THYIA (Θυία, ion. Θυίη)
Ninfa eponima di un luogo di culto a Delfi, variamente indicata come figlia di Kephisos (Herod., vii, 178) o di Kastalios (Paus., x, 6, 4) o di Deucalione (Hesiod., fr. 5 [25] Rz.).
Figlio di Th. e Apollo è considerato Delphos, che secondo una diversa tradizione è figlio di Apollo e Melaina, altra figlia di Kephisos. Secondo Pausania (cfr. anche 4, 3), avendo ella per prima sacrificato a Dioniso in Delfi e avendo ivi condotto le danze orgiastiche, le menadi presero da lei il nome di Thyiades; un'altra interpretazione vede in Th. stessa una baccante (Θυῖα da ϑυιάς, in relazione con ϑύω).
Th. era raffigurata, con Chloris alle sue ginocchia, nella Nèkyia polignotea della Lesche degli Cnidî a Delfi (Paus., x, 29, 5 s.). È stata pure identificata nella donna seduta su roccia in una pittura pompeiana del Museo Nazionale di Napoli (inv. 9202) con le nozze di Zephyros e Chloris; e in una scena d'amore con Apollo su uno specchio etrusco (Etr. Spiegel, tav. lxxxix).
Bibl.: J. Schmidt, in Roscher, V, 1916-24, c. 914, s. v., n. 2; K. Preisendanz, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 679, s. v., n. 2; M. P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, Monaco 1941, p. 540 ss.; P. E. Arias, La Ficide vista da Pausania, Torino 1946, I, pp. 21; 74; II, pp. 22; 98. Pittura pompeiana: W. Helbig, Die Wandgemälde der vom Vesuv verschütteten Städte Campaniens, Lipsia 1868, n. 974; K. Schefold, Die Wände Pompejis, Berlino 1957, p. 124. Specchio etrusco: Th. Panofka, in Abhandl. königl. Akad. Wiss., Berlino 1852, p. 357 s.