TIBERINI, Mariano, in arte Mario
TIBERINI, Mariano, in arte Mario. – Nacque a San Lorenzo in Campo, a sud di Pesaro e Urbino, l’8 settembre 1826, in una famiglia di onorevoli condizioni, secondo di tre figli di Gaetano e di Marianna Pezza.
Il fratello Giovanni era nato nel 1824, Giovanna, la sorella, nacque nel 1828 e morì due anni dopo. Studiò nel collegio convitto di Pergola; ventenne si recò a Roma per diventare sacerdote. La collaborazione con un giornale politico gli costò il controllo della polizia e poi il carcere. Nel 1848, in un momento cruciale per Roma e l’Italia, decise di darsi al canto, studiando prima con Domenico Lucilla, maestro di canto, e poi perfezionandosi a Napoli con Emanuele de Roxas, compositore e direttore d’orchestra di bella fama. Debuttò nell’ottobre del 1851 al teatro Argentina di Roma, nella Semiramide di Gioachino Rossini (Idreno). Nell’autunno-inverno del 1852-53 al Carolino di Palermo fu il tenore principale nella Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini e nel Don Pasquale di Gaetano Donizetti, Macduff nel Macbeth di Giuseppe Verdi e Gondì nella Maria di Rohan di Donizetti. Nel teatro Nuovo di Napoli si esibì nella ‘prima’ di Ser Babbeo di Giuseppe Lillo (maggio del 1853).
Dall’ottobre del 1854 ai primi del 1856 si esibì in America Centrale, a San Juan de Puerto Rico, Kingston, Hispaniola, Port-au-Prince e soprattutto al Gran teatro Tacón dell’Avana e in altre città cubane, in una compagnia di giro che comprendeva Luisa (Eloisa) Caranti e Luigi Corradi Setti, debuttando in Lucia di Lammermoor, I puritani, I due Foscari, Il trovatore, Rigoletto, La traviata, Il barbiere di Siviglia, Poliuto, Maria di Rohan (come Chalais), Norma, Lucrezia Borgia. Fu acclamato, prevalendo il cantante sull’artista teatrale, con un gusto esibito per il virtuosismo. Nel 1856 passò negli Stati Uniti. Cantò Lucia di Lammermoor alla Academy of music di New York.
Per attirare l’attenzione del pubblico sul giovane tenore l’allora impresario, Bernard Ullman, orchestrò una campagna stampa sensazionale: Tiberini, discendente dell’imperatore Tiberio, di famiglia nobile, si sarebbe esibito sotto falso nome; scoperto dai fratelli, era stato costretto a fuggire e aveva optato per l’arte a dispetto dei parenti; abbandonato dalla fidanzata, ora trovava consolazione nell’affetto del pubblico straniero (cfr. Guerra, 2005, pp. 32 s.).
Entrò poi nella compagnia di Teresa Parodi, amministrata dal moravo Maurice Strakosch, figura chiave nell’organizzazione della vita musicale nordamericana. Tenne una serie di concerti a Philadelphia, Washington, Baltimora, Boston, New York City, Rochester, Buffalo, Toronto, Chicago, Saint Louis, Bloomington, Indianapolis, Cincinnati, Louisville, Detroit, Providence, Milwaukee, Albany, Hartford e Cleveland. Da gennaio del 1857 a maggio del 1858 si esibì di nuovo alla Academy of music, aggiungendo al proprio repertorio La favorita, Ernani, La sonnambula, La figlia del reggimento, Don Giovanni (Don Ottavio), Gli Ugonotti, Otello di Rossini (Rodrigo); ma nella seconda metà del 1857 fu al San Felipe di Caracas, dove debuttò nell’Attila, mentre chiuse la carriera americana al Burton’s Theatre di New York, dove aggiunse ai suoi personaggi Nemorino (L’elisir d’amore) e Carlo (Linda di Chamounix).
Nell’estate del 1858 rientrò in Europa; a San Lorenzo in Campo tenne un concerto. Acclamato, dotato di una discreta fortuna, avviò una carriera europea, scritturato dal Liceu di Barcellona, dove dal settembre del 1858 al maggio del 1859 cantò i titoli del suo repertorio, spesso in coppia con Angiola (Angelina) Ortolani Valandris (Walandris; Bergamo, 10 maggio 1834-Livorno, 31 dicembre 1913), valente soprano ch’egli sposò nel capoluogo catalano il 14 aprile 1859 nella parrocchia di S. Jaime, abitando in casa di lei nella Rambla del Centro. Da allora i coniugi formarono una coppia artistica inseparabile, e il tenore ormai famoso comparve, salvo rare eccezioni, sempre al fianco della consorte, che, pur non possedendo le spiccate doti artistico-vocali del marito, si confermò cantante di alto livello. Dal matrimonio nacquero Arturo Michele Vittorio (Torino 1860-Milano 1909; ufficiale nella Marina militare), Gaetano Mario Giovacchino (Livorno 1872-1923; visse con la madre nella Villa dell’Ardenza), Vittorio Corradino Paolo (Livorno 1875-La Spezia 1895; iniziò la carriera nella Marina militare, ma morì di scarlattina).
