THOLOS (ϑόλος, m. e f., tholus, m.)
Costruzione rotonda (Suda: οἶκος περιϕερής; Hesych., s. v. στρογγυλοειδὴς οἶχος; Etym. Magn., i, 246; Harpokrat., 48; Vitr., 7, s; Varr., Rer. Rust., 3, 5) con copertura conica (Hesych.: οἶχος εἰς ὀξὺ ἀπολήγουσαν ἔχων τὴν στέγην). Nell'accezione più antica th. è intesa come cavità sotterranea o semisotterranea, interpretata come magazzino (Od., xxii, vv. 442; 459-466, nel recinto della casa di Odisseo). L'ambivalenza del termine (che corrisponde talora a mutamento di genere) è stata spiegata tenendo presente le abitazioni preistoriche a pianta circolare, ricostruite congetturalmente (Bulle) con copertura ogivale e le capanne seminterrate a peristasi lignea (cfr. Noack, Pfuhl, citt. itifra). Si sono citate anche le tende dei nomadi e le costruzioni mesopotamiche con copertura ad alveare o a pan di zucchero (rilievo di Sennacherib, Ninive). La th. risalirebbe nell'ambiente greco fino al Neolitico (Orchomenos, Sesklo) e in quello cretese al Minoico, con accezione religiosa (Lawrence, sulla base dell'edificio rotondo di Gazi). Del resto l'attribuzione di thòloi all'architetto Agamedes, connesso con Trophonios, riallaccia il tipo monumentale alla preistoria semileggendaria dell'architettura greca, segno che si aveva coscienza della sua alta antichità.
La menzione specifica di th. non è frequente nell'antichità, come non sono numerosi gli esemplari conservati: la th. ha quasi un carattere di eccezionalità architettonica, almeno intesa come edificio rotondo con o senza peristasi. Occorre distinguere fra questo tipo di edificio e la costruzione funeraria; le due classi non hanno alcunché di comune dal punto di vista architettonico e semantico, anche se la seconda sembra più strettamente rispecchiare il valore della parola nelle fonti, nelle quali pare enunciato più facendo attenzione al vano interno che al volume esterno dell'edificio. Ciò non toglie che sia forse esagerato considerare nel tema della th. anche cavità artificiali o regolarizzate, quale la fonte dell'Asklepieion di Atene. Ma è chiaro che le due classi sono separate anche nel tempo, in quanto la th. funeraria a camera interna era praticamente scomparsa dall'uso dei paesi classici, mentre la th. come edificio rotondo è nota soprattutto da esemplari del classicismo tardo e dell'ellenismo.
A) La th. funeraria. La costruzione funeraria può essere classificata come th. propriamente solo nei casi in cui si tratti di camera circolare o con copertura a cupola. La camera sotto tumulo, indubbiamente connessa con la tradizione preistorica, rappresenta tuttavia un'accezione originale in quanto non è solo loculo di deposizione del cadavere e del corredo, ma spazio inteso in senso architettonico (v. tomba). Come tale la th. è espressione tipica della civiltà egea: la sostituzione di blocchi relativamente piccoli ai grossi elementi del megalitismo, di cui partecipa la preistoria egea come quella delle aree continentali contigue, consente appunto di dimensionare e modellare lo spazio interno. Micene (v.), rappresentando la più alta concentrazione numerica di thòloi e offrendo la più esauriente elaborazione tecnica e la maggior complessità e ricchezza dei corredi sepolcrali, assume un valore paradigmatico. Nella classificazione che è stata fatta delle thòloi micenee (Wace) si avverte in certo senso una progressione. Il primo gruppo comprende camere sotterranee a piccolo apparecchio irregolare, elementi del portale senza decorazioni, dròmos semplicemente tagliato nel rilievo del tumulo; è esemplificato dalla th. detta di Egisto, del 1500 circa, che presenta all'interno un rapporto dimensionale approssimativamente realizzato: (diametro quasi uguale all'altezza). Un po' più recente è un secondo gruppo (Micene: th. dei Leoni), dove si impiegarono pietre squadrate e l'accesso presenta all'interno la concavità richiesta dalla continuità volumetrica del vano. L'irradiazione di questo tipo è abbastanza larga; il terzo gruppo del XIV sec. comprende con altre (th. dei Genî) il più famoso dei monumenti del genere, il Tesoro di Atreo: (v. vol. v, fig. 104). La costruzione ha qui la più esauriente elaborazione tecnica e le sporgenze dei filari sono livellate per valorizzare la continuità della superficie e permettere l'applicazione di un'ornamentazione a lastre metalliche. La presenza di una seconda camera ha fatto ritenere che in realtà la grandiosa th. (14,50 m di diametro) servisse come sede del culto funerario. Certo l'assialità precisa e il completo rivestimento del dròmos, l'elaborato e grandioso portale indicano la coscienza di un rapporto fra esterno ed interno proprio di un'opera architettonica, praticabile, non dissimulata e inaccessibile come la maggior parte delle tombe a camera tumulari delle culture preistoriche. Un'affinità stretta con il Tesoro di Atreo, presenta la th. di Orchomenos, realizzata probabilmente da un architetto miceneo. Continuazioni oltre il XIV sec. non si hanno a Micene, ed entro questo termine stanno, pare, le thòloi di Menidi, Dimini, Tirinto e Maratona; quella di Tirinto può essere, però, un po' più recente per il tipo delle profilature dei blocchi. La diffusione, larga nello spazio, relativamente esigua nel numero, delle thòloi di tipo miceneo è legata a particolari situazioni politico-sociali ed economiche, oltre che ideologiche, che ne hanno condizionato l'accettazione e la riproduzione nella vasta area d'irradiazione della civiltà micenea e determinato di frequente la sostituzione con camere scavate, come in Sicilia (S. Angelo Muxaro), che rappresentano un'alternativa funzionale e d'altro lato, qui e altrove, lo sviluppo dei tipi preistorici delle tombe a forno. Ma la diffusione delle sollecitazioni micenee ha contribuito all'acquisizione di procedimenti costruttivi, applicati poi a differenti programmi: non per nulla i Greci hanno considerato thòloi i nuraghi sardi.
