BORGHESI, Tiberio
Nacque a Siena da Giovanni Battista e da Aurelia Bargagli il 29 luglio 1720. Avviato allo stato sacerdotale, studiò nel locale seminario, divenendo prete il 21 sett. 1743; l'anno dopo, il 22 agosto, si laureò inutroque iure presso l'università senese. E B. fu, quindi, confessore di monache, esaminatore sinodale e poi canonico della metropolitana, finché fu destinato a reggere la chiesa di Soana, ricevendo la consacrazione episcopale il 4 apr. 1762 dalle mani del cardinale Acciaiuoli. Il governo del B. fu caratterizzato da una profonda ansia pastorale, che scaturiva da un accentuato rigorismo morale, documentato ampiamente da una orazione da lui tenuta il 18 maggio 1768 in occasione del sinodo diocesano (Admonitiones ad Clerum habitae a T. B. Episcopo Suanensi in prima Dioecesana Synodo die 18Maii 1768, pubblicata a Siena nel 1769).
In essa si prescrive ai sacerdoti l'austerità della vita, che sola può garantire il rispetto del clero da parte dei fedeli: si obbligano, perciò, i preti a vestire l'abito nero, sono proibiti i giochi d'azzardo, la frequenza dei teatri, la caccia, l'esercizio di affari lucrosi di qualsiasi genere. Tre sono gli obblighi pastorali cui i parroci sono tenuti: la residenza, la spiegazione del catechismo e l'amministrazione dei sacramenti secondo il rituale romano: a tale proposito si raccomanda loro (e ciò dimostra quanto il suo rigorismo sia lontano dai principi giansenistici) d'insinuare nei fedeli l'assidua frequenza ai sacramenti, secondo le regole dettate da s. Francesco di Sales. Il B. usa dure espressioni contro il lassismo, insorto nella Chiesa dopo il sec. XVI, e raccomanda ai confessori di non assolvere con troppa facilità i penitenti: è infatti convinto che per la remissione dei peccati è necessaria la contrizione "interna, supernaturalis, summa, universalis" (ibid., p.19), secondo la prassi e l'opinione comune dei Padri della Chiesa. Vi è, quindi, nel B. una vivace polemica nei confronti dei "novatori" nella dottrina teologica e morale, ma a differenza dei giansenisti egli si appoggia non all'autorità di s. Agostino, ma a quella di s. Tommaso (ibid., p. 29), la cui lettura consiglia al suo clero: motivo questo che rimarrà costante in lui.
Alcuni anni dopo, il 1º giugno 1772, fu trasferito alla cattedra arcivescovile di Siena, trovandosi immediatamente a contatto con il gruppo di giansenisti senesi, capeggiato da Fabio de Vecchi. I rapporti con questi furono dapprima amichevoli, poiché comuni erano l'esigenza di un più profondo impegno morale e l'avversione al gesuitismo che toccava in quegli anni, il suo culmine con la soppressione della Compagnia (1773). Il B., come del resto molti altri ragguardevoli prelati, nel suo desiderio di una riforma morale della Chiesa, guardava con simpatia alla possibilità di un recupero della Chiesa giansenista di Utrecht: ciò era, peraltro, da realizzarsi nell'ambito di un più largo spirito di unione, non con il trionfo del settarismo. Si spiega in tal modo il suo rifiuto, nel 1775, a sottoscrivere una lettera di comunione conla Chiesa ultrajettina, che fa pensare al de Vecchi a un timore dell'arcivescovo a manifestare "i segreti sentimenti del suo cuore" (Il giansenismo toscano, I, p.198). Un atteggiamento che trova conferma, nello stesso anno, nel sostanziale rifiuto del B. ad accogliere nella diocesi senese Pietro Tamburini, costretto a lasciare Roma per il mutato clima seguito alla elezione di Pio VI. Continuò, invece, ad avere piena fiducia nel de Vecchi, che creò suo vicario nel giugno 1778: ma proprio la necessità di una continua e intima collaborazione mise a fuoco