Al Liceu, Tiberini debuttò nell’Ebrea di Halévy e nella ‘prima’ locale della Matilde di Shabran di Rossini: l’impervia parte di Corradino divenne poi uno dei suoi cavalli di battaglia. Nell’agosto del 1859 i Tiberini rientrarono in Italia e dopo alcuni concerti e spettacoli nella città della Ortolani, Bergamo, presero dimora a Livorno, in una villa alla Rotonda d’Ardenza, conducendo una vita signorile e amando riunire nel loro salotto intellettuali, artisti e la buona società labronica. In ottobre i coniugi si presentarono alla Scala proprio in Matilde, seguita dalla ‘prima’ assoluta del Riccardo III di Giambattista Meiners e il debutto del tenore nell’Assedio di Corinto. Nel gennaio-febbraio del 1860, con Angiolina in attesa del primo figlio, i due furono al Regio di Torino, dove Tiberini debuttò nella parte di Arnoldo del Guglielmo Tell; in aprile, un mese e mezzo dopo il parto, al Regio di Parma, al Grande di Trieste, dove per la prima volta il tenore affrontò La donna del lago (Giacomo V) e Parisina d’Este di Donizetti. Il 26 dicembre Tiberini aprì la stagione di Carnevale della Scala debuttando nel Mosè (Amenofi), e di seguito vi cantò La favorita, Lucia di Lammermoor, la ‘prima’ assoluta dell’Espiazione di Achille Peri, Il barbiere di Siviglia, I Capuleti e i Montecchi (Tebaldo). Da aprile ad agosto del 1861 fu al Covent Garden di Londra, riscuotendo successo come cantante e come attore, a riprova di una raggiunta maturità; in autunno fu a Berlino. Nel 1862 al San Carlo di Napoli debuttò in Un ballo in maschera e varò il Don Carlos infante di Spagna di Vincenzo Moscuzza, del quale l’anno dopo tenne a battesimo alla Pergola di Firenze Piccarda Donati. Nel giugno dello stesso anno all’Argentina di Roma fu il protagonista nella ‘prima’ assoluta di Iginia d’Asti di Filippo Sangiorgi. Nel febbraio del 1863 al San Carlo debuttò nel Roberto il Diavolo; in primavera, alla Pergola di Firenze si cimentò con Faust di Charles-François Gounod; in settembre al Rossini di Lugo di Romagna fu il protagonista dell’Alessandro Stradella di Giuseppe Sinico. Nel gennaio del 1864 all’Apollo di Roma fu protagonista nel Don Alvaro, ossia la versione pietroburghese della Forza del destino di Verdi; in primavera alla Pergola creò I Batavi di (Louise-Pauline?) Tarbé des Sablons. Nel 1865 al Carlo Felice di Genova tenne a battesimo Amleto di Francio Faccio e al Grande di Trieste Romeo e Giulietta di Filippo Marchetti.
Negli anni seguenti, entro un’attività italiana sempre intensa, debuttò in Caterina Howard di Errico Petrella all’Apollo di Roma (Carnevale 1866), in Don Diego de’ Mendoza di Giovanni Pacini alla Fenice di Venezia (Carnevale 1867) e soprattutto nella versione definitiva della Forza del destino, alla Scala il 27 febbraio 1869: Verdi espresse giudizi lusinghieri su di lui e su Teresa Stolz (Leonora), definiti «sublimi» e «superbi» nelle lettere inviate nei giorni seguenti a Luigi Piroli, a Opprandino Arrivabene e all’editore francese Escudier. Nella stessa stagione, il 3 aprile, creò il protagonista di Ruy Blas, l’opera di Marchetti (da Victor Hugo) che fu poi tra i titoli più graditi di fine secolo. Vi cantò però soltanto alla ‘prima’, affaticato dal tour de force degli impegni. In marzo cantò alla Pergola nel Conte Ory; e fatta la stagione d’inverno e primavera 1870 al San Carlo, il 26 dicembre aprì la Scala nella parte di Vasco di Gama nell’Africana di Jacob Meyerbeer, a riprova di un repertorio invero eclettico per stile e vocalità. Nel marzo-aprile del 1868 i coniugi Tiberini erano comparsi agli Italiens di Parigi nell’amatissima Matilde di Shabran, nei Puritani e nella ‘prima’ assoluta della Contessina di Giuseppe Poniatowski; da lì passarono al Real di Madrid, dove tornarono nel 1871 debuttando nella Marina di Emilio Arrieta, titolo amatissimo in Spagna. Gli ultimi anni di carriera della coppia si svolsero nei teatri iberici, a Madrid, Cadice, Siviglia, Valencia, nonché al São Carlos di Lisbona con Dinorah. Nel 1874 tornarono in Italia per gli ultimi debutti, nella Jone di Petrella al Malibran di Venezia e nel Luigi Rolla di Federico Ricci alla Pergola nel 1876.
