Vedi THEODOROS dell'anno: 1966 - 1973
THEODOROS (Θεόδωρος, Theodorus)
I numerosi artisti greci di questo nome sono qui appresso elencati in ordine cronologico (v. anche theudoros):
1°. - Figlio di Telekles, bronzista, architetto e toreuta di Samo, attivo alla metà del VI sec. a. C.
È il primo dei personaggi di questo nome nella lista degli omonimi di Diogene Laerzio (ii, 103), attorno al quale si raccolgono opportunamente le notizie di una multiforme attività di costruttore, tecnico e scrittore di architettura, scultore e cesellatore. Diogene Laerzio ed Ecateo di Abdera (Diod., i, 98) considerano Th. figlio di Rhoikos. Maggiore consistenza ha però la tradizione che risale ad Erodoto (iii, 41) e che lo fa figlio di Telekles; Pausania conferma questa notizia e lo stesso Diodoro ricorda la collaborazione di Th. con Telekles.
La cronologia di Th. è stabilita abbastanza esattamente dal fatto che egli aveva lavorato, a detta di Erodoto, per Creso (560-548 a. C.) e per Policrate di Samo (560-525 a. C.). La tradizione raccolta da Plinio che Th. avrebbe introdotto con Rhoikos la plasticen, per quanto imprecisa nella sostanza (pare si alluda alla fusione in bronzo vuoto) e nella cronologia (troppo alta: prima del bando di Demarato da Corinto, il 657 a. C.), potrebbe essere un indizio per datare l'attività giovanile di Th. entro la prima metà del VI sec., alle dipendenze di Rhoikos (Nat. hist., xxxv, 152).
L'intervento di Th. nella costruzione del tempio di Hera a Samo, progettato da Rhoikos, è documentata da Vitruvio, che ricorda anche un suo trattato sull'architettura del colossale edificio (erroneamente detto dorico: Vitruvio, vii, praef., 12). Anche Plinio lo cita con Rhoikos e Smilis (v.) ed una volta anche solo, come autore del "labirinto" che è lo stesso Heraion (v. lemno; samo); Erodoto, che non lo nomina espressamente a questo proposito, affermando che Rhoikos era stato il "primo architetto" del tempio, mostrava di conoscerne altri. L'evidenza archeologica permette infatti di attribuire a Th. la seconda fase della costruzione, promossa da Policrate.
In un momento immediatamente precedente si dovrà forse porre l'attività di Th. con Chersiphron ad Efeso, nell'erezione dell'altro colossale periptero ionico dedicato ad Artemide: Diogene Laerzio parla del suo intervento nella fondazione del monumento, attribuendogli l'idea di gettare uno strato di carboni nell'area paludosa destinata all'Artemision. Il procedimento è attentamente descritto da Plinio, che però lo riferisce a Chersiphron; nell'incertezza della tradizione è tuttavia possibile ammettere la presenza di Th. ad Efeso al momento della fondazione del tempio, attorno alla metà del VI secolo. Del tutto incerto è invece il tempo della costruzione di un singolare edificio attribuito a Th., la skyàs, forse un padiglione circolare (Etymologicon Magnum, s. v. σκυάς) all'ingresso dell'agorà di Sparta: le osservazioni di Pausania, fanno nascere il sospetto che si trattasse di un riparo metallico (Paus., iii, 12, 10).
La presenza di Th. ad Efeso, deve essere all'origine di una voce popolare che gli attribuiva l'esecuzione in quella città della metà del simulacro di Apollo Pizio: l'altra parte sarebbe stata lavorata da Telekles a Samo, dove il monumento si conservava (Diod., i, 98). La statua ricordata anche da Atenagora come opera comune dei due (Legatio pro Christianis, 14), rappresentava il dio con le braccia stese lungo i fianchi nell'atto di camminare, cioè nello schema del koùros; l'arcaicità della figura suggeriva forse il nome di xòanon con cui veniva indicato il monumento in Diodoro, ma si trattava, secondo la stessa fonte, di una figura in bronzo fusa in due pezzi secondo una tecnica egizia.
