THEOPHANU
– Nipote dell’imperatore bizantino Giovanni I Zimisce, nacque all’incirca nel 960; i genitori non sono stati identificati con certezza.
Fu moglie dell’imperatore Ottone II. Il matrimonio del figlio ed erede di Ottone I e di Adelaide di Borgogna – incoronato come co-imperatore il giorno di Natale 967, a dodici anni – fu subito progettato dall’imperatore per consolidare il proprio potere secondo un modello a un tempo carolingio e bizantino, e una consorte adeguata fu cercata a Costantinopoli.
Una prima ambasceria, guidata dal vescovo di Cremona Liutprando (968), non ebbe successo, in quanto l’allora imperatore Niceforo II Foca non dimostrò alcun interesse all’alleanza matrimoniale se non in cambio di inaccettabili concessioni. Ma una seconda ambasceria fu inviata dopo la morte di Niceforo (969), assassinato dal generale Giovanni Zimisce che gli succedette (e governò in luogo degli eredi legittimi). Zimisce accettò di concludere un matrimonio che avrebbe potuto rafforzare il suo potere a Bisanzio; ma non potendo o volendo, data la sua posizione politicamente fragile, concedere in sposa una principessa ‘porfirogenita’, cioè nata nella sala dalle pareti tappezzate di sete porporine destinata al parto delle imperatrici in carica, come si desiderava in Occidente, scelse Theophanu, probabilmente una sua nipote, appartenente a una famiglia della media aristocrazia provinciale.
Theophanu fu comunque riccamente dotata (secondo tutte le fonti: ma del suo corredo di rango regale nessun oggetto è stato identificato), e Giovanni Zimisce le assegnò anche dei diritti sull’Italia meridionale (sulla quale Bisanzio non esercitava alcun potere reale; ma la circostanza consentì poi a Ottone II di vantare pretese su una parte d’Italia che non era mai entrata veramente a far parte dell’Impero). Il matrimonio venne celebrato in S. Pietro il 14 aprile 972 e il documento dotale, scritto in lettere d’oro su una pergamena tinta di porpora, ancor oggi conservato, è di per sé opera di indiscutibile magnificenza e del tutto inusuale nel mondo occidentale. Theophanu quel giorno venne anche incoronata imperatrice e le venne attribuito non solo l’ormai consueto titolo di consors regni ma anche quello di coimperatrix.
La giovane bizantina, a quanto narra lo storico Tietmaro vescovo di Merseburg, non aveva incontrato il gradimento di una parte dell’aristocrazia sassone proprio per le sue origini modeste; qualcuno si sarebbe spinto tanto avanti da proporre ad Ottone I di rispedire a Bisanzio la fanciulla, ma l’imperatore considerò comunque conveniente il matrimonio. Del resto in Germania, ove la famiglia imperiale rientrò di lì a poco dopo un soggiorno in Italia che si era protratto per alcuni anni, il ritorno di Ottone I venne accolto con grande favore.
Quando l’anno successivo (973) Ottone I morì dopo una brevissima malattia, il potere rimase nelle mani di un sovrano appena diciottenne (che, oltre tutto, conosceva assai poco i territori che era chiamato a governare e aveva scarsissimi rapporti con i grandi dell’Impero); e la moglie straniera non gli poteva essere di nessun aiuto. Theophanu probabilmente non conosceva neanche la lingua parlata dai suoi sudditi e non poteva contare su alcun tipo di appoggio, essendo totalmente estranea all’ambiente in cui era stata chiamata a vivere. Perciò l’imperatrice vedova Adelaide, donna di provate capacità politiche e che era stata un valido aiuto per il marito data la sua rete di parentele e relazioni, continuò ad esercitare un ruolo di primo piano accanto a Ottone II. Lo accompagnò in un lungo viaggio attraverso le più importanti regioni dell’Impero per conoscere e farsi conoscere dalle potenti aristocrazie locali, e nei diplomi del figlio è menzionata numerosissime volte come interveniente.