Tiberini morì a Reggio nell’Emilia il 16 maggio 1880, in seguito a un’operazione odontoiatrica. Pochi mesi prima era stato ricoverato nell’istituto psichiatrico S. Lazzaro di Reggio in preda a uno stato di prostrazione fisico-mentale in seguito ai rovesci finanziari patiti per investimenti azzardati. Venne sepolto nel cimitero Monumentale di Milano, dove fu poi tumulata anche la consorte, con la quale aveva condiviso vita e carriera.
Nel 1881 il teatro di San Lorenzo in Campo fu intitolato a Tiberini. Nel 1989, per interessamento di Giosetta Guerra, è stato istituito il Premio lirico internazionale Mario Tiberini, che viene conferito a cantanti lirici di spicco.
Tiberini non possedette una voce baciata dalla natura, ma grazie alla tecnica eccellente la trasformò in un magnifico strumento. Poté così affrontare le tessiture acute tipiche delle parti per tenore contraltino. Abilissimo nel canto di agilità, forte di una fluida vocalizzazione, affrontò vari titoli rossiniani e nella parte di Corradino, una delle più ardue in assoluto, assicurò la fama di un’opera già allora negletta come Matilde di Shabran. Fu uno stupendo tenore di grazia, interprete felice, ammirato e applaudito in Bellini e Donizetti. Si fece apprezzare nel grand opéra: risolveva il personaggio di Raoul negli Ugonotti evitando i turgori dei tenori stentorei. L’arte del fraseggio, il vivo senso della parola, l’indole dell’artista creatore gli permisero di cimentarsi con successo con il melodramma verdiano, realizzando parti complesse come il Riccardo di Un ballo in maschera e l’Alvaro della Forza del destino. Non a caso Aureliano Pertile, raccogliendo le testimonianze dei suoi maestri, lo additava a esempio di interprete appassionato. Nel suo canto Tiberini univa declamazione e melodia, slancio e dolcezza; indulgeva nondimeno al lavoro di cesello, cedendo al gusto per i filati e le messe di voce, con atteggiamenti tipici dell’antica scuola. L’attore aveva credibile gioco scenico, arricchito dagli splendidi costumi da lui collezionati, che indossava con fiero portamento. Si fatica tuttavia a comprendere come potessero coesistere nel repertorio di un solo cantante opere tanto diverse per stile e vocalità. Tiberini va dunque considerato un perfetto esempio di quel tipo di artista del secondo Ottocento che, formatosi sul belcanto di Rossini, si era poi saputo adattare con talento a stili di canto più incisivi e roventi. Questo genere di tenore, capace di dolcezze infinite e di sfumature a fior di labbro, era destinato a estinguersi alla fine del secolo e ai primi del Novecento, avendo per epigoni tenori del calibro di Roberto Stagno, Francesco Marconi, Fernando De Lucia e Alessandro Bonci. Al di là di ogni nostalgico rimpianto, l’arte delle sfumature, di cui Tiberini era maestro, ci permette di capire perché mai Verdi abbia disseminato le sue partiture di così frequenti inviti alla dolcezza e al pianissimo; sapeva che avrebbero potuto trovare realizzazione nell’arte dei maggiori cantanti del suo tempo, come Tiberini.
Fonti e Bibl.: F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, Torino 1860, pp. 367, 533 s.; G. Ricordi, Bozzetti artistici. Artisti di canto. Teatro alla Scala, Mario Tiberini, in Gazzetta musicale di Milano, 18 aprile 1869; R. Tomasi, Mario Tiberini, alla memoria, San Lorenzo in Campo 1882; C. Schmidl, Dizionario universale dei Musicisti, II, Milano 1938, p. 597; R. Celletti, Voce di tenore, Milano 1989, pp. 147 s.; V.B. Lawrence, Strong on music. The New York music scene in the days of George Templeton Strong, II, Chicago 1995, pp. 694 s., 716, 744, III, 1999, ad ind.; C. Springer, Verdi und die Interpreten seiner Zeit, Wien 2000, pp. 298 s.; G. Landini, Da Angelica Catalani ai Graziani e a T., in Quei monti azzurri. Le Marche di Giacomo Leopardi, a cura di E. Carini - P. Magnarelli - S. Sconocchia, Venezia 2002, ad ind.; G. Guerra, Mario Tiberini tenore (1826-1880), San Lorenzo in Campo 2005; P. Molini - P. Peretti, Cantanti verdiani marchigiani dell’800, Fermo 2017, pp. 115-120.