Three Days of the Condor
(USA 1975, I tre giorni del Condor, colore, 117m); regia: Sydney Pollack; produzione: Stanley Schneider per Wilwood; soggetto: dal romanzo Six Days of the Condor di James Grady; sceneggiatura: Lorenzo Semple Jr., David Rayfiel; fotografia: Owen Roizman; montaggio: Frederic Steinkamp, Don Guidice; scenografia: Stephen Grimes; costumi: Joseph G. Aulisi, Theoni V. Aldredge; musica: Dave Grusin.
Joe Turner lavora come lettore in una società di ricerche storiche di New York, che è in realtà controllata dalla CIA. Attardatosi per uno spuntino, quando ritorna in ufficio trova l'intero staff massacrato a colpi d'arma da fuoco. Da quel momento diventa un fuggiasco e tenta di comprendere il perché di quella strage. Contattata la propria centrale, gli viene dato un appuntamento: un suo caro amico sarà lì ad attenderlo. Joe, il cui nome in codice è 'Condor', vi si reca, ma assiste all'esecuzione dell'amico e lui stesso sfugge di poco ai colpi di pistola. Comprendendo di essere sotto tiro dovunque si trovi, rapisce Kathy, una donna incontrata per caso, e si barrica nell'appartamento di lei, che alla fine si convince della buona fede dell'uomo e decide di aiutarlo. Rintracciati dagli inseguitori i due riescono a sfuggire e a intrappolare Higgins, un alto funzionario della CIA che sembra totalmente estraneo all'accaduto e che invita Joe a proseguire nelle sue indagini restando alla macchia, così da scoprire come davvero stanno le cose. Viene a galla che il crimine era stato commissionato da un altro executive della CIA, il quale aveva ingaggiato alcuni professionisti freelance per coprire con la strage una scoperta sulla futura scarsità di petrolio dal Medio Oriente. La ragazza a quel punto lascia Joe e si riunisce al fidanzato che, ignaro, l'attende per una vacanza: Joe, ormai terrorizzato, dimostra di non fidarsi nemmeno di lei, che si allontana umiliata. Colto il mandante in casa propria, in piena notte, Joe viene a sua volta preso in trappola da Joubert, il killer francese, il quale però, con sua sorpresa, non uccide lui ma l'altro: è stato infatti appena ingaggiato da Higgins a quel fine. Joe decide allora di denunciare l'accaduto al "New York Times". Ma Higgins gli chiede ambiguo: sei certo che pubblicheranno la notizia? E se poi non la pubblicano?
Three Days of the Condor ha la qualità fondamentale di ogni vera, grande opera creativa: lo si può leggere come si vuole, e in ogni caso avrà sempre forti elementi di attrattiva e fascino. Come giallo d'azione sulla CIA è riu-scitissimo: montato in modo esemplare, non lascia allo spettatore un secondo di rilassamento, di intervallo fra un'azione e l'altra. Persino quel che alcuni hanno rimproverato al regista (la capacità di Joe di diventare una sorta di superman tecnologico) trova invece una logica ragione nel suo passato di militare addetto alle comunicazioni. L'intrigo è davvero complesso, ma la storia si muove sempre in modo convincente ‒ anche se a volte troppo in fretta per essere compresa immediatamente dallo spettatore ‒ fra i colpi di scena, le sorprese e le imboscate che essa ha in serbo per la coppia di protagonisti. Questo livello di lettura si sposa quasi naturalmente con quello politico. In pieni anni Settanta, a ridosso dello scandalo Watergate, non meraviglia un film che accusa la CIA non soltanto di fare un gioco sporco, ma addirittura di nutrire in seno segretamente un'altra CIA, lanciando così un'accusa molto grave a istituzioni governative che in quel periodo erano del resto nel mirino della protesta promossa dalle nuove generazioni.
Infine, il livello più ricco e complesso, quello che vede nella pellicola una storia che supera ogni componente politica e di genere per diventare una seria, profonda, commossa riflessione sulla solitudine e sull'impossibilità di aprirsi per davvero a un altro. L'isolamento di Joe è descritto con forti tinte esistenziali; il mirabile dialogo scritto da David Rayfiel per le prime sequenze fra Joe e Kathy non appartiene all'arsenale del film giallo e spionistico, ma alla miglior tradizione del grande cinema sentimentale. Ogni parola, ogni gesto si porta dietro allusioni e addirittura metafore che vanno oltre quella specifica situazione ‒ un uomo inseguito da un gruppo di temibili e sconosciuti assassini ‒ e rimandano a un pensiero dolente su come e quanto sia difficile entrare in un contatto profondo con l'altro, donargli la propria fiducia, e al tempo stesso accettare l'aleatorietà di quello che ci capita. Non diversamente da quanto accade negli altri film di Sydney Pollack, l'amore come momento di apertura assoluta all'altro è qui tristemente possibile solo, appunto, come eventualità breve e parentetica. Il regista ci dice insomma che un'esperienza così forte, intensa, importante, assoluta è come la nota di un registro sovracuto: essa non può durare che limitatamente e rimanere nella memoria come felicità destinata a finire.
In questo senso il film di Pollack vanta una sostanza di pensiero e sentimento in linea con la migliore narrativa, poniamo, di un Raymond Chandler: i mondi dei due autori sono ovviamente diversi, ma identica è la tensione del sentire dietro alle vicende più o meno interessanti dell'inchiesta e dell'azione. La vera magia di un film come questo è che, pur rimanendo evidentemente un prodotto molto rappresentativo del suo decennio, esso si staglia come un'opera senza tempo che si appella alla sensibilità dello spettatore per proporsi in termini di perfetta espressione di un pensiero del mondo.
Interpreti e personaggi: Robert Redford (Joe Turner), Faye Dunaway (Kathy Hale), Cliff Robertson (Higgins), Max von Sydow (Joubert), John Houseman (Mr. Wabash), Addison Powell (Atwood), Walter McGinn (Sam Barber), Tina Chen (Janice), Michael Kane (S.W. Wicks), Don McHenry (Dr. Lappe), Michael Miller (Fowler), Jess Osuna (maggiore), Dino Narizzano (Harold), Helen Stenborg (Mrs. Russell), Patrick Gorman (Martin), Hansford H. Rowe Jr. (Alfred Jennings), Carlin Glynn (Mae Barber), Hank Garrett (postino), Arthur French (fattorino), Robert Phalen (Newberry), Garrison Phillips (Hutton), John Connel (reporter televisivo), Frank Savino (Jimmy), Lee Steele (Heidegger), Norman Bush (ispettore), David Bowman (tecnico dei telefoni), Eileen Gordon (impiegata della CIA).
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