Dopo circa un anno di fruttuosa collaborazione i rapporti tra madre e figlio cominciarono a guastarsi per ragioni personali e politiche, sino a rompersi quando Ottone II marciò in armi contro Lotario re dei Franchi occidentali, genero di Adelaide, arrivando fino a Parigi che non occupò pur potendolo fare, sicché l’imperatrice vedova ruppe ogni rapporto col figlio, ritirandosi presso la corte del re di Borgogna suo fratello; al contempo la posizione di Theophanu a corte si rafforzò. Non solo aumentarono (col venir meno di Adelaide) le menzioni dell’imperatrice come interveniente nei diplomi, ma nacquero ben cinque figli in cinque anni: Sofia (975), destinata a diventare badessa di Gandersheim; Adelaide (977), la futura badessa di Quedlinburg; Matilde (978), l’unica destinata alle nozze; un bambino morto in fasce tanto che non se ne ricorda neppure il nome (979) e infine, nel 980, Ottone, il figlio maschio destinato a succedere al padre.
In quell’anno, in previsione di una ripresa di interesse per l’Italia, Ottone cercò la riconciliazione con la madre, il cui appoggio gli era necessario vista l’influenza di cui continuava a godere nel regnum Italiae, di cui tanto a lungo aveva portato la corona; ristabilito l’accordo grazie alla mediazione di Maiolo abate di Cluny, scese in Italia pochi mesi dopo la nascita del sospirato erede.
Ottone trascorse a Roma il Natale del 980 e la Pasqua dell’anno successivo, preparando una grande spedizione in Calabria, allora continuamente minacciata dalle incursioni saracene, spedizione cui avrebbero dovuto contribuire, con contingenti di cavalieri pesantemente armati, vescovi, abati e grandi signori. Egli realizzava in tal modo il primo dovere di un sacro e romano imperatore, la difesa della Cristianità, ma – al contempo – si presentava come protagonista sulla scena dell’Italia meridionale, in cui i rapporti tra i due imperi, anche dopo il matrimonio con Theophanu, restavano incerti e conflittuali, tanto più che la Calabria era allora largamente grecofona e saldamente legata a Bisanzio.
La spedizione si concluse con un disastro: l’esercito imperiale fu annientato nel Sud della Calabria (13 luglio 982); nella battaglia perì il fior fiore della grande e media aristocrazia tedesca e lo stesso Ottone rischiò di cadere in mano saracena.
Senza che Theophanu sia menzionata esplicitamente nel testo, è probabile che Bruno di Querfurt pensasse all’influenza perniciosa dell’imperatrice, quando, in seguito, accusò l’imperatore di aver prestato orecchio ai discorsi «infantili» delle donne. Vi fu poi chi (come Alperto di Metz) più tardi sostenne l’accusa a Theophanu di essersi addirittura rallegrata per l’esito della battaglia a dimostrazione del fatto che la graeca, come spesso veniva definita Theophanu, continuò a lungo a essere avvertita come estranea e pericolosa.
A peggiorare la situazione, quando la notizia della sconfitta subita in Calabria raggiunse la Germania, gli Slavi si rivoltarono annientando una buona parte delle conquiste di Ottone I sul confine orientale e distruggendo le sedi vescovili della provincia di Magdeburgo, create in funzione della cristianizzazione dell’Est. Ottone II rimase tuttavia in Italia, anche dopo la rivolta slava, con Theophanu, la madre e il piccolo Ottone (di 3 anni). Alla Dieta di Verona (giugno del 983) fu deciso – per garantire la stabilità dell’Impero di fronte a qualsiasi imprevisto – che quest’ultimo venisse incoronato re al più presto possibile; fu affidato alle cure dell’arcivescovo di Magonza e incoronato ad Aquisgrana (dicembre del 983).
Nel frattempo Ottone II morì (7 dicembre 983) e forse la volontà di Theophanu non fu estranea alla sua sepoltura nell’atrio di S. Pietro, dove era stato incoronato e si era sposato. Nella complicata fase che seguì, l’imperatrice (con Adelaide e Matilde badessa di Quedlinburg e sorella di Ottone II) rimase a Pavia in attesa che la situazione al di là delle Alpi si chiarisse.
Di fronte alla prospettiva di dover affrontare la minaccia slava sotto la guida di un bimbo, una parte della nobiltà si schierò infatti a fianco di Enrico di Baviera, che il cugino Ottone aveva per anni confinato ad Utrecht e privato dei suoi beni e titoli, il quale si fece consegnare il piccolo re cui contendeva la corona; ma grazie all’appoggio di Willigis arcivescovo di Magonza, di Ildeboldo di Worms e di gran parte della nobiltà sassone venne raggiunto un accordo.