Unanime negli scrittori è la celebrazione di Th. come bronzista: Platone lo ricordava tra i più antichi e famosi ἀνδριαντοποιόι (Ion, 533, b); Pausania attribuiva a lui solo (iii, 12, 10) o divideva con Rhoikos il merito dell'introduzione nel mondo greco della grande plastica in bronzo (a proposito della skyàs di Sparta si parla della lavorazione del ferro, ma il passo è controverso). Evidentemente si tratta della stessa tradizione elaborata in maniera più confusa, come si è visto, da Plinio, che altrove ci conserva anche notizia di un autoritratto in bronzo di Th. (Nat. hist., xxxiv, 83). La statua era celebre nell'Heraion per la finezza con cui erano stati eseguiti alcuni particolari. Nella destra la figura teneva una lima e nella sinistra su tre dita congiunte era posata una mosca: sotto le ali di questa l'artista avrebbe eseguito una piccolissima quadriga, che poi era stata staccata e portata nel santuario di Preneste.
Il monumento descritto da Plinio era certamente la statua votiva di un artista che desiderava vantare la propria tecnica di cesellatore; ciò conferma l'identificazione del nostro col Th. di Samo che aveva lavorato l'anello di Policrate, di cui parla Erodoto, ed al quale si attribuivano numerose opere di straordinaria perizia. Lo stesso Erodoto (i, 51) riteneva fondata la fama popolare raccolta a Delfi, che un grandioso cratere di argento usato nelle Teofanie, dono di Creso, fosse opera di Theodoros. Un altro cratere d'oro e la celebre "pergola" di vite, con foglie d'oro e frutti di pietre preziose, dei re persiani, erano creduti opere del nostro (Athen., xii, 514, f).
La fama dell'ingegno vastissimo di Th. è confermata dalla notizia di Plinio che gli attribuiva importanti innovazioni tecniche (Nat. hist., vii, 198); non è probabile che anche la presenza di un Th. pittore ad Efeso, ricordata dal solo Diogene Laerzio nell'elenco degli omònimi, possa essere messa in relazione con l'artista di Samo. Non si dovrà invece prendere in considerazione una iscrizione arcaica dell'acropoli di Atene (I. G., 12, 598) dove ricorre il nome di Th.: essa appartiene già all'inizio del V sec. (Raubitscheck) ed il nome di Th. vi è forse stato aggiunto più tardi.
Bibl.: v. rhoikos; samo; telekles; H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, I, Stoccarda 1889, p. 30 ss.; J. Overbeck, Schriftquellen, n. 274 ss.; 284 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1917, s. v., n. 195; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 597 (distingue due artisti: l'architetto e lo scultore e toreuta); G. Lippold, Handb., III, i, Monaco 1950, p. 58 s.; G. M. A. Richter, A Catalogue of Engraved Gems, Metropolitan Museum of Art, New York 1956, p. XXXIV; S. Ferri, Vitruvio, Roma 1960, p. 250 s.; G. M. A. Richter, The Portraits of the Greeks, Londra, I, 1965, p. 31.
2°. - Architetto e autore di un trattato di architettura, nativo della Focide o di Focea nella Ionia, vissuto nei primi decennî del IV sec. a. C.
Il nome di Th. è conservato da Vitruvio, che lo ricorda come architetto ed autore di un trattato sulla thòlos di Delfi (Vitr., vii, praef., 12). La possibilità che si tratti della costruzione circolare arcaica posta entro il recinto del santuario di Apollo, nella zona del thesauròs di Sicione (v. delfi), è poco persuasiva, sia per la rarità di scritti tecnici nel VI sec. a. C., sia per la posizione di Th. nell'elenco delle fonti di Vitruvio, dove non appare tra le più antiche. L'esposizione di rigorosi principi geometrici doveva invece essere in relazione con l'architettura della thòlos costruita nel primo decennio del IV sec. nel santuario di Atena Prònaia, di cui si conservano importanti resti nella zona archeologica di Marmarià.
Circa l'origine dell'architetto, l'etnico tramandato da Vitruvio, Phocaeus, richiede il greco Φωκαεύς, cittadino cioè di Focea in Asia Minore. In realtà, l'analisi del monumento in cui vengono adottati l'ordine dorico ed il corinzio, porta a riconoscere una stretta dipendenza dall'ambiente peloponnesiaco ed eventualmente attico; pertanto se non si vuole accettare l'origine ionica di Th. come un dato di semplice interesse biografico, converrà pensare all'etnico della regione stessa di Delfi, Φωκεύς (o Φωκικός), essendo la Focide largamente aperta alla migrazione di maestranze peloponnesiache, soprattutto dall'Argolide.
