e il nome del legato che a questa diede esecuzione: L. Munazio Gallo: sì che taluno ha dubitato debba riportarsi il monumento ad età alquanto più tarda, e cioè verso la metà del II sec.: la questione è ancora incerta. La stessa iscrizione dell'arco di Traiano si ripeteva sulla fronte esterna della porta settentrionale o di Cirta: la quale però era a un solo fornice, come la porta di E, o di Mascula (costruita nel 146), e quella esterna di O, o di Lambesi; la decorazione architettonica della prima era più semplice, più ricca quella delle altre due, che nelle colonne in avancorpo ripetevano il motivo dell'arco di Traiano. Le vie, rettilinee, erano pavimentate a grandi lastre rettangolari di calcare, messe obliquamente rispetto all'asse della strada: solo il decumano e il cardine massimo erano fiancheggiati per tutta la loro lunghezza da portici; al di sotto del basolato correva una complessa rete di fogne. Presso alcune delle porte e in altri punti sorgevano fontane (lacus).
All'estremità interna del cardine massimo che, come si è detto, era limitato alla metà settentrionale del quadrilatero urbano, si apriva l'ingresso principale del Foro. Questo si presentava come un'area quadrangolare, interamente chiusa verso l'esterno, tranne l'ingresso ora menzionato ed altri ingressi minori, e circondata all'intorno da portici, dietro i quali si aprivano gli edifici più strettamente connessi con la vita pubblica della città. Sul lato E era la basilica, disposta con il suo asse parallelo al portico del Foro: era una sala quadrangolare ad unico vano con tre camere, la centrale absidata, nel lato corto settentrionale, e un podio, che fungeva da tribunale, su quello meridionale: una serie di sale minori erano sul fianco orientale. Lungo il lato di mezzogiorno della piazza si allineavano dietro il portico nove piccoli ambienti, forse botteghe, separate da rialzi di terra.
Sul lato di ponente era la curia, sala rettangolare allungata (m 15 × 8) preceduta da un vestibolo a colonne, e chiusa al fondo da un podio per la presidenza; seguivano i rostri, situati avanti ad un piccolo tempio, che si è pensato dedicato alla Vittoria; un ambiente sotterraneo era probabilmente adibito ad erario. Varie sale, di incerta destinazione, erano da una parte e dall'altra dell'ingresso principale della piazza sul lato di settentrione. L'area centrale della piazza stessa era occupata da numerosi monumenti onorari, di cui restano le basi.
Può destare meraviglia il fatto che sulla piazza del Foro non si affacciasse il tempio maggiore dedicato alle divinità capitoline: esso invece era fuori del perimetro originario della città, sul lato occidentale di essa. Il tempio occupava il lato corto di fondo di una vasta area irregolarmente quadrangolare, chiusa da portici sugli altri lati, un témenos di m 90 × 65 circa; l'edificio sorgeva su un alto podio, entro cui erano ricavate le favisse, e al pronao, di sei colonne corinzie, si accedeva per una scalinata di trentotto gradini; analoghi colonnati correvano sui due fianchi del tempio; l'ara era ai piedi della scalinata. Il portico della facciata fu restaurato al tempo di Valentiniano I da Publilio Ceionio Cecina Albino. Un altro tempio, più piccolo, anch'esso al fondo di un'area sacra porticata di forma trapezoidale, era dalla stessa parte della città, sul prolungamento del decumano al di là dell'arco di Traiano; era dedicato al Genio della colonia. La cella era preceduta da un pronao a quattro colonne corinzie, e fiancheggiata da due ambienti secondarî.
Due piccoli templi, dedicati forse a Cerere e a Mercurio, erano ad O del teatro; un altro tempio, che si è creduto pure esso, senza ragione, di Mercurio, era nel sobborgo occidentale; uno attribuito a Saturno, con cella al fondo di una corte quadrangolare, nel sobborgo settentrionale. Infine un triplice santuario è stato in questi ultimi anni riconosciuto a S della città, nell'area più tardi occupata dalla fortezza bizantina: esso sorgeva presso la sorgente dell'aqua Septimiana Felix, la cui acqua era raccolta in un ampio bacino quadrangolare costruito al principio del III sec. d. C.: delle tre divinità qui venerate si conoscono quelle del santuario centrale, una Dea patria non meglio precisata, e del santuario di destra, Serapide.