Ottone, riconosciuto re, fu restituito (giugno del 984) alla madre, cui fu riconosciuta la reggenza, mentre a Enrico di Baviera veniva restituita la Baviera e perdonato il tentativo di usurpazione. Iniziarono così gli anni in cui Theophanu esercitò personalmente il potere, sia pure con l’appoggio e il consiglio di chi l’aveva aiutata a conservare il trono per il figlio. Il giudizio degli storici è sostanzialmente positivo sulle sue capacità di governo; negli anni successivi molti dei territori perduti vennero riconquistati, mentre Theophanu, forse memore della prassi diplomatica bizantina, stabiliva rapporti più distesi con i pericolosi vicini, Miezko di Polonia e Boleslao di Boemia, tracciando – secondo alcuni interpreti moderni della sua politica – la via che avrebbe poi percorso il figlio intorno al Mille.
A lungo Theophanu, troppo impegnata al di là delle Alpi, lasciò che Adelaide garantisse gli equilibri in Italia. Ma, nel 989, decise di attraversare le Alpi per far sentire il peso del suo potere. A Pavia, la capitale del regnum Italiae, Theophanu avrebbe introdotto una radicale riforma della Camera, attribuendo la carica di magister Camerae (responsabile del Tesoro) a un greco di Calabria, Giovanni Philagathos (il futuro antipapa Giovanni XVI), che godeva da anni della sua fiducia tanto da essere stato padrino di battesimo di Ottone III (e già nel 982 Ottone II lo aveva scelto quale abate della potente abbazia di Nonantola e, forse, come suo cancelliere per l’Italia: Huschner, 2000).
A quegli anni risale probabilmente una tavoletta eburnea in cui Giovanni appare inginocchiato ai piedi di Ottone II nell’atto della proskỳnesis; l’imperatore è ritratto insieme a Theophanu, entrambi in vesti imperiali, ai lati del Cristo benedicente (una riproduzione della tavoletta, ora nel Museo di Cluny in Körntgen, 2001, pp. 129-131 e in Thietmars Welt..., 2018, p. 426). È questa l’unica rappresentazione della coppia imperiale. Theophanu, restata vedova, nel 987 gli aveva affidato il compito di fornire un’educazione ‘greca’ al figlio (mentre suo precettore era designato il vescovo Bernward di Hildesheim), e ne aveva favorito la nomina a vescovo – poi arcivescovo – di Piacenza.
La nomina di Giovanni Philagathos alla testa della Camera pavese rientrava nel progetto di Theophanu di imporsi in Italia a scapito di Adelaide che, offesa per l’iniziativa della nuora, si ritirò una volta di più in Borgogna.
Come collaboratori di Giovanni furono scelti due uomini di fiducia dell’imperatrice, il conte Sigfrido di Lussemburgo (nel testo delle Honorantiae civitatis Papie, Siccus) e il conte Nanno (nello stesso testo, Nannus). Da quanto si può capire dalla fonte, critica fino all’insulto nei confronti della graeca e del suo protetto, il progetto di Theophanu mirava a stabilire a Pavia un sistema di riscossione fiscale centralizzata sul modello bizantino che ledeva molti interessi locali.
Al soggiorno italiano dell’imperatrice si collegano anche due documenti in cui Theophanu compare, in modo del tutto eccezionale, come attore al posto del figlio.
In uno dei due testi, un mandato per Farfa del 1° aprile 990 conservato in copia nel Regesto di Farfa, porta il titolo di imperator e il suo nome, per ignoranza del copista che non conosceva l’esistenza di Theophanu, è erroneamente mascolinizzato in Theophanius. I due documenti furono probabilmente redatti da Giovanni Philagathos, che avrebbe seguito l’uso bizantino, già documentato per Irene all’inizio del IX secolo, di attribuire il titolo al maschile a un’imperatrice reggente.
Ritornata al di là delle Alpi, Theophanu festeggiò la Pasqua del 991 a Quedlinburg; nell’abbazia sassone erano presenti anche Miezko di Polonia, Boleslao di Boemia, Ugo di Tuscia e molti vescovi e grandi signori, segno del generale riconoscimento di autorità che l’imperatrice aveva ottenuto.
Raggiunto l’apice del potere, Theophanu venne improvvisamente a mancare: il 15 giugno 991 morì a Nimega e il suo corpo venne trasportato a Colonia dove venne inumato, come da lei richiesto, nella chiesa dedicata a s. Pantaleone, che aveva dotato, alcuni anni prima, di nuove reliquie del santo.
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