la profonda diversità della loro concezione dottrinale. Le prime incomprensioni nascono nel 1780, quando il B., disapprovando le critiche "anti-romane" del de Vecchi, gli impedì di stampare una prefazione all'edizione italiana dei Pensieri teologici del padre Jamin. Il solco tra i due si approfondì quando al B. apparve chiara l'alleanza che si era stabilita, nel clima riformistico instaurato da Pietro Leopoldo, fra il gruppo giansenistaricciano e il governo toscano, con intendimenti sempre più radicali, volti sino alla possibilità di creare una Chiesa nazionale staccata da Roma. Forte fu l'opposizione dell'arcivescovo alla creazione dell'Accademia ecclesiastica senese, che, voluta dal granduca, il de Vecchi riuscì ad inaugurare nel 1783, insegnandovi teologia dommatica e, in seguito, morale. Al B. non sfuggiva il significato rivoluzionario che poteva assumere la preparazione dottrinale dei nuovi sacerdoti, sottratta all'insegnamento tradizionale di maestri ligi a Roma: oltre al de Vecchi, infatti, vi insegnava anche il giansenista ligure Del Mare. Il B. evitò comunque di prendere un atteggiamento troppo intransigente, limitandosi a impedire la diffusione delle opere più pericolose, negando, ad esempio, nel 1783 l'approvazione alla traduzione italiana della Dissertation canonique et historique sur l'autorité du Saint-Siège et les décrets qu'on lui attribue, pubblicata a Utrecht nel 1779 dal giansenista e richerista R. Duhamel. Comprensivo fu, invece, il B. nei confronti di alcuni provvedimenti di politica ecclesiastica del governo, che non ledevanoi principi dottrinali: fu favorevole alla riduzione del numero dei conventi dimonache chiesto dal governo, essendo diminuito il numero delle vocazioni (Arch. Segr. Vat., Vescovi 310, ff. 347 s.); consigliò, nel 1784, alla segreteria di stato di rinunciare alla pretesa di concedere l'autorizzazione pontificia per il conferimento dei benefizi riservati alla S. Sede: tale pretesa, infatti, respinta dal governo granducale, che aveva stabilito anche la necessità del godimento di un benefizio ecclesiastico per chi doveva ordinarsi sacerdote, provocava la diminuzione costante del numero delle ordinazioni essendovi in Siena pochissimi benefizi semplici (Arch. Segr. Vat., Vescovi 311, f. 8). È evidente, perciò, nel B. lo zelo per la difesa degli interessi puramente religiosi e un relativo disinteresse per quelli patrimoniali o di prestigio. In quegli stessi anni (1784-85) entrò in contatto con alcuni dei più vigorosi polemisti antigiansenisti, essendosi accorto ormai della inevitabilità dello scontro con un gruppo che attaccava sempre più aspramente il primato pontificio, ritenuto unica garanzia dell'unità del cattolicesimo: incoraggiò quindi l'ex gesuita Luigi Mozzi a comporre la Storia compendiosa dello scisma della nuova Chiesa d'Utrecht,diretta a Monsig. Vescovo di *** D.A.D.C., Ferrara 1785.
Appena ricevuta la circolare del 26 genn. 1786, nota come i Cinquantasette punti ecclesiastici, in cui Pietro Leopoldo sottoponeva al parere degli arcivescovi e vescovi della Toscana lo schema di un piano di riforma ecclesiastica, il B. la trasmetteva al papa, chiedendo che incaricasse un teologo di suggerire le risposte alle singole proposte granducali (9 febbr. 1786). Contemporaneamente fece un tentativo presso i suoi confratelli per redigere una risposta comune, trovando però discordanza di pareri. La rispostagli giunse da Roma troppo tardi perché potesse essere utilizzata (Savio, p. 949); pertanto quella spedita al granduca, datata 26 luglio 1786, deve ritenersi frutto immediato del B. e dei suoi più stretti collaboratori.