All'interno della città altri edifici pubblici erano: il teatro, la biblioteca, un mercato, e alcune terme. Il primo era subito dietro il Foro, a S: la cavea era appoggiata ad un rialzo naturale del terreno: sembra che al sommo di essa, al centro, fosse un piccolo tempio. I gradini sono quasi completamente di restauro moderno. Della scena restano la parte inferiore con la fronte del pulpito, e molti elementi architettonici della decorazione dei piani superiori; la parete di fondo sembra si sviluppasse rettilinea, senza le tre nicchie, pressoché comuni in tutti i teatri dell'Africa e dell'Occidente. Il portico sul tergo era costituito di una sola ala: l'iscrizione dedicatoria porta i nomi di Marco Aurelio e Lucio Vero.
La biblioteca, piccolo edificio rettangolare, si affacciava sul cardine massimo con un vestibolo porticato: su ciascuno dei due fianchi di questo erano due piccole stanze, sul lato di fondo una sala molto più ampia, semicircolare, la cui parete era divisa in tante nicchie rettangolari, destinate a contenere gli armadi per i volumi; la nicchia centrale, più grande e fiancheggiata da colonne, ospitava forse una statua di Minerva: ignoriamo la data della costruzione dell'edificio; conosciamo invece chi ne curò le spese, M. Giulio Quinziano Flavio Rogaziano, e l'ammontare di queste, quattrocentomila sesterzi.
Il mercato, sul decumano massimo, offriva una pianta assai singolare: da un vestibolo semicircolare, fiancheggiato da una parte e dall'altra da tre botteghe, si accedeva a due cortili a colonne, pure a semicerchio: le botteghe, cinque per ciascuno di essi, erano distribuite lungo il giro degli emicicli, all'incontro dei quali era una fontana.
Un altro mercato, di maggiori dimensioni (m 38 × 25), era fuori del quadrilatero originario della città, verso O; la sua pianta era quella più comune di tal genere di edifici: un ampio cortile quadrangolare, preceduto da un portico, aveva botteghe sul lato dell'ingresso e su quello opposto, incurvato in una larga abside nel centro del cortile, era una fontana. L'edificio fu costruito al principio del III sec. da M. Plozio Fausto Serzio, che vi elevò statue di lui stesso e della moglie, Cornelia Valentina Tucciana Serzia. Un edificio attiguo, costituito da una sala rettangolare absidata, è probabile fosse una basilica vestiaria analoga ad altra di Cuicul: fu eretta da Publilio Ceionio Cècina Albino nella seconda metà del IV secolo.
Degli edifici termali, quattordici finora noti, i maggiori sono quelli a settentrione e a mezzogiorno: il primo, un quadrilatero di m 8o × 65, ripete nella pianta il tipo delle terme ad asse centrale: il suo ingresso principale era tuttavia non sulla fronte, ma sul lato orientale, preceduto da una scala monumentale. Il secondo presenta invece una disposizione alquanto asimmetrica: il complesso degli ambienti destinati propriamente ai bagni, che si susseguono con minore regolarità che altrove, è diviso, mediante un corridoio, da un ampio cortile porticato ad esedra, da una sala absidata e da una latrina, che ne costituiscono gli elementi accessori.
Degli altri edifici del genere merita di essere ricordato quello detto dei Filadelfi dall'iscrizione che accompagna il mosaico del calidario, con Giove e Antiope.
Le case costituiscono uno degli elementi di maggiore interesse della città. Esse sono di diversi tipi e di varia ampiezza: di rado esse occupano l'intera area di un'insula: più spesso ognuna di queste comprende più case divise fra loro da muri continui, e formate da uno o più ambienti disposti irregolarmente a seconda che lo spazio consigliava. D'altro lato pure di rado una sola casa copre la superficie di più di un'insula, e ciò avviene naturalmente per le abitazioni più ricche che, in una fusione di elementi in parte di origine ellenistica e in parte romani, corrispondono al tipo più comune della casa borghese africana. Fra queste sono da ricordare quella di Serzio, e quella detta dell'Ermafrodito dalla rappresentazione di uno dei mosaici che la decoravano. Nella prima, da un vestibolo aperto sul portico della strada si passa all'atrio quadrangolare, al fondo del quale è il tablino; dietro, è un peristilio con altri ambienti all'intorno. La seconda ha una disposizione meno regolare, e l'atrio si apre su un fianco, con ambienti solo su tre lati. Nelle altre case sono quasi sempre presenti, come elementi caratteristici, un atrio o piccolo cortile scoperto, generalmente al centro e, fra gli ambienti che all'intorno danno su di esso, uno sugli altri è preminente, il tablino, di solito al fondo del cortile, ma qualche volta anche su un lato, contraddistinto da una vasta apertura scompartita da colonne, e quasi sempre da una decorazione più ricca; nel mezzo del cortile è molto spesso un bacino per acqua con colonne all'intorno: si ricordano di questo tipo le case dette delle Giardiniere, di Gennaro, della Piscina, ecc.
