The Godfather
(USA 1971, 1972, Il padrino, colore, 175m); regia: Francis Ford Coppola; produzione: Albert S. Ruddy per Paramount; soggetto: dall'omonimo romanzo di Mario Puzo; sceneggiatura: Mario Puzo, Francis Ford Coppola; fotografia: Gordon Willis; montaggio: William Reynolds, Peter Zinner, Marc Laub, Murray Solomon; scenografia: Dean Tavoularis, Warren Clymer; costumi: Anna Hill Johnstone; musica: Nino Rota, Carmine Coppola.
Costumi, traffici e avventure di una famiglia mafiosa italoamericana dagli anni Quaranta. Si comincia con un matrimonio, quello della figlia di Don Vito Corleone, e si termina con una strage ordinata dal figlio di quest'ultimo, Michael, deciso a prendere saldamente in pugno le redini della famiglia dopo aver cercato in gioventù di tenersene alla larga. I problemi nascono infatti dalla concezione tutto sommato romantica che Vito Corleone ha della criminalità, un codice morale che lo spinge a rifiutare qualsiasi coinvolgimento nel traffico di droga, nuovo business sostenuto da una famiglia rivale. Si scatenano feroci rappresaglie e vendette incrociate, che coinvolgono direttamente anche il capofamiglia. Michael sopprime il boss rivale e il capo della polizia suo complice, dovendo poi nascondersi in Sicilia per sfuggire alla vendetta; ma la mano delle cosche lo raggiunge anche lì, a farne le spese è la giovanissima moglie italiana. Tornato negli Stati Uniti, l'erede di Don Vito (nel frattempo deceduto) darà una svolta durissima alla gestione del suo impero criminale, senza guardare neppure ai vincoli familiari. Tale svolta sarà più evidente in The Godfather, Part II (Il padrino ‒ Parte II, 1974), dove la biografia giovanile di Don Vito si intreccia con quella del figlio, 'costretto' a ripudiare la moglie e a eliminare il fratello maggiore, fragile ed infido. La tragedia del fato familiare prevede per Michael un futuro di dorata solitudine. Lo stesso destino si manifesterà compiutamente in The Godfather, Part III (Il padrino ‒ Parte III, 1990), allorché i tentativi di Michael, appoggiato dal Vaticano, per riconvertire in attività lecite i profitti mafiosi si spegneranno in un ennesimo bagno di sangue. Al padrino non resta che farsi da parte e lasciare spazio a un nipote più giovane e feroce.
The Godfather si sviluppa sulla linea sottile che separa la caricatura dall'apologia, la critica storica e sociologica dall'esaltazione epica. Alla sua uscita (salutata comunque dagli Oscar per miglior film, migliore protagonista maschile e migliore sceneggiatura non originale) la critica si divise nettamente fra coloro che lo trovarono retorico e sgradevolmente ambiguo e quanti, invece, ne celebrarono ‒ sui medesimi presupposti ‒ l'energia e la carica mitopoietica, applaudendo alla maturità di un regista appena trentenne. Certo, Marlon Brando con la bocca gonfia di cotone che interpreta 'il mafioso d'altri tempi', l'uomo che vive ai margini della legge ma conserva intatti il senso dell'onore, un codice morale che impone dei limiti al delitto, un commovente affetto per la famiglia e una tenera nostalgia per la patria lontana, è materia da feuilleton. D'altra parte, nel bene e nel male, tale è il romanzo di Mario Puzo da cui sono tratti i primi due capitoli della saga. Non meno stilizzati, del resto, erano i mafiosi interpretati dai vari Paul Muni, Edward G. Robinson o Boris Karloff in celebri film gangsteristici del passato. In questo caso, anzi, si può quasi dire che buona parte del fascino della storia si basa sulla tensione che viene a crearsi fra la maggioranza dei personaggi, veri e propri tipi di mafiosi desunti dalla letteratura popolare, e quel Michael Corleone magistralmente interpretato