Dichiarando di attenersi all'autorità e pratica della Chiesa e, in modo particolare, alle determinazioni del concilio di Trento, il B. sferrava un attacco preventivo al parrochismo del sinodo di Pistoia, che si sarebbe riunito nel settembre di quell'anno, dimostrandosi contrario all'eccessiva importanza attribuita ai parroci nel proporre e giudicare le materie, ed affermando che "il Sinodo Diocesano non ha diritto alcuno di giudicare il Vescovo, essendo questo superiore al Sinodo" (Punti ecclesiastici, p. 281); contro l'intellettualismo della riforma si diceva per il mantenimento del culto delle immagini "libro degli ignoranti", si opponeva all'abolizione delle prediche nell'avvento e nella quaresima, stimandole più utili dei catechismi, in quanto, secondo lui, si pecca non tanto per ignoranza quanto per il trasporto delle sregolate passioni. Rispondendo al punto LIV, concernente i libri proposti per il clero, il tono del B. si fa più netto, rilevando che alcuni di essi sono stati proibiti dallo stesso pontefice, fra cui le Riflessioni morali sul Vecchio e Nuovo Testamento del Quesnel, colpite dalla bolla Unigenitus: "seun'opera condannata con tanta solennità venisse ora pubblicamente accolta in Toscana, si produrebbe in questa Provincia la passata lacrimevole combustione della Francia" (ibid., p. 305). Era un avvertimento, non privo di una sottintesa minaccia, che si aggiungeva alla preoccupazione (già espressa nelle risposte ai punti V e VI, sull'abolizione delle riserve pontificie) di evitare scissioni nella Chiesa. Con la sua risposta il B. si qualificava come uno dei più accaniti difensori della S. Sede contro la politica leopoldinoricciana, e sembrava ormai pronto ad affrontare ogni conseguenza del suo atteggiamento, manifestando addirittura, in seguito ad un ennesimo scontro avuto con il de Vecchi nel 1787 a proposito dell'Accademia ecclesiastica, il proposito di rinunciare all'arcivescovato, in caso di necessità (E. Codignola, 1944, II, p. 172).
All'assemblea degli arcivescovi e vescovi della Toscana, apertasi a palazzo Pitti il 23 apr. 1787, il B. partecipò insieme con i consiglieri Luigi Bonsignori, canonico della metropolitana, Giuseppe Ciolfi, parroco di S. Pietro, e Luigi Marchi, parroco di S. Stefano. I suoi interventi non furono particolarmente clamorosi, limitandosi egli a ribadire quanto già aveva obiettato per iscritto ai Cinquantasette punti.
Notevole un suo intervento nella V sessione (2 maggio), in cui si dichiarò favorevole alla dottrina di s. Agostino circa la grazia e la predestinazione, filtrata però attraverso l'interpretazione di s. Tommaso: questa posizione fu più ampiamente dimostrata in una memoria presentata nei giorni seguenti (Atti dell'assemblea, III, pp. 405-414): s. Agostino - vi affermava il B. - scrive sempre in tono apologetico e, quindi, "quando combatte un errore, lo combatte con una energia tale, che sembra favorire l'errore opposto" (ibid., p. 407). Perciò gli eretici ne abusano e i novatori, come Baio, Giansenio e Quesnel, "hanno procurato di comparire agostiniani" (ibid., p. 409). A questa memoria del B. reagiranno i tre vescovi di Pistoia, Chiusi e Colle, e i due teologi giansenisti Palmieri e Longinelli, con una contromemoria, (ibid., pp. 415-431). Un altro scontro polemico il B. lo ebbe con il suo vicario de Vecchi, il quale aveva proposto di togliere una parte delle oblazioni per messe nella diocesi di Siena per sovvenzionare l'Accademia ecclesiastica: secondo l'arcivescovo esse non erano nemmeno sufficienti a coprire il numero di messe da celebrare; lamentava inoltre la penuria di sacerdoti nella sua diocesi, opponendosi perciò alla riduzione dei benefizi. Chiaramente su posizioni "romaniste" era il B. anche nei riguardi del contrasto sorto fra monsignor Pannilini e la S. Sede, a causa della pastorale del vescovo di Chiusi e Pienza Sopra molte ed importanti verità della Religione,ossia sulla sana dottrina, riprovata dal papa in due brevi, nel secondo dei quali (2 febbr. 1787), erano inserite alcune espressioni ritenute dal granduca offensive per i vescovi toscani. Il B., a cui come a tutti gli altri vescovi presenti nell'assemblea fu richiesto il parere, trovò nella pastorale del Pannilini alcune affermazioni "almeno molto simili a quelle condannate dalla Chiesa, e dai Sommi Pontefici" (ibid., IV, p. 126) nelle opere di Giansenio, J. Hus e Quesnel; mentre non trovava nulla di offensivo nei brevi di Pio VI, e pertanto consigliava di astenersi da ogni protesta.
