The Awful Truth
(USA 1937, L'orribile verità, bianco e nero, 90m); regia: Leo McCarey; produzione: Leo McCarey per Columbia; soggetto: dall'omonimo testo teatrale di Arthur Richman; sceneggiatura: Viña Delmar; fotografia: Joseph Walker; montaggio: Al Clark; scenografia: Stephen Goosson, Lionel Banks; costumi: Robert Kalloch; musica: Ben Oakland, Milton Drake, George Parrish.
A New York, una giovane coppia sposata, altoborghese, si sospetta di reciproca infedeltà: lui sostiene di aver trascorso due settimane in Florida ma porta in dono arance della California, lei rientra da una notte passata con un musicista bellimbusto accusando un improvviso guasto all'auto. Segue sentenza di divorzio, da rendersi esecutiva dopo novanta giorni e dopo che sarà stata trovata una sistemazione al cagnolino Mr. Smith. Ancora innamorati, i due mettono in atto svariate strategie per sventare i rispettivi piani 'rimatrimoniali': di lei con un allevatore dell'Oklahoma, di lui con un'ereditiera snob. Con la collaborazione di Mr. Smith, ogni situazione di crudo e comico imbarazzo in cui ciascuno dei due si sforza di mettere l'altro non fa che riavvicinarli, fino alla riconciliazione, in una casa di campagna nel Connecticut, allo scoccare della mezzanotte che dovrebbe inaugurare ufficialmente il loro divorzio.
Leo McCarey gira questa screwball comedy pura e dura nel 1937, l'anno per lui cruciale che vede uscire sugli schermi anche Make Way for Tomorrow (Cupo tramonto), amaro racconto sulla separazione di due vecchi coniugi che la crisi ha impoverito e non possono più permettersi di vivere insieme: capolavoro incompreso, è forse il più grande film americano sugli anni di Depressione, destinato però a un pesante insuccesso che ferisce profondamente il suo autore. Nell'esilarante leggerezza, e anche nell'esplicita funzione di risarcimento ("darò al pubblico quel che il pubblico vuole"), The Awful Truth risulta comunque legato al film precedente da una vena nascosta d'inquietudine. È ancora un film sul matrimonio, e sull'indistricabile intimità che esso produce; è ancora un film sulla perdita e la separazione, qui solo provvisoria ma non priva di nervosa angoscia, di due persone che si amano.
Qual è l'orribile verità cui il titolo allude? Più che orribile, la verità (o la sua pretesa) appare un trascurabile ingombro, un'importuna piega sulla superficie liscia d'una commedia, o d'un matrimonio. Non saremo mai veramente sicuri dell'innocenza di Lucy (che cosa successe veramente in quella notte che certamente trascorse con Armand Duvalle, un nome che è già una caricatura romantica?), né della colpevolezza di Jerry (che cosa successe veramente in quelle due settimane che certamente non trascorse in Florida?). La verità è opaca, e presumibilmente volgare, mentre qui ci muoviamo nelle sfere alte dello stile. Il film si apre su un limpido skyline di Manhattan, quindi si chiude in un appartamento di lusso e non ne esce più, se non per entrare in un altro appartamento di lusso, o in un nightclub. In un qualsiasi spazio di ricchi all'incrocio tra sophisticated e burlesque, McCarey organizza scene da un matrimonio dove per la prima volta si spiega, senza possibilità d'equivoco, come la sola possibile sanzione amorosa e matrimoniale sia il continuare a giocare insieme, a "essere bambini insieme": è l'aureo segreto e l'assunto della commedia romantica anni Trenta, e sarà Howard Hawks a fornirne poi l'apoteosi in Bringing up Baby e la crepuscolare parodia, molti anni più tardi, in Monkey Business (Il magnifico scherzo, 1950). Così ogni 'commedia rimatrimoniale' (è stato lo studioso americano Stanley Cavell, in pagine molto illuminanti, a definire il sottogenere) lavora a riavviare il meccanismo d'un gioco inceppato; in The Awful Truth, la tentazione del teorema produce a tratti un'ala di freddezza. Eppure McCarey raccontava in tarda età d'una sua partecipazione fin autobiografica alla storia del film: "per molti versi era la storia della mia vita".