Il problema delle tombe a th. in Etruria, coincidenti con il periodo di cultura orientalizzante, non si risolve con la semplice recezione orientale (e in passato le thòloi si considerarono una riprova della "provenienza" orientale del popolo etrusco), ma occorre almeno considerare la possibilità di sviluppo della tradizione della tomba a corridoio (Minto) e anche in questo caso elementi locali e acquisiti si sono certamente fusi. Anche il rapporto tra il tumulo e le camere interne è spesso diverso di fronte agli esempî micenei e del tutto indipendente dalla pratica egea è il sistema costruttivo per cui la pseudocupola è rafforzata al suo culmine da un pilone centrale, come a Casal Marittimo e nello stesso grandioso esemplare di Quinto Fiorentino. La camera è così virtualmente ad anello; il sistema si riprende molto più tardi (Tomba del Granduca) e nell'architettura funeraria romana (tomba a tumulo e a tamburo). Rilevante altresì dovunque la dimensione dei blocchi rispetto alla massa della costruzione, che enfatizza la struttura e può determinare, come alla Montagnola di Quinto, un andamento poligonale nei corsi superiori.
B) L'edificio circolare arcaico e classico. Una continuità tipologica fra la th. micenea e le costruzioni chiamate in età classica ed ellenistica con lo stesso nome non sembra potersi ipotizzare; il significato dei monumenti è male interpretabile in quanto l'edificio rotondo rappresenta di fatto un'eccezionalità nell'architettura classica ed ellenistica e non c'è una vera continuità di sviluppo tipologico. L'appellativo di th. per la Skiàs dell'agorà di Atene, eretta intorno al 470 (Andok., i, 45; Plat., Apol., 32 C; Aristot., Ath. Pol., 48, 3; Paus., i, 5) sembra popolare e secondario, in quanto come skiàs s'indicava edificio coperto per pubbliche riunioni ristrette, come a Sparta. La th. di Atene era ad ogni modo connessa con il funzionamento del collegio dei Pritani. Originariamente aptera, ricevette tardi un avancorpo a quattro colonne ioniche e, da riproduzioni monetali, sembra portasse alla sommità un elemento plastico (Svoronos). L'edificio di Atene è ad ogni modo l'unico di chiara funzione ufficiale e pubblica. Le altre thòioi note sono tutte parte di complessi sacrali, a cominciare, forse, dai resti rinvenuti presso l'Apollònion di Argo e dal piccolo edificio rotondo della prima metà del VI sec., i cui materiali furono reimpiegati nel thesauròs dei Sicioni a Delfi, sicché è probabile che anch'esso appartenesse ai Sicioni (eretto dal tiranno Clistene?). Presentava gli elementi comuni alle costruzioni posteriori: peristasi esterna e copertura conica; eccezionale nel dorico la mancata corrispondenza sintattica fra colonne e triglỳphion (ricostruzione Pomtow). Dopo questi sporadici esempî arcaici si passa al gruppo di thòloi del IV sec., iniziato nei primi decennî dall'edificio rotondo del santuario di Atena Prònaia nella Marmarià a Delfi, dell'architetto Theodoros di Focea (cfr. Vitruv., vii, praef., 12), del diametro interno di m 8,6o. Di ordine dorico con influenze attiche presentava come le posteriori costruzioni di Epidauro e di Olimpia, una peristasi più bassa del tamburo e quindi il motivo della doppia sima e della doppia inclinazione del coperto. L'impiego di una pseudo-peristasi interna diventa con l'opera di Theodoros canonica e conferisce all'interno un carattere di ritmicità e di ricercatezza avvalorata dall'uso di materiali di colori diversi. Calcolata in base a sottili rapporti (numero degli spigoli, dei fusti eguale a quello delle colonne esterne) la th. di Delfi apre in certo senso la via al secondo e poco più recente esemplare di Epidauro, opera di Polykleitos II (iniziato nel 360) dove l'ornamentazione giunge quasi alla rottura del rapporto di subordinazione alla tettonica. Più che al precedente della th. di Atene, l'introduzione eccezionale della peristasi interna (v. ordini architettonici; epidauro; polykleitos) è dovuta alle dimensioni rilevanti (diametro interno m 16,65 pari a 2/3 del diametro esterno). Nei documenti ufficiali (I. G., ed. min., iv, 1, 1929, 103) la costruzione è detta thymèle (Paus., ii, 27, 3). Ritornano al vano indiviso il Philippeion di Olimpia (iniziato nel 339) con peristasi esterna ionica (Paus., v, 17, 4; 