Molte erano le novità dell'opera di Th., oltre alla rigorosa partizione decimale (v. delfi) e questo spiega anche l'opportunità della pubblicazione del monumento da parte dell'architetto: per la prima volta si realizzava l'organica composizione del fregio dorico in un edificio circolare, giacché la più antica thòlos di Delfi rivelava l'incongruenza della successione di metope e triglifi rispetto al ritmo delle colonne, e per la prima volta si adottava il corinzio all'interno di un edificio circolare, risolvendo il rapporto tra i due ordini con un bancone continuo addossato alla parete della cella, che permetteva di limitare l'altezza delle colonne interne. Originale era anche l'adattamento di cassettoni romboidali già usati nel tempio di Apollo di Figalia, alla copertura di un edificio circolare; funzionale e decorativo l'uso di materiali diversi, pietra di Eleusi grigia per il pavimento e lo zoccolo della cella, marmo pentelico per gli alzati, come nell'architettura attica della seconda metà del V secolo.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, il capitello corinzio di Marmarià rappresenta uno dei più antichi esemplari di questa forma, immediatamente successivo a quello di Figalia. In esso una novità che si può attribuire a Th. è la palmetta terminante con un fiore di loto rovesciato (come in alcune stele attiche dell'inizio del IV sec.), e le volute centrali e angolari formate da un unico nastro. A Th. si deve anche un sostanziale alleggerimento del grosso cesto portante, e quindi l'avvio a quella gracilitas che sarebbe stata per Vitruvio ideale dell'ordine corinzio. Anche il deciso snellimento della colonna dorica nella rotonda di Delfi avrà una crescente fortuna fino all'età ellenistica, mentre il nuovo tipo di sima a girali di acanto si diffonderà in tutta l'Argolide.
La corrispondenza di alcuni rapporti (echino-capitello, abaco-echino) lega al nostro monumento il tempio di Asklepios ad Epidauro (v.), nonostante la forma rettangolare e le dimensioni mutate, e induce a credere che il tempio di Epidauro sia stato costruito tenendo presente la thòlos di Delfi, quasi come la realizzazione dello stesso canone in un edificio rettangolare. Se a questo si aggiunge il riconoscimento della stessa personale interpretazione dinamica, si direbbe flamboyant, della decorazione, soprattutto apprezzabile nel sima di identico disegno e nel confronto tra le metope di Marmarià e i frontoni di Epidauro, e se si pensa che non più di una decina d'anni separa le due costruzioni, si potrà anche proporre l'identificazione del Theodotos (v.) di cui parla l'iscrizione del tempio di Asklepios con il Th. di Vitruvio. Non c'è difficoltà ad ammettere che nel testo latino il nome più raro Theodotus si sia alterato per la suggestione del Theodorus che precede.
Bibl.: v. delfi, Bibl., opere particolari, p. 43 s., sulla thòlos di Marmarià, inoltre: Th. Homolle, in Rev. de l'Art anc. et mod., X, 1901, p. 361 ss.; M. Schede, Antikes Traufleist-Ornament, Strasburgo 1909, pp. 9; 54 s.; 59 ss.; 65 s.; 77; 85; 87; 106; H. Pomtow, in Klio, XII, 1912, p. 281 ss.; M. Schede, ibid., XIII, 1913, p. 131 ss.; H. Pomtow, in Pauly-Wissowa, Suppl. IV, 1924, c. 1249, s. v. Delphoi; H. Möbius, in Ath. Mitt., LII, 1927, p. 175; id., Die Ornamente der Griechischen Grabstelen, Berlino 1929, p. 29; F. Schober, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, 1931, c. 145 ss., s. v. Delphoi; E. Fabricius, ibid., V A, 1934, c. 1917, s. v., n. 193; G. Lippold, in Brunn-Bruckmann, tav. 664, p. 3; W. Züchner, in Thieme-Becker, XXXIII, 1939, p. 591; D. S. Robertson, Handbook of Greek a. Roman Architecture, Cambridge 2a; 1943, pp. 141; 328; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950, pp. 219; 234 ss.; L. T. Shoe, Profiles of Western Greek Mouldings, Roma 1952, p. 161; S. Ferri, Vitruvio, Roma 1960, pp. 250; 252; G. Roux, L'architecture de l'Argolide aux IVe et IIIe siècles a J. C., Parigi 1961, pp. 321 ss., 335; 362 ss.; 404; 449.
