The Servant
(GB 1963, Il servo, bianco e nero, 117m); regia: Joseph Losey; produzione: Joseph Losey, Norman Priggen per Springbok/Elstreee; soggetto: dall'omonimo romanzo di Robin Maugham; sceneggiatura: Harold Pinter; fotografia: Douglas Slocombe; montaggio: Reginald Mills; scenografia: Ted Clements; costumi: Beatrice Dawson; musica: John Dankworth.
Un domestico compassato, Hugo Barrett, viene assunto dal giovane aristocratico Tony Mountset perché si occupi della sua casa in stile georgiano a Chelsea. L'esperto Barrett trasforma la magione, vuota e abbandonata, in un'elegante dimora, accudisce con solerzia il padrone e assolve con impeccabile competenza a ogni mansione domestica. L'ascendente che il domestico esercita su Tony suscita la crescente ostilità della fidanzata di quest'ultimo, Susan, che umilia spesso Barrett. L'uomo, però, conduce nella casa una ragazza, Vera, con la scusa di impiegarla come cameriera e presentandola come la propria sorella. In realtà, Vera è lì per sedurre Tony, cosa che puntualmente si verifica. Una sera, ritornando in anticipo, Mountset e Susan scoprono l'esistenza di una relazione tra Barrett e Vera. Nella discussione conseguente, affiora anche il rapporto clandestino tra il padrone di casa e la ragazza. Il domestico e la sua amante se ne vanno precipitosamente, non senza aver scagliato parole di disprezzo. Incrinatosi il rapporto con Susan, Tony cede sempre più spesso all'alcol, mentre la casa cade in uno stato di progressivo degrado. L'incontro casuale con Barrett in un pub e le rassicurazioni di futura lealtà da parte di quest'ultimo, inducono Tony a riprenderlo al suo servizio. Da quel momento, sottraendo al padrone le sue facoltà e sminuendone la dignità, in veloce progressione il domestico prende il controllo assoluto sulla casa, la riserva ad affollate orge notturne e rovescia definitivamente i ruoli, assoggettando Tony alla propria volontà.
Joseph Losey pensava a un adattamento filmico del breve romanzo di Robin Maugham fin dalla metà degli anni Cinquanta e, dopo aver convinto Dirk Bogarde ad interpretarlo, trovò nell'apporto di Harold Pinter alla sceneggiatura un filtro letterario così congeniale alle proprie ossessioni narrative che tra il cineasta e il drammaturgo si strinse un prezioso sodalizio. La figura dell'intrusione, peculiare del 'teatro della minaccia' di Pinter, domina The Servant fin dalla prima sequenza (l'arrivo di Barrett, sornione e inquietante, nella casa vuota) e ricorre, quale movenza di una precisa strategia, in altri momenti ‒ come l'irruzione intempestiva di Barrett nella sala dove Tony e Susan si stanno abbandonando alle effusioni ‒ oppure interviene in forma accidentale, ma ancora con effetti perturbanti ‒ il ritorno a casa di Tony e Susan che interrompe l'intimità tra Barrett e Vera, sospendendo provvisoriamente la trama intessuta dal domestico. L'ultima intrusione ‒ l'arrivo inopinato di Susan nella magione, dove la ragazza scopre Tony ridotto a larva, viene schernita da Barrett e costretta ad andarsene in lacrime ‒ sancisce la vittoria del servo.
L'intrusione si configura come il movimento insinuante che conduce alla graduale, inesorabile appropriazione di un'identità (Mountset e il proprio censo di 'padrone') da parte di un'altra (il 'servo'), lungo un processo di insidiosa erosione che si attua anche tramite la presa di possesso fisica degli spazi che appartengono alla sfera privata di Tony, come il bagno e la camera da letto. Il velenoso processo di sostituzione si svolge intorno (e grazie) a un elemento volutamente occulto: l'inconscia attrazione omosessuale nutrita da parte del padrone per il domestico, che affiora nella sequenza del gioco a nascondino, quando la reazione passiva del giovane Mountset, all'irrompere di Barrett nel suo 'nascondiglio', rivela il turbamento e la soggezione del sedotto nei confronti del seduttore. Questa sequenza, che sigilla i giochi puerili e spettrali scambiati sulle scale tra i due uomini, come in una morbosa regressione all'infanzia, arriva al termine di una sottile rete di trasgressioni delle forme e delle convenzioni cui Barrett sarebbe tenuto nei confronti di Mountset. Forme e convenzioni vengono progressivamente destituite di senso dal domestico, che depaupera Tony dei suoi crismi di casta per rivestirsene egli stesso, compiendo le premesse racchiuse nelle prime immagini, dove il privilegiato appare come il più debole e vulnerabile (quando dorme inerme su una sdraio) e il subordinato come il più dotato di astuzia ed energia (lo straordinario Dirk Bogarde conferisce al personaggio una maschera di complessa, sfuggente enigmaticità).
I conflitti sociali che stavano fermentando nella Gran Bretagna dell'inizio degli anni Sessanta non sono calati da Losey e Pinter in un dialettica astratta e didascalica, ma in una torbida scacchiera di inganni e sopraffazioni, in un gioco al massacro dove le peculiarità di arroganza, cinismo e indifferenza dell'esponente della classe dominante si trasferiscono, accresciute in densità e ferocia, al membro della classe tradizionalmente sfruttata. Come sempre nei migliori film di Losey, le tinte dell'ambiguità, che avvolgono questo perverso trapasso dei poteri come la silenziosa tensione erotica che intercorre tra i due uomini, colorano il ventaglio delle pulsioni, delle derive autodistruttive, del mistero e delle miserie dei personaggi. Le ambiguità che si insinuano tra le figure si riflettono in una dimensione sensuale e carnale, dove la presenza felina e conturbante di Vera diviene una sorta di 'doppio' dello stesso Barrett, e le proiezioni di ombre giostrate dalla splendida fotografia di Douglas Slocombe suggeriscono le latenti minacce della corporalità dei personaggi (ad esempio la sequenza della scoperta dei reali rapporti tra Vera e Barrett, in cui appare l'ombra di quest'ultimo, affacciato senza vestiti in cima alle scale, mentre rimane in silenzio, senza indietreggiare a nascondersi all'arrivo del padrone). Lo spazio lussuoso e accogliente della casa, con la lunga scala che si avvita ai piani superiori (un elemento scenografico prediletto da Losey per osservare dal basso e dall'alto i suoi personaggi che vacillano, come accade in Accident ‒ L'incidente, 1967, e in M. Klein ‒ Mr. Klein, 1976), è un teatro di specchi riflettenti l'immagine opaca e deformata del padrone e quella rapace del servitore, uno spazio che sembra protetto dalla realtà ma reca i segni tangibili della decadenza di Tony (quando rimane senza il suo 'servo') come, più avanti, della violazione rappresentata da quella sinistra folla di apparizioni orgiastiche convocata dal luciferino Barrett.
Interpreti e personaggi: Dirk Bogarde (Hugo Barrett), James Fox (Tony Mountset), Sarah Miles (Vera), Wendy Craig (Susan), Catherine Lacey (Lady Mountset), Richard Vernon (Lord Mountset), Ann Firbank (dama dell'alta società), Doris Knox (signora anziana), Patrick Magee (vescovo), Jill Melford (ragazza al ristorante), Alun Owen (vicario), Harold Pinter (uomo dell'alta società), Derek Tansley (maître d'hotel), Brian Phelan (uomo del pub), Hazel Terry (donna con il cappello).
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Sceneggiatura: in "Filmcritica", n. 149, settembre 1964; in H. Pinter, Five screenplays, London 1971.