Macaulay, Thomas Babington
Storico e uomo politico liberale britannico, nato a Rothley Temple nel 1800 e morto a Londra nel 1859, è stato uno dei primi studiosi a presentare M. come profeta del-l’emancipazione dell’Italia dal dominio straniero. In un lungo saggio pubblicato nel 1827 sulla «Edinburgh review», che si presentava come una recensione della traduzione francese di tutte le opere machiavelliane a cura di J.-V. Périès (OEuvres complètes de Machiavel, 12 voll., 1823-1826), e successivamente più volte ristampato nelle raccolte delle sue opere, difese M. dalle accuse di immoralità e lo celebrò come uomo totalmente devoto alla causa della libertà e del bene comune della sua patria:
È noto che Machiavelli, in tutta la sua vita, fu un ardente repubblicano; nello stesso anno in cui egli scrisse il suo manuale dell’arte di governare sofferse la prigione e la tortura per causa della libertà. Ora sembra inconcepibile che il martire della libertà abbia voluto operare proprio come l’apostolo della tirannia [...]. Noi conosciamo pochi scritti che mostrino una così alta elevatezza di sentimento, uno zelo così puro e caldo per il bene pubblico o una esposizione così giusta dei doveri e dei diritti dei cittadini come mostrano gli scritti di Machiavelli (Machiavelli, in Critical and miscellaneaus essays, 1896; trad. it. 1923, p. 10).
Secondo lo storico britannico, M. «nutriva i più forti sentimenti» per le umiliazioni e le crudeltà che gli eserciti stranieri infliggevano ripetutamente alla sua patria («la sozza intemperanza della Svizzera, la rapace avarizia della Spagna, la volgare dissolutezza della Francia»), ne identificò con lucidità le cause nella disunione politica e nella debolezza militare italiane, e si adoperò con tutte le sue forze per indicare il giusto rimedio a questi mali (pp. 47-48). La «nobile e patetica esortazione colla quale termina il Principe» (p. 54), sottolinea Macaulay, mostra quanto ardentemente l’autore desiderasse l’emancipazione dell’Italia. A questo «triste e ingrato dovere» M. dedicò tutte le sue maggiori risorse:
usando l’energico linguaggio del profeta, egli era: ‘fuori di sé per lo spettacolo che vedeva con i suoi occhi’ cioè: la discordia nel consiglio, l’effeminatezza nel campo, la libertà estinta, i commerci in rovina, l’onore nazionale macchiato ed un popolo illuminato e fiorente cessare innanzi alla ferocia di barbari ignoranti (pp. 60-61).
Come servitore della Repubblica fiorentina, ribadisce lo storico britannico, M. si comportò con impeccabile onestà e onore, e le sue idee sulla moralità erano in generale migliori di quelle che dominavano la società del suo tempo. Suo unico errore fu di presentare nei suoi scritti, con grande eloquenza e chiarezza, alcune delle massime immorali accettate dai suoi contemporanei. L’immoralità di cui è stato tante volte e tanto aspramente accusato era dunque caratteristica dei tempi, non dell’uomo, che in tutti i suoi scritti dimostrò onestà intellettuale e consigliò il male soltanto se inevitabile.
Accanto al Principe, ispirato dalla sincera e sofferta aspirazione all’emancipazione dell’Italia, e ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, opera di pensiero originale che dallo storico romano prende soltanto spunto, Macaulay elogia di M. soprattutto l’Arte della guerra per l’acuta diagnosi della vera causa dei mali dell’Italia e per la saggia prescrizione della creazione di una milizia nazionale quale unica cura. Per lo storico britannico, inoltre, la Mandragola è migliore delle migliori commedie di Carlo Goldoni e inferiore soltanto alle più riuscite di Molière: se si fosse dedicato unicamente a scrivere commedie, M. avrebbe conseguito fama imperitura. Non fu altrettanto insigne come storico: le Istorie fiorentine sono poco precise, anche se contengono descrizioni assai efficaci dei protagonisti degli eventi e utili massime di saggezza politica.
In virtù della forza profetica dei suoi scritti, M. meriterebbe un monumento alla memoria in piazza Santa Croce, nonché la riverenza di «tutti coloro che possono distinguere le virtù in un animo grande fra le corruzioni di un’età degenerata». Ma il vero trionfo di M., conclude Macaulay, sarà il pieno compimento della sua profezia morale e politica
quando il giogo straniero sarà spezzato, quando un secondo Procida vendicherà i torti di Napoli, quando un più fortunato Rienzi ristabilirà il buon stato di Roma, quando le strade di Firenze e di Bologna echeggeranno nuovamente del loro antico grido di guerra: “Popolo, popolo, muoiano i tiranni!” (Machiavelli, cit.; trad. it. 1923, p. 65).
Bibliografia: Fonti: Machiavelli, in Critical and miscellaneous essays, New York 1896 (trad. it. Machiavelli, a cura di A. Chiesa, Milano 1923).
Per gli studi critici si vedano: J.L. Clive, Macaulay, the shaping of the historian, New York 1973; J. Hamburger, Macaulay and the whig tradition, Chicago 1976; M. Cruikshank, Thomas Babington Macaulay, Boston 1978.