TIANWEN TU
Termine cinese traducibile come «disegno astronomico». Le prime mappe astronomiche cinesi sono apparse in epoca molto remota e, nel tempo, hanno subito evoluzioni tecniche ed elaborazioni grafiche, e hanno preceduto, come strumento di osservazione e di studio, quelle composte in Occidente, sconfinando spesso nel campo dell'arte.
La più antica raffigurazione astronomica cinese è costituita da un'incisione rupestre risalente al Neolitico; si tratta di disegni ritrovati sul Ma'er, un picco afferente alle montagne Jinping nel Jiangsu; il disegno copre un'area di c.a 330 m2 (22 X 15 m) ed è composto da un insieme di linee che rappresentano figure umane, animali, vegetali e gruppi di stelle; inoltre, alcuni tratti sono stati interpretati come disegni di gnomoni. Le incisioni, che testimoniano una seppur primitiva tensione artistica, sono costituite da linee larghe da 2 a 4 cm e profonde mediamente 1 cm e costituiscono un importante contributo allo studio delle popolazioni neolitiche estremo-orientali.
Il più antico oggetto artistico con disegno astronomico è un coperchio di scatola (quest'ultima andata distrutta a causa dell'umidità), in lacca, con sopra raffigurati i 28 xiu (suddivisioni a spicchi della sfera celeste) e l'Orsa Maggiore (Beidou); esso risale circa al 433 a.C. (epoca degli Stati Combattenti) ed è stato rinvenuto nel 1987 nella tomba di un nobile dello stato di Zeng (il sito è a Leigudun nell'attuale provincia dello Hebei). Questo reperto è di raffinata fattura: il colore di base è nero mentre i disegni e le scritture (nomi e simboli stellari) sono in rosso; le sue dimensioni, escluse quattro protuberanze agli angoli sono: lungh. 82,8 cm, largh. 47 cm e alt. 19,8 cm; i dati astronomici che esso rivela sono molto importanti per lo studio dell'antica astronomia cinese.
Nel 1972, dal sito archeologico di Mawangdui (v.), che comprende alcune tombe del II sec. a.C., sono emersi alcuni oggetti nei quali l'aspetto artistico e astronomico sono strettamente connessi. Il più spettacolare di essi è uno stendardo funerario di seta, riccamente ornato e a forma di T. Le decorazioni sono ricche sia nella fattura che nella simbologia: il settore superiore rappresenta la regione celeste e quello inferiore la regione terrestre; le due sezioni sono separate da due guardiani celesti abbigliati da cerimonia. Nella regione celeste si stagliano il Sole (a destra) abitato dal suo animale mitologico, il corvo, e la Luna (a sinistra) con il rospo e la lepre, quest'ultima intenta a preparare in un mortaio l'elisir dell'immortalità. Sotto il Sole sono altri astri solari nei quali si riconosce il mito dell'arciere Hou Yi che li abbatté per proteggere l'umanità dal grande calore; sotto a tutto la divinità taoista Xi Wangmu, Regina Madre d'Occidente, con i suoi servitori alati, cervi e draghi. Nella regione terrestre spicca la figura di un altro personaggio mitologico, il marchese di Dai appoggiato al suo scettro, attorniato da tre dame di compagnia e da due servitori inginocchiati; tutta la scena si svolge all'interno di una cornice formata da due draghi a forma di serpente con le code allacciate. Sottostante, è una scena di offerta a un defunto il cui feretro è seguito da una processione. La parte inferiore della bandiera è dedicata al regno dei morti popolato da figure grottesche.
Un altro reperto di Mawangdui è uno scritto su seta, un intero libro, in cui vi è un'immagine policroma detta «tavola delle comete» nella quale queste vengono classificate a seconda della testa (tre tipi) o della coda (quattro tipi); di notevole interesse è che in tempi così antichi in Cina già si procedesse a studi sistematici che utilizzavano lo strumento della classificazione; altrettanto rilevante è l'aspetto grafico che mostra le comete con tratti essenziali ma efficaci e le descrive con scritture in caratteri.