3°. - Scultore di Atene, attivo alla fine del IV sec. a. C.
È noto dalla firma su di una base di statua da Tlos, in Licia: la cronologia è suggerita dai caratteri epigrafici.
Bibl.: G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1920, s. v., n. 197; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 599; G. Lippold, Handb., III, i, Monaco 1950, p. 304.
4°. - Architetto greco attivo in Egitto nel III sec. a. C.
Numerosi frammenti di papiro del Fayyūm conservano la documentazione dell'attività edilizia e dell'impianto di canali nel distretto di Arsinoe, già Crocodilopoli (v.), al tempo di Tolemeo II Filadelfo (283-247-6 a. C.), sotto la direzione dell'architetto Kleon (W. M. Flinders Petrie, Papyri, i, 1891, n. 30; ii, 1893, n. 4, 6, ii, 13, 16, 42; iii, 1905, n. 42). In occasione della visita di Tolemeo ad Arsinoe nel 253-2 a. C., sembra che Kleon sia caduto in disgrazia del sovrano; il suo aiutante Th. (ὑπαρχιτεκτων, Pap., ii, n. 15; iii, n. 43) l'avrebbe allora sostituito (Pap., ii, 138 b). Nel 246 a. C. era infatti ricordato Th. come sovrintendente di tutte le opere pubbliche (ἀρχιτέκτον τῶν ἐν τῷ νόμῳ, Pap., iii, n. 119, 128). Nel territorio si conservano resti di edifici tolemaici di incerta cronologia (v. fayyūm, fig. 731).
Bibl.: W. M. Flinders Petrie, Hawara, Biahum a. Arsinoe, Londra 1889, p. 56 ss.; Bouché Leclerq, in Rev. Ét. Gr., XXI, 1908, p. 121 ss.; U. Wilcken, Grundz. u. Chrestom. d. Papyruskunde, Lipsia-Berlino 1912, I, p. 332; Tittel, in Pauly-Wissowa, Supll. IV, 1924, c. 909 ss., s. v. Kleon; E. Fabricius, ibid., V A, 1934, c. 1917, s. v., n. 194; W. Züchner, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 599, s. v.
5°. - Pittore di Samo, ricordato, da Plinio nell'elenco degli artisti non ignobiles, come allievo di Nikosthenes (v, 20) insieme a Stadios (Nat. hist., xxxv, 146).
I pochi elementi della notizia pliniana sono a loro volta oggetto di dubbia interpretazione, sicché la ricostruzione del personaggio è delle più incerte. L'etnico Samius è un antico emendamento del sannos dei manoscritti, che potrebbe anche nascondere il nome di un terzo condiscepolo. Il maestro non è altrimenti noto, e si è pensato, sia pur arbitrariamente di sostituirvi il nome di Nikomachos (Six). Stadios potrebbe essere lo scultore Stadieus maestro di Polykles, vissuto tra il III ed il II sec. a. C.: in tal caso la cronologia non impedirebbe l'identificazione con Th. 7°, o con Th. 6°, per il quale però crea una difficoltà l'etnico ateniese. Il problema prosopografico sarebbe poi del tutto spostato seguendo l'identificazione, non improbabile (Six), con il pittore Theoros o Theon di Samo, vissuto attorno all'anno 300 a. C.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, 2114; H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 285; J. Six, in Röm. Mitt., XXXII, 1917, p. 198; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 19334, c. 1920, s. v., n. 200; id., ibid., III A, 1929, c. 1937, s. v. Stadios; A. Rumpf, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 599; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 206.
6°. - Pittore di Atene, di età incerta.
È ricordato da Diogene Laerzio al tredicesimo posto nella lista degli omonimi ('i, 104); la fonte di Diogene è Menodotos, forse lo storico di Perinto vissuto tra il III ed il II sec. a. C.: se questi è anche l'autore delle "antichità di Samo", si potrebbe proporre l'identificazione con Theodoros 5°.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 2149; H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 285; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, II, Monaco 1923, p. 918; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, c. 1920, n. 202; A. Rumpf, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 599.
