The Prowler
(USA 1950, 1951, Sciacalli nell'ombra, bianco e nero, 92m); regia: Joseph Losey; produzione: Sam Spiegel per Horizon; soggetto: Robert Thoeren, Hans Wilhelm; sceneggiatura: Dalton Trumbo, Hugo Butler; fotografia: Arthur Miller; montaggio: Paul Weatherwax; scenografia: Boris Leven; costumi: Maria Donovan; musica: Lyn Murray.
Sola in una lussuosa villa di Los Angeles, Susan Gilvray crede di vedere un individuo che si nasconde nel suo giardino e chiama la polizia. L'agente sopraggiunto, Webb Garwood, non trova nessuno, ma stringe amicizia con la donna, una giovane borghese frustrata e iperprotetta da un marito, conduttore di programmi radiofonici serali, che non può darle figli. Webb non tarda a capire la situazione favorevole che gli si prospetta. Diventa l'amante di Susan e mette in atto il suo piano: una notte si insinua nel giardino, si fa credere un ladro, il marito esce e Webb gli spara. Al processo la giuria, convinta di un tragico equivoco (Webb ha difeso la casa che aveva l'incarico di sorvegliare), lo assolve. L'uomo riprende a frequentare Susan, la convince della sua innocenza, la sposa e comincia a fare affari con il denaro che lei ha ereditato. Ma Susan gli rivela di essere incinta di quattro mesi, e Webb capisce che il fatto compromette pesantemente il suo alibi. Porta la donna a concludere la gravidanza in una casa isolata in mezzo al deserto, ma al momento del parto un dottore si rende necessario: lei, ormai consapevole che Webb ha ucciso il marito per mettere le mani sul suo patrimonio, capisce che stessa sorte toccherà al medico, e gli offre l'occasione di fuggire. La polizia, avvertita, arriva alla casa e dopo un breve inseguimento colpisce Webb a morte.
The Prowler è il terzo film americano di Joseph Losey e, insieme a The Boy with the Green Hair (Il ragazzo dai capelli verdi, 1948), la migliore delle cinque pellicole che il regista realizzò nel suo paese natale, prima che la 'caccia alle streghe' scatenata dal senatore McCarthy lo costringesse a emigrare in Europa. Un altro grande inserito nelle liste nere, Dalton Trumbo, collaborò non accreditato alla sceneggiatura: insieme lui e Losey crearono il più raffinato e profondo ritratto di poliziotto violento dell'epoca ‒ un'epoca che ne avrebbe conosciuti molti, come mostrano film quali On Dangerous Ground (Neve rossa, Nicholas Ray 1951), Detective Story (Pietà per i giusti, William Wyler 1951) e Where the Sidewalk Ends (Sui marciapiedi, Otto Preminger 1950). Il milieu suburbano diventa qui un campo di battaglia, dominato dai moventi corrotti d'un uomo che, per denaro ma anche perché accecato da una distorta tenerezza, intraprende una relazione con una borghese annoiata e ne uccide il marito. La frustrazione è il fantasma che domina la scena: frustrazione professionale ed esistenziale di lui, frustrazione di lei imprigionata in un matrimonio sterile. Da qui prende forma un quadro sociale di clinica freddezza: ci sono la legge e l'ordine, e appena al di sotto relazioni umane di tragica infelicità.
Apparentemente un film di genere in piena sintonia con il suo tempo, The Prowler è in realtà qualcosa di più, un'autentica 'messa in scena analitica' che supera i codici del noir poliziesco e affronta con il linguaggio del cinema quel territorio psichico profondo che vede voyeurismo, alienazione e cieca violenza stabilirsi alla base delle relazioni sociali. Come nella grande ed esemplare vicenda di Double Indemnity, l'omicidio distrugge quella che stava per diventare una relazione autentica ‒ ma lo sguardo di Losey è qui più nettamente storico, più ricco di implicazioni direttamente sociali.
Van Heflin interpreta in modo indimenticabile il ruolo di un poliziotto segnato dalle contraddizioni di un'epoca in cui tutti i sogni americani (e istituzioni come la legge, la polizia, il matrimonio) attraversavano un processo di revisione. La figura del poliziotto, sempre sul filo dell'ambiguità, è in questo senso esemplare: immagine della 'normalità' dei tempi, come chiunque altro sogna il successo materiale, nel caso specifico la proprietà d'un lucroso hotel di Las Vegas che l'eredità di Susan gli offre infine l'opportunità di acquistare. Un desiderio così comune, legittimo, conduce il poliziotto a diventare criminale ‒ due facce della stessa sciagurata personalità. E il fatto che il suo crimine (un omicidio a sangue freddo) si realizzi, all'apparenza, quasi nel rispetto della legalità, costituisce uno dei punti centrali dell'ironia tipica di Losey. In quanto poliziotto, il protagonista è condannato solo per 'omicidio accidentale'; e il tema dell'incidente è soggetto quintessenzialmente loseyano (che nel 1967 darà il titolo a uno dei più personali film del regista). L'assassinio, falso incidente, sembra qui una mera necessità narrativa: nessuno, tanto meno gli spettatori, prova pietà per l'uomo ucciso, che viene mostrato per la prima volta pochi secondi dopo la morte. Ma centrale nel cinema di Losey resterà l'immagine d'una relazione erotica che dall'incidente viene pervertita e lentamente distrutta.
The Prowler è come un esperimento di laboratorio, un'intelligente sintesi ("James M. Cain e marxismo", nelle parole di Raymond Durgnat) organizzata in un crescendo che culmina nelle scene finali ambientate nel deserto, qualcosa di simile all'"energia cosmica delle visioni di Raoul Walsh" (J. Lourcelles): mentre si disegna un paesaggio di anime nude, la coppia costruisce una casa in un paese fantasma, e i fatti della morte sono seguiti da un fatto biologico, una vera nascita. Troppo tardi, però: Time without Pity, il tempo non ha pietà, per citare un altro grande titolo di Joseph Losey.
Interpreti e personaggi: Van Heflin (Webb Garwood), Evelyn Keyes (Susan Gilvray), John Maxwell (Bud Crocker), Katherine Warren (Mrs. Crocker), Emerson Treacy (William Gilwray), Madge Blake (Martha Gilvray), Wheaton Chambers (Dr. James), Robert Osterloh (coroner), Sherry Hall (John Gilvray).
Alst., The Prowler, in "Variety", April 25, 1951.
J. Launay, Un petit tueur et puis s'en va…, in "L'écran français", n. 340, 16 janvier 1952.
G. Bertret, Le rôdeur, in "Cinémonde", n. 911, 18 janvier 1952.
F. Colombo, Sciacalli nell'ombra, in "Rassegna del film", n. 14, maggio 1953.
Vice, Sciacalli nell'ombra, in "Cinema", n. 112, 30 giugno 1953.
Ch. Viviani, Les nuances du noir. Sur quelques films noirs connus ou moins connus, in "Positif", n. 466, décembre 1999.