Del III sec. (epoca Han), abbiamo un'incisione su lastra funeraria, su cui sono visibili alcune costellazioni e il Sole, la quale fa comprendere che a quell'epoca già era in uso rappresentare asterismi mediante configurazione di puntini e cerchi uniti da linee; va sottolineato, comunque, che l'astronomia di epoca Han, quella in cui si completò la descrizione del cielo tradizionale cinese, già conosceva 283 costellazioni (per un totale di 1.464 stelle), contro le 88 costellazioni della coeva astronomia greca. Forse fu proprio quest'abbondanza di dati che impose che le mappe stellari fossero disegnate con competenze pluridisciplinari, allo scopo di evitare affastellamenti ed errori di posizionatura. La tipologia grafica delle carte classiche è quella in cui il più antico sistema dei sette cerchi di declinazione viene sostituito da tre cerchi concentrici: all'interno del più piccolo sono posizionate le stelle visibili per tutto l'anno (circumpolari), fra esso e il secondo cerchio, che è l'equatore, sono raffigurate le stelle che hanno un sorgere e un'alzata e un tramonto eliaco; tra l'equatore e il cerchio più periferico sono gli astri che periodicamente scompaiono alla vista.
Che le carte celesti cinesi non siano da considerare soltanto una mera registrazione delle osservazioni astronomiche ma anche preziose ed eleganti testimonianze artistiche in cui i tratti, gli spazî e i volumi vengono sapientemente dosati, lo dimostrano alcuni altri magnifici esemplari. Citiamo, p.es., la carta detta «di Luoyang», perché trovata in quella città, che risale al 529 d.C. (epoca dei Wei Settentrionali): 300 stelle indicate con piccoli cerchi in maggioranza collegati da linee e la Via Lattea formata da piccole onde blu che pittoricamente ce la restituiscono nella denominazione cinese di Fiume d'Argento (Yin He). Anche la «carta di Hangzhou», che risale al 924 (Stato di Wu Yue), incisa sulla pietra tombale del re Qian Yuanguang, è un ottimo esempio di coniugazione tra la scienza e l'arte: in questo esemplare a tre cerchi, a differenza della carta precedente, poche informazioni (le 28 costellazioni degli xiu e 3 costellazioni circumpolari) ne amplificano il carattere decorativo e simbolico (le costellazioni circumpolari sono quelle relative ai titoli imperiali) proprio di un oggetto destinato a una tomba regale.
Di magnifica fattura sono due frammenti del manoscritto di Dunhuang, portati in Europa nel 1907 da A. Stein, che rappresentano, con tecnica pittorica, costellazioni e dati astronomici e sono le più antiche carte celesti vere e proprie che si siano conservate. Entrambe si datano alla fine dell'epoca Tang o al periodo immediatamente successivo (prima metà del X sec. d.C.), ma i dati astronomici raffigurati lasciano supporre che esse siano una riproduzione di carte più antiche. La prima parte del manoscritto contiene le 25 forme con cui il gas cosmico qi si materializza; nella seconda sezione sono riprodotte circa 1.350 stelle. Sono stati usati tre colori in relazione all'attribuzione delle stelle all'osservazione da parte dei tre astronomi più importanti del IV sec. a.C.: rosse quelle di Shi Shen, nere per Gan De e bianche per Wu Xian. Le stelle sono rappresentate in tre sezioni distinte secondo la proiezione cilindrica usata poi in Europa nel XVI sec. dal geografo fiammingo Gerhard Kremer (italianizzato in Mercatore); all'interno di ogni sezione sono aggiunti dei testi esplicativi in caratteri ordinati in colonna.
Un altro importante planisfero del X sec. è quello inciso sul soffitto di una camera funeraria scoperta nel 1979 a Lingan, nella provincia del Zhejiang: in origine esso contava 183 stelle, ma 13 sono scomparse assieme a un pezzo del soffitto distrutto da antichi razziatori di tombe entrati nella sepoltura. La geometria del disegno di questa mappa è singolare: le stelle delle 28 costellazioni costituenti gli xiu sono tra loro collegate da tratti mentre quelle dell'Orsa Maggiore non lo sono; le latitudini celesti sono rappresentate da tre ellissi mentre di una quarta rimangono solo tracce; il Sole e la Luna sono simbolizzati da due piccoli cerchi; la colorazione di questo eccezionale disegno è fatta riempiendo l'incisione con un impasto di argilla e coloranti.
Bibl.: J. Needham, Science and Civilisation in China, III, Cambridge 1959, pp. 275-282; AA.VV., Zhongguo Tianwen Shihua («Cronistoria dell'astronomia cinese»), Taipei 1985; AA.VV., Zhongguo Gudai Tianwen Xue Chengjiu («I successi dell'antica astronomia cinese»), Pechino 1987; I. Iannaccone, Misurare il Cielo: l'antica astronomia cinese, Napoli 1991.