Quella storia partiva da lontano, da una commedia scritta nel 1921 da Artur Richman, rappresentata con successo a Broadway, trascorsa al cinema già due volte (una versione muta con Agnes Ayres, una del primissimo sonoro con Ina Claire); Harry Cohn ne acquista i diritti per la Columbia nel 1935 e ne affida l'adattamen-to a Dwight Taylor, che già aveva sceneggiato le schermaglie coniugali di Rogers-Astaire in Top-Hat (Cappello a cilindro, Mark Sandrich 1935) e che tuttavia indulge troppo a un disincanto di tono fitzgeraldiano, trasformando Lucy e Jerry in repliche più brillanti dei Diver di Tender is the Night. Numerose revisioni conducono infine il copione nelle mani dei coniugi Delmar, che già hanno sceneggiato Make Way for Tomorrow e scrivono sotto il comune pseudonimo di Viña Delmar, e insieme a McCarey producono la scarnificata architettura di situazioni e dialogo che il cineasta richiede: il resto sarà lavoro d'improvvisazione, scelta che provoca la disinvolta adesione di Irene Dunne e, pare, il cupo disagio di Cary Grant. Sarà proprio lui, invece, a uscire da The Awful Truth con il dono di un'identità rafforzata e smagliante: eleganza costantemente percorsa da una tentazione di follia, e da una vena di comica crudeltà.
Lucy e Jerry Warriner stabiliscono la propria relazione come campo di gioco, e il gioco può essere duro. Quel che in Hawks si configura come aperta battaglia, in McCarey è piuttosto esercizio di strategia, l'arte di precipitare l'altro in situazioni imbarazzanti. Dei bambini si condivide la propensione ludica e la lampeggiante cattiveria. Jerry se la spassa, col più festoso e perfido sorriso, mentre il goffo pretendente dell'Oklahoma trascina la raffinata Lucy in uno scomposto valzer (il pretendente è Ralph Bellamy e la scena a tre, al tavolo del nightclub, verrà ripresa, come in uno scherzo intertestuale, da His Girl Friday ‒ La signora del venerdì, Howard Hawks 1940). Lucy non si diverte di meno quando Jerry, nella sala concerti dove contava di cogliere l'ex moglie in flagrante adulterio, crolla fragorosamente dalla sedia: momento di magica semplicità e pulizia comica nel quale McCarey concentra una sapienza slapstick acquisita dirigendo i Marx e la coppia Laurel-Hardy. La loro sfida potrebbe rilanciarsi all'infinito, in piani-sequenza che lasciano a ogni gag la sua durata naturale, e con la complicità del cane-attore Asta, temporaneo transfuga dalla serie Thin Man; trova invece una tregua nel momento in cui questa coppia arriva a una simultaneità gioiosa di divertimento e umiliazione. Al termine della metaforica strada che da Reno, la città dei divorzi, li ha condotti all'inevitabile Connecticut, Lucy e Jerry Warriner sembrano aver preso coscienza di che cos'è la vita coniugale, sospensione di giudizio e vertiginoso equilibrio di dipendenza e desiderio; e McCarey ha intanto mostrato, con la prodigiosa ed astratta eleganza che gli varrà l'Oscar per la regia, come quel che conta davvero, quel che fa vivere un matrimonio e funzionare una commedia così prosciugata di deviazioni, diversivi e comprimari è (citando ancora Cavell) il coraggio "di cercare la felicità oltre il confine della quotidianità, fin dentro l'incantesimo comico".
Interpreti e personaggi: Irene Dunne (Lucy Warriner), Cary Grant (Jerry Warriner), Ralph Bellamy (Daniel Leeson), Alexander D'Arcy (Armand Duvalle), Cecil Cunningham (zia Patsy), Joyce Compton (Dixie Belle Lee), Molly Lamont (Barbara Vance), Asta (Mr. Smith).
Bert., The Awful Truth, in "Variety", October 20, 1937.
C. Silver, Leo McCarey from Marx to McCarthy, in "Film Comment", n. 5, September-October 1973.
A. Masson, L'art du détachement, in "Positif", n. 195-196, juillet-août 1977.
S. Cavell, Pursuit of Happiness. The Hollywood Comedy of Remarriage, Cambridge, MA, 1981 (trad. it. Torino 1999).
J. Harvey, Romantic Comedy in Hollywood. From Lubitsch to Sturges, New York 1987.
P. Brion, La comédie américaine, Paris 1988.
E. Kendall, The Runaway Bride. American Romantic Comedy of the Thirties, New York 1990.
Y. Deschamps, Le mouvement maccareyien, ou la synthèse trasgressive. 'Ruggles of Red Gap' et 'Cette sacrée vérité', in "Positif", n. 449, juin 1998.
Ch. Castella, Derrière l'enfant, in Leo McCarey. Le burlesque des sentiments, Paris 1998.