20, 5) e pseudo-peristasi interna corinzia, illuminazione mediante finestre aperte ai lati della porta. Sappiamo che le travi della copertura conica erano tenute insieme alla sommità da un elemento di bronzo (χαλκὴ σύνδεσμος: Paus., v, 20, 9) che è stato ricostruito per ipotesi (Adler) sul tipo della cimasa del monumento di Lisicrate. L'ultimo edificio sicuro del tipo, eretto in Samotracia da Arsinoe di Lisimaco (300-281) presentava un'interpretazione semplificata: era un semplice tamburo a copertura conica, con i colonnati esterno ed interno ridotti a semplici elementi contrapposti nel terzo superiore del tamburo, che ne risultava trasformato come in una grande lanterna da cui il vano prendeva luce. Resti di una costruzione rotonda, dedicata ad Atena sono stati trovati alla sommità del kòilon del teatro di Magnesia (Kern, Insch. aus Magnesia, 216; Hiller v. Gaertringen, in Ath. Mitt., xix, p. 46). Non è chiara la fisionomia del monumento, eretto nel tardo ellenismo, forse un monoptero aperto, al pari del più recente monoptero dedicato a Roma ed Augusto sull'acropoli di Atene.
La destinazione delle thòloi resta un'incognita: l'unico elemento sicuro è che appartenevano quasi tutte a complessi sacri, ma nonostante la rarità di tali monumenti le fonti non sono esplicite sulla destinazione. Il Philippeion di Olimpia, destinato a contenere le statue dei principi macedoni, era qualcosa di mezzo fra lo heròon e il thesauròs o meglio partecipava di entrambi; destinazione di thesauròs è stata attribuita congetturalmente anche alla th. delfica arcaica riutilizzata nel thesauròs dei Sicioni. Rimane insufficientemente dimostrata l'utilizzazione come luoghi per audizioni musicali (Thiersch). D'altra parte, anche se conosciuti per epoche relativamente recenti, non si possono sottovalutare dati che pongono la th. in rapporto stretto con la sfera rituale, quelli relativi alle capanne circolari di frasche erette nelle feste Carnee (Athen., iv, 141, F) e alle thòloi fittizie di legno che si costruivano per le cerimonie annuali di Artemide Leukophriène a Magnesia. Analoga connessione sembra confermata dal nome ufficiale di thymèle usato per l'edificio di Epidauro (v.) (I. G., ed. min., iv, 1, 1929, 103) la cui interpretazione è complicata dal sistema di passaggi esistenti nel sottosuolo (forse in parte preesistenti alla costruzione di Polykleitos).
La serie delle thòloi note sarebbe così conclusa. Ad essa sono state riconnesse le costruzioni circolari sacre dell'architettura romana, il tempio B dell'Argentina, il tempio rotondo sul Tevere, il tempio stesso di Vesta nel Foro Romano, per i quali si è sottolineata specificatamente (e in ispecie per l'ultimo) l'analogia con la capanna preistorica, conservata per motivi rituali. La traduzione in pietra dell'aedes Vestae risale al 241, quando già formalmente poteva avvertirsi una recezione ellenistica, per un concetto evidentemente locale. Non c'è dubbio che la circolarità di questi edifici, potesse farli apparire come thòbi ai Greci e ai Romani di cultura ellenizzata, come più tardi simili ad una th. apparve il Pantheon a Cassio Dione (ϑολοειδές, l, iii, 27). Ma gli edifici romani mantennero caratteri proprî, principalmente il carattere costantemente templare, il podio elevato e la copertura a capanna, senza l'emergenza del tamburo sulla peristasi, conforme anche allo sviluppo in altezza sempre rilevante rispetto al diametro. Comune ad ogni modo alla th. e al tempio rotondo romano è il valore dello spazio interno, per cui non si dovrebbero considerare thòloi le rappresentazioni architettoniche di edifici rotondi a tamburo con colonne in pittura come a Boscoreale o le architetture non costruite delle fronti rupestri di Petra ("tomba con l'urna", el-Khasne). Piuttosto esse vanno ravvicinate, le ultime anche per la presenza del capitello funzionale alla sommità, con monumenti di sostegno, basamenti architettonici tipo il monumento di Lysikrates, il quale se è apparentemente ϑολοειδές, è concepito di fatto soltanto per l'esterno. Lo stesso avverrà delle trasposizioni nell'architettura tropaica (v. trofeo) anche se le dimensioni porteranno i tamburi ad avvicinarsi ai rapporti dimensionali delle thòloi.
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