7°. - Pittore greco.
È ricordato da Diogene Laerzio al dodicesimo posto nella lista degli omonimi (il, 103) senza indicazione dell'etnico. La citazione da Polemone, vissuto all'inizio del II sec. a. C. è l'unico elemento cronologico, che non impedisce l'identificazione con uno dei pittori precedenti.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 2149; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1920, n. 201; v. anche th., 6°.
8°. - Figlio di Poros, scultore di Argo, attivo tra il II ed il I sec. a. C.
Il nome di Th. è stato letto in una iscrizione dell'Asklepieion di Epidauro, dove già si era identificata erroneamente la firma di un Thysandros o Ethelandros (H. von Gaertringen). La corretta lettura dell'epigrafe, incisa su di una base di calcare, permette invece di riconoscervi lo stesso Th. già noto da una firma ad Hermione nell'Argolide (I. G., iv, 687). L'età tardo-ellenistica delle due iscrizioni è suggerita dai caratteri epigrafici.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 1584; E. Loewy, I.G.B., n. 263; H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, I, Stoccarda 1889, p. 419; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, s. v., n. 198; id., Handb., III, i, 1950, p. 380; la lettura Ethelandros, in I.G., IV2, 699; Thysandros, in I.G., IV, 1482; E. Loewy, I.G.B., n. 268; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 753; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXIII, 1939, p. 125; la restituzione definitiva è di J. Marcadé, in Bull. Corr. Hell., LXXV, 1949, p. 133 ss.
9°. - Pittore di Efeso, di età incerta.
È ricordato da Diogene Laerzio al quattordicesimo posto nella lista degli omonimi (ii, 104); la citazione è tratta dal Περὶ γραϕικῆς di Theophanes, forse lo storico ed uomo politico di Mitilene vissuto nel I sec. a. C.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 28115; H. Brunn, Gsch. Griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, pp. 285, 293; E. Pfuhl, Malerie u. Zeichnung d. Griechen, II, Monaco 1923, p. 918; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1920, s. v., n. 203; A. Rumpf, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 599; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 206.
10°. - Scultore greco attivo nei primi anni dell'èra volgare, autore di alcune Tabulae Iliacae (v.).
Th. ha firmato l'esemplare più completo, al Museo Capitolino, ed altre tre tavole. Notevole è l'unità iconografica e stilistica tra queste e le altre copie che non conservano il nome dell'autore: tuttavia non è possibile attribuire ad una sola persona l'esecuzione materiale di tutte le tavole iliache, che dovevano essere state riprodotte in gran numero e richiedevano un paziente lavoro di incisione del marmo e di dipintura. Infatti si è conservato almeno un altro nome, Polyneikes, di scultore di tavole iliache (v. afrodisiade, Scuola di A.). Il disegno e la disposizione delle scene, che rivelano una vivace cultura figurativa, risalgono certamente ad una sola personalità di artista, ma è incerto se a questo si debba dare il nome di Th. (Bulas): egli infatti può essere stato come Polyneikes un semplice copista, in una bottega che, per l'organizzazione del lavoro sarà stata simile alle imprese editoriali, dove pure c'era il problema della riproduzione in serie delle illustrazioni dei manoscritti.
Bibl.: v. tabulae ilicae, inoltre: H. S. Jones, Catalogue of Sculptures in the Museo Capitolino, Oxford 1912, p. 165 ss., n. 83, tav. 41; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1920, s. v., n. 199; G. M. A. Richter, Three Critical Periods in Greek Sculpture, Oxford 1951, p. 47, n. 9; J. M. C. Toynbee, Some Notes on Artists in the Roman World, Bruxelles 1951, p. 22.
11°. - Scultore greco di Tebe, di età incerta.
È noto solo dalla lista degli omonimi di Diogene Laerzio (ii, 103), dove figura all'undicesimo posto.
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 1579; H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, I, Stoccarda 1889, p. 297; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1920, s. v., n. 196; W. Déonna, in Dédale, II, Parigi 1931, pp. 47, 87, 88, n. i; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. 597; G. M. A. Richter, in Encicl. Univers. dell'Arte, II, Roma 1958, c. 183, s. v. Attici e Beotici centri e tradizioni.