da Al Pacino che aspira a essere personaggio a tutto tondo. Detto in altri termini, la saga del padrino risulta un geniale ibrido, dove Francis Ford Coppola è riuscito a far convivere il melodramma più spudorato (direttamente omaggiato nel terzo capitolo) e gli schemi psicanalitici elementari su cui si basavano le più solide sceneggiature hollywoodiane. Il problema è quello shakespeariano del figliol prodigo che, messo di fronte alla morte del padre e alla responsabilità di una corona, dimostra di saperla portare con assoluto senso del dovere, lacerandosi interiormente nel rinnegare le aspirazioni di gioventù ma senza tentennamenti concreti. Chiaramente, il fatto che il giovane in questione aspirasse alla vita tranquilla dell'americano medio e che l'investitura del comando e l'ingresso nell'età adulta lo portino sulla strada del crimine è fattore che contribuisce non poco al fascino di The Godfather, alla sua ambiguità e alla sua tragicità di fondo. Il resto è prodotto dalla sapiente gestione di un materiale narrativo non proprio di prima mano, qualità che consente di superare anche le varie cadute di tono che pure ci sono (dalla scolastica descrizione dei rapporti fra mafia e show-business alla rappresentazione di una Sicilia patinata, da cartolina).
Peraltro, sia l'abilità di Coppola e Puzo, sia la logica del serial popolare sono forse maggiormente evidenti nel monumentale The Godfather, Part II, dove tutto assume forme radicali. La vita del padrino/padre e quella del padrino/figlio si intersecano inestricabilmente, mentre il figlio di quest'ultimo viene abortito da una madre (poi) ripudiata, donna emancipata che dà forma a quel complesso di castrazione che attanaglia un eroe ossessionato dal fantasma del padre/padrino. Come si può capire, il kitsch è sempre in agguato, ma Coppola non si è fatto spaventare ed è riuscito a condurre la saga oltre i suoi limiti, assecondando i potenziali difetti invece di cercare di nasconderli. Ecco allora, in The Godfather, Marlon Brando che soffoca nel suo aranceto sotto lo sguardo divertito di un nipotino troppo piccolo per capire, ecco la musica retorica ma saggiamente accattivante di Nino Rota. Un cast stellare serve uno stile di regia semplice e lineare, in omaggio a un classicismo al quale il cinema americano guardava già con nostalgia e al quale avrebbe di lì a poco rinunciato per sempre, anche grazie allo stesso Coppola (si pensi solo al suo film successivo, The Conversation ‒ La conversazione, 1974). Partito come saga familiare, The Godfather percorre contemporaneamente molte strade: quella dell'analisi sociopolitica (dalla corruzione delle autorità alla rivoluzione cubana), del romanzo di formazione, del gangster film tradizionale, del film di denuncia (specie nel terzo capitolo), per poi tornare dove era partito, sempre più cupo e amaro, richiudendosi su se stesso. Nel pieno rispetto delle regole della tragedia, dagli antichi greci alla New Hollywood.
Interpreti e personaggi: Marlon Brando (Don Vito Corleone), Al Pacino (Michael Corleone), James Caan (Sonny Corleone), Richard Castellano (Peter Clemenza), Robert Duvall (Tom Hagen), Sterling Hayden (capitano McCluskey), John Marley (Jack Woltz), Richard Conte (Barzini), Diane Keaton (Kay Adams), Al Lettieri (Sollozzo), Abe Vigoda (Sal Tessio), Talia Shire (Connie Rizzi), Gianni Russo (Carlo Rizzi), John Cazale (Fredo Corleone), Al Martino (Johnny Fontane), Julie Gregg (Sandra Corleone), Simonetta Stefanelli (Apollonia), Angelo Infanti (Fabrizio), Corrado Gaipa (Don Tommasino), Franco Citti (Calò), Saro Urzì (Vitelli), Sofia Coppola (bambina del battesimo).
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