Fallita praticamente l'idea di una riforma religiosa, per l'opposizione più o meno profonda della maggioranza dell'episcopato, si passò in breve tempo, appena Pietro Leopoldo lasciò nel 1790 la Toscana per salire al trono imperiale, a un'opera di reazione: già nel giugno dello stesso anno il B. si incontrava a Firenze con gli altri due arcivescovi, A. Martini e A. Franceschi, per concertare un piano da suggerire al nuovo granduca per eliminare le innovazioni introdotte dal de Ricci nella diocesi pistoiese: la loro azione si concluse con le dimissioni del de Ricci e con un ritorno completo allo stato primitivo.
Il B. morì a Siena nel marzo 1792.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Proc. Consist. 150, ff. 476-484; 163, ff. 217-222; Ibid., Memoriali e biglietti 110, ff. 160-166; Ibid., Vescovi 293, f. 471; 303, ff. 225-229; 310, f. 348; 311, f. 8; 365, f. 100; Punti ecclesiastici compilati e trasmessi da S. A. R. a tutti gli Arcivescovi e Vescovi della Toscana e loro rispettive risposte, Firenze 1787, pp. 279-308; Atti dell'Assemblea degli Arcivescovi e Vescovi della Toscana, Firenze 1787, I, pp. 3, 26, 28, 36, 52 s., 60, 104, 112, 127, 142, 176, 178, 180, 187, 219, 225, 230; III, pp. 179-181, 405-414; IV, pp. 125-129; R. Tanzini, Istoria dell'Assemblea degli Arcivescovi e Vescovi della Toscana, Firenze 1788, pp. 89-90, 103, 261; Giornale ecclesiastico di Roma, 1792, pp. 147-148; L. Mozzi, Compendio storico-cronologico de' più importanti giudizi portati dalla S. Sede Apostolica Romana sopra il Bajanismo,Giansenismo e Quesnellismo, Foligno 1792, pp. 36-37, 43-45; G. Baraldi, Not. biogr,sul P. Luigi Mozzi, in Mem. di religione,di morale e di lett., VII (1825), pp. 146-147; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 3, Roma 1934, pp. 108, 117; P. Savio, Devozione di mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede, Roma 1938, pp. 949 ss.; C. Cannarozzi, L'adesione dei giansenisti italiani alla Chiesa scismatica di Utrecht, in Arch. stor. italiano, XCIX(1942), pp. 30, 32-34; E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, Firenze 1941, I, pp. 400 e n., 401-403, 433 e n. 3., 434 n., 444, 451; II, p. 325; Id., Il giansenismo toscano nel carteggio di Fabio de Vecchi, Firenze 1944, passim;Id., Illuministi,giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, pp. 93, 94, 97, 101, 103, 111, 126, 144 e n. 4, 176; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VI, Patavii 1958, pp. 375, 388; A. Wandruszka, Leopold II, II, Wien-München 1965, pp. 115 s., 127; M. Rosa, Riformatori e ribelli, Bari 1969, pp. 178, 180, 192 s.