Fulloniche, fabbriche di ceramiche e altri stabilimenti industriali completano la fisionomia della città. Delle necropoli pagane la più ampiamente esplorata è quella lungo la via di Lambesi, ad O, con tombe a sarcofago, a cassone, alla cappuccina, molto serrate l'una vicino all'altra.
In età cristiana Th. fu sede episcopale e centro di una certa importanza, soprattutto quando, alla fine del IV sec., il suo vescovo donatista, Ottato, divenne il maggiore rappresentante del movimento scismatico. All'interno della città qualche casa fu trasformata in luogo di culto, ma chiese e cimiteri sorsero prevalentemente, come di solito, fuori di essa. Nel sobborgo di O una iscrizione ha permesso di identificare la sede di Ottato: una basilica a tre navate (m 63 × 22), con la fronte, a N-O, preceduta da un atrio quadrangolare: le sono annessi una cappella absidata con cripta (m 26× 17), forse anteriore alla basilica, una casa e un battistero, prezioso per la magnifica decorazione musiva, che copre interamente sia il fondo e i gradini della vasca esagonale, che il pavimento della sala che la contiene.
Una chiesa, cui senza fondato motivo è stato dato il nome di cattedrale, è a N-O della città primitiva, vicinissimo ad essa: è di dimensioni piuttosto modeste (m 39 × 17), a tre navate, con abside sopraelevata, fiancheggiata da due cappelle minori, una delle quali con abside perpendicolare all'asse dell'edificio; manca dell'atrio; tra le costruzioni annesse la sola sicuramente identificabile e il battistero. Altre chiese minori sono sul prolungamento della via di Lambesi, a S-O del Campidoglio, fra questo e la basilica donatista, più lontano ancora verso S-O, dove si distende anche un ampio sepolcreto cristiano: le tombe, oltre diecimila, sono per la massima parte alla cappuccina, poche a sarcofago.
Dei primi tempi bizantini, costruita per ordine di Giustiniano da Solomone, è la fortezza sorta al di sopra del bacino dell'aqua Septimiana: di pianta rettangolare, con torri agli angoli e al centro dei quattro lati, conteneva all'interno le caserme, una cappella ed altri annessi non ancora bene identificati; come di solito, nelle sue mura furono adoperati largamente materiali di edifici preesistenti; si attende la pubblicazione integrale dello scavo, compiuto in questi ultimi anni.
Si è già accennato alla ricchezza e varietà di mosaici che ornavano edifici pubblici e privati; quelli a figure sono piuttosto scarsi; di gran lunga più interessanti, e che sembrano testimoniare una scuola e un gusto locali, sono quelli nei quali un ricco gioco policromo di girali di acanto e di altri motivi vegetali si compone ordinatamente secondo schemi geometrici, raggiungendo effetti singolarmente piacevoli. La scultura ci presenta invece prodotti piuttosto modesti, di carattere strettamente provinciale, siano essi stele funerarie o votive, i più interessanti sotto tale aspetto, sia che si tratti di statue iconiche o di divinità.
Bibl.: C. Courtois, Tingad. Antique Thamugadi, Algeri 1951: è una piccola pubblicazione di carattere turistico, ma aggiornata e bene illustrata; è corredata da una buona bibliografia, tra cui sono da ricordare: E. Boeswillwald, R. Cagnat, A. Ballu, Timgad, une cité africaine sous l'empire romain, Parigi 1891-1905; i rapporti di scavo di A. Ballu, Parigi 1903; 1911; M. Christofle, Algeri 1930; 1935; 1938, ecc.; F. Lassus, Le rinceau d'acanthes dans les mosaïques de Timgad, in Hommages Grenier, Bruxelles-Berchem